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La Cina in bilico tra supporto alla Russia, corteggiamento dell’Europa e ripresa del dialogo con gli Stati Uniti

17 Maggio 2023 8 min lettura

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La Cina in bilico tra supporto alla Russia, corteggiamento dell’Europa e ripresa del dialogo con gli Stati Uniti

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Ha avuto inizio il 15 maggio la visita in Ucraina del Rappresentante speciale per gli affari eurasiatici cinese Li Hui, che si recherà anche in Polonia, Francia, Germania e Russia. Riguardo quest’ultima tappa, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha dichiarato che un incontro con il presidente Vladimir Putin non è ancora in agenda. 

Il viaggio era stato annunciato nelle scorse settimane subito dopo la chiamata tra il presidente cinese Xi Jinping e quello ucraino Volodymyr Zelensky, e si inserisce all’interno del piano diplomatico adottato da Pechino “per promuovere la pace e il dialogo” . 

“La visita del Rappresentante cinese in paesi così rilevanti dimostra pienamente che la Cina è dalla parte della pace”, ha dichiarato il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin - e ha aggiunto: “La Cina è disposta a continuare a svolgere un ruolo costruttivo nell’ampliamento del consenso internazionale su un cessate il fuoco, nell’avvio di colloqui di pace e nella prevenzione dell'escalation per promuovere una soluzione politica della crisi ucraina”. 

Ma chi è Li Hui? Ambasciatore a Mosca per dieci anni (2009-2019), Li parla fluentemente russo e dal 2019 è inviato speciale per gli Affari Eurasiatici. Non solo è l’uomo giusto per Pechino in questa missione così delicata, ma come spiega Li Lifan, specialista in Russia e Asia Centrale della Shanghai Academy of Social Sciences al quotidiano SCMP, “la sua qualifica è molto più alta in grado di molti ambasciatori dell’area, il che conferisce maggiore peso al messaggio e alle parole che pronuncerà". 

Li è entrato a far parte del Dipartimento per gli Affari Sovietici ed Est europei al Ministero degli Esteri nel 1975, quando, citando lo storico Guido Samarani, “l’Unione Sovietica (e non più gli Stati Uniti) era percepita come la fonte più pericolosa di guerra e di instabilità per la Cina e per il mondo intero”. 

Viceministro degli Esteri nel 2008, Li venne inviato a Mosca l’anno seguente diventando il diplomatico cinese più longevo a ricoprire la carica di ambasciatore nella capitale russa. Durante questo periodo di dieci anni, ha seguito nove visite ufficiali del presidente Xi Jinping e ha visto quasi triplicare il valore dello scambio commerciale tra i due paesi, che è passato dai 38,8 miliardi di dollari nel 2009 a 107 miliardi nel 2018. 

Qualche mese prima della fine dell’incarico, il presidente russo Putin ha conferito a Li una medaglia all’Ordine dell’amicizia “per il contributo significativo che ha dato nello stringere la cooperazione tra le due nazioni e i suoi popoli”. 

E proprio questo suo speciale legame con la Russia e i solidi rapporti che ha stretto negli anni con l’establishment moscovita potrebbero indurre a pensare che Li abbia “naturalmente” posizioni pro-Russia. La profonda conoscenza della cultura e della politica di questo paese “non dovrebbe essere vista necessariamente come una predisposizione a lavorare in favore della Russia” – spiega a Nbc news Zeno Leoni, docente in Defence Studies al King’s College – “ma più come un tentativo di nominare qualcuno capace di interpretare accuratamente la posizione della Cina e che sia in grado di capire quando la mediazione è possibile e quando no tra Russia e Ucraina”. 

D’altronde anche lo stesso governo ucraino ha espresso un giudizio favorevole alla nomina di Li Hui come inviato speciale: “La profonda conoscenza della regione lo aiuterà a dialogare in modo imparziale ed efficace con tutte le parti”, ha dichiarato il portavoce del ministro degli Esteri ucraino, Oleg Nikolenko, sempre all’emittente statunitense. 

Prove di disgelo tra Stati Uniti e Cina

Nel frattempo arrivano alcuni segnali di distensione tra Stati Uniti e Cina. Il più recente è quello del Segretario di Stato americano Antony Blinken che sarebbe intenzionato a recarsi  in Cina nel “prossimo futuro”. 

L’indiscrezione trapela dal consigliere del Dipartimento di Stato, Derek Chollet, durante un’intervista che ha rilasciato al giornalista del SCMP Finbarr Bermingham a Stoccolma, dove si è tenuto negli scorsi giorni il forum interministeriale UE - Indo Pacifico. 

La diplomazia tra le due superpotenze sembra quindi riprendere quel dialogo interrotto a febbraio, quando Washington decise di abbattere un pallone aerostatico cinese comparso nei cieli statunitensi e che per l’intelligence americana aveva funzioni spionistiche. L’episodio portò proprio il Segretario di Stato Blinken a cancellare una visita ufficiale già programmata per la Cina. 

A preparare il terreno per questo nuovo corso diplomatico e discutere i dettagli della visita di Blinken sono stati il consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, e l’ex ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, oggi direttore dell’Ufficio della commissione Affari Esteri, che hanno avuto a Vienna un incontro durato più di dieci ore. 

Le due parti hanno avuto “discussioni sincere, sostanziali e costruttive”, recita il comunicato della Casa Bianca, su questioni chiave delle relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Cina nonché su quelle di sicurezza regionale e globale tra cui la guerra russa in Ucraina e lo stretto di Taiwan. “Entrambe le parti - prosegue - concordano nel mantenere questo importante canale strategico di comunicazione per portare avanti gli obiettivi presi da Biden e Xi a Bali, in Indonesia, nel novembre 2022". 

Toni distensivi confermati anche da Pechino che ha sottolineato come “il modo corretto di andare d’accordo sia il rispetto reciproco, una coesistenza pacifica e una cooperazione vantaggiosa per tutti”. Per quanto Washington dovrà “dimostrare una genuina sincerità nel voler stabilizzare i rapporti con Pechino”, si legge in un editoriale del 13 maggio su Xinhua. L’agenzia passa in rassegna una serie di dossier su cui gli Stati Uniti porterebbero avanti un comportamento “doppiogiochista” che avrebbe prosciugato la fiducia reciproca. 

Prima tra tutti la questione di Taiwan, la linea rossa che per Pechino non va superata, dove se da una parte Washington ribadisce che nulla è cambiato nella politica della Cina unica – non sostenendo quindi l’indipendenza di Taiwan  – dall’altra “fomenta le tensioni nello Stretto”, inviando navi da guerra e aerei da combattimento nella regione, aumentando la vendita di armi all’isola e, più recentemente, organizzando il “transito” della presidente di Taiwan Tsai Ing-wen negli Stati Uniti [Xinhua fa riferimento alla recente visita della presidente Tsai che ha incontrato in California lo speaker della Camera Kevin McCarthy ndr

Altro capitolo su cui Washington terrebbe una posizione duale è quello che riguarda la crescita economica e politica della Repubblica Popolare. Da un lato, afferma di non cercare di separarsi dalla Cina [decoupling ndr] e di non avere intenzione di ostacolarne lo sviluppo, dall’altro impone restrizioni sulle esportazioni di prodotti tecnologici “con il pretesto della sicurezza nazionale”.  

Il decoupling

La parola che più ricorre nel dibattito fra Cina e Stati Uniti è “decoupling”, ovvero il disaccoppiamento tra le due maggiori economie del mondo, tanto che il Financial Times l’ha indicata tra le parole del 2019. Decoupling vuol dire, nei fatti, rilocalizzare la produzione delle imprese americane fuori dalla Cina in settori ritenuti strategici, preferibilmente verso altre destinazioni, soprattutto in Asia, o negli Stati Uniti (“reshoring”). L’esempio più noto è quello della produzione dei prossimi iPhone spostata in India, ma sono molte le liste che includono più di 50 grandi aziende americane, e non solo, che hanno avviato un processo di trasloco. (Fonte: ISPI)

Insomma, se gli Stati Uniti “sono ossessionati dal giocare al Giano bifronte, allora nessun mezzo di comunicazione può fermare la spirale discendente delle loro relazioni con la Cina”, conclude l’editoriale. 

Chi rema contro il dialogo tra Pechino e Washington

Non mancano le critiche interne, dove i più scettici sulla ripresa dei colloqui diplomatici sostengono che il piano dell’amministrazione Biden farebbe apparire gli Stati Uniti deboli e alla ricerca del compiacimento del potente avversario.

Se da una parte, infatti, la strategia americana punta a relazioni più distensive e ad allontanare le critiche dei paesi alleati in Europa e in Asia secondo cui Washington non farebbe abbastanza per smorzare le tensioni, dall’altra potrebbe dare l’impressione che a dettare l’agenda sia Pechino. 

Dei tentativi di contrastare il dialogo tra i due paesi e del consenso diffuso all’interno di alcuni ambienti politici e militari secondo cui la pace tra le due superpotenze potrebbe non durare a lungo avevamo parlato anche in uno degli scorsi articoli: all'inevitabilità di un conflitto militare a Taiwan, avanzato dalle massime cariche dell’Esercito statunitense, veniva opposto il fatto che non si hanno prove di date o scadenze certe entro le quali Pechino potrebbe dare l’inizio all’invasione. 

In un recente articolo su Foreign Affairs di Tong Zhao, senior fellow del Carnegie Endowment for International Peace e visiting research scholar alla Princeton University, si sottolinea come questo tipo di approccio sia speculare a quello di Pechino: retorica anti-americana, pressioni sulla leadership affinché agisca con maggiore vigore e sottovalutazione delle potenziali conseguenze di un conflitto militare su larga scala sono alcune delle convinzioni che vanno radicandosi sempre più profondamente nel tessuto politico cinese. 

La ripetuta enfasi che Xi Jinping pone sulla necessità dell’unificazione con Taiwan induce i funzionari politici ad assumere un atteggiamento adulatorio nei confronti dei vertici che, a loro volta, si sentiranno maggiormente sicuri di sé. Allo stesso modo gli organi di stampa, per compiacere la narrazione ufficiale, non daranno spazio ad alcun dubbio o critica alimentando la percezione generale che la totale mancanza di dissenso sia un trasversale sostegno alle politiche sull’isola.  

A peggiorare le cose, all’interno del Partito Comunista Cinese ci sono delle fazioni che potremmo definire di “sinistra radicale” - non con l’accezione che le diamo noi in Occidente - che approfittano del confronto con gli Stati Uniti per spingere la loro agenda con il pretesto del patriottismo e della fedeltà agli ideali comunisti. E la loro influenza - spiega il giornalista Wang Xiangwei - ha ampiamente plasmato le politiche interne e la postura della Cina nelle relazioni estere. 

In sintesi, sia a Washington che a Pechino ci sono delle fazioni interne che remano contro il dialogo. Falchi contro estrema sinistra. 

La Cina corteggia l'Europa cercando di allontanarla dagli Stati Uniti

Quella appena passata è stata una settimana ricca di appuntamenti e incontri diplomatici anche in Europa. Il ministro degli Esteri cinese Qin Gang è stato in visita in Francia, Germania e Norvegia. Una mossa che, soprattutto a Washington, viene vista come il tentativo di Pechino di allontanare i paesi dell’Unione Europea dall’influenza statunitense. 

In conferenza stampa a Berlino, il ministro Qin Gang ha avvertito che il vero “rischio” con cui l’Europa deve fare i conti è “un certo paese” che sta conducendo “una nuova guerra fredda”, imponendo sanzioni unilaterali e scaricando i propri problemi finanziari sugli altri. Un chiaro riferimento agli Stati Uniti che il ministro si è premurato di non pronunciare mai per nome. 

Negli stessi giorni, sono stati diffusi i contenuti di una lettera che l’alto rappresentante della politica estera europea, Josep Borrell, ha inviato ai ministri degli esteri dell’UE. 

Borrell sollecita i paesi membri a trovare una “strategia coerente” che sia in grado di rispondere al crescente nazionalismo cinese e all’inasprimento dei rapporti tra Stati Uniti e Cina. 

“La questione della Cina è molto più complessa di quella relativa alla Russia”, si legge nella lettera, “l’ambizione della Cina è chiaramente quella di creare un nuovo ordine mondiale con la Cina al centro” - prosegue - “una sconfitta della Russia in Ucraina non la farà deragliare dalla propria traiettoria. La Cina riuscirà a trarne un vantaggio geopolitico”. 

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Molto dello sviluppo delle relazioni tra Cina ed Europa passa proprio dalla guerra in Ucraina. Pechino negli ultimi mesi ha steso lunghi tappeti rossi corteggiando i leader dell’Unione Europea per incentivarli ad abbracciare "l'autonomia strategica" (tradotto, una minore dipendenza dagli Stati Uniti),  ma se vorrà realmente conquistarli dovrà adottare politiche sostanziali in Ucraina.  

Secondo l’analista Mark Galeotti, “i cinesi stanno aspettando dietro le quinte il momento opportuno [per intervenire], vogliono la pace non perché siano preoccupati per la guerra, piuttosto la vedono come un'opportunità per affermare il loro ruolo di superpotenza mondiale” - e conclude - “attendono il momento in cui i colloqui tra le parti potrebbero avere maggiore probabilità di successo e solo a quel punto interverranno”.

Immagine in anteprima via Centre for European Reform

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