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Roma, la biblioteca per bambini e ragazzi nata dall’occupazione di Viale delle Provincie

18 Settembre 2018 7 min lettura

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Roma, la biblioteca per bambini e ragazzi nata dall’occupazione di Viale delle Provincie

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Quando viveva in Venezuela Rafael faceva il professore in un liceo. «Insegnavo storia dell’arte e anche fotografia. Sono laureato in Sviluppo Culturale, con i miei studenti parlavamo anche di libri, di cultura. Spero di tornare a fare il professore anche qui», spiega. Nel 2014, a quasi cinquant’anni, è arrivato a Roma e ha fatto richiesta di protezione internazionale. Per qualche mese ha dormito sul sagrato di una chiesa vicino al Circo Massimo, finché, dopo essersi imbattuto in una manifestazione dei movimenti per la casa in piazza Venezia, ha trovato posto in una delle occupazioni abitative più grandi della Capitale, al civico 196 di viale delle Provincie.

Foto di Claudia Torrisi

Imboccando la strada da via Tiburtina si vedono quasi subito: due enormi palazzi gemelli e collegati tra loro, otto piani ciascuno con le finestre a specchio. Erano stati una sede dell’INPDAP, rimasti vuoti dal 2009 quando, trasferiti gli uffici, il complesso era stato inserito nel Fondo immobili pubblici per essere venduto a un privato. Il 6 dicembre del 2012, nel corso di una giornata di mobilitazione chiamata "Tsunami Tour", lo stabile è stato occupato dai Blocchi Precari Metropolitani (BPM), un movimento che lotta per il diritto all’abitare a Roma. Da allora negli ex uffici hanno trovato casa 130 famiglie rimaste senza un tetto, per un totale di circa 500 persone di diversa provenienza: Italia, Europa dell’Est, Africa, Sud America. Tra loro ci sono anche una sessantina di bambini e ragazzini, molti dei quali, spiega a Valigia Blu Umberto, un attivista dei BPM e responsabile dell’occupazione dove anche lui vive «sono praticamente nati o cresciuti qui dentro».

È per loro che da qualche mese Rafael sta lavorando ogni giorno per costruire una biblioteca in una stanza al piano terra dell’edificio: un luogo dove fare i compiti, leggere, dipingere scambiare interessi, parlare di libri. «Mi mancava insegnare, fare il professore. Anche se da loro mi faccio chiamare Rafael», dice mentre ripone ordinatamente alcuni volumi su uno scaffale. Attorno a lui ci sono una ventina di bambini e ragazzini dai sei ai sedici anni: un gruppo disegna, altri stanno guardando un film.

Una parte della biblioteca

«Questo è il fiore all’occhiello di Provincie», afferma Umberto. «È un’idea che esprime quello che è uno degli aspetti positivi delle occupazioni, in mezzo a tante difficoltà: il senso di comunità. Una comunità costantemente alla ricerca di un punto di equilibrio tra diverse etnie e diversi punti di vista, ma con la capacità di trovarlo questo equilibrio, anche nello scontro. Sono luoghi in cui esce fuori una grande umanità. Anche, ad esempio, nel volersi mettere a disposizione di questi ragazzi».

Il progetto della biblioteca è partito poco prima dell’estate, quando Rafael ha pensato di trasformare una stanza che prima era adibita a magazzino. «Non esisteva uno spazio per loro. Abbiamo pulito tutto, mi hanno aiutato anche i ragazzi più piccoli – racconta –. Poi abbiamo iniziato a raccogliere donazioni: libri, giocattoli, tavoli, sedie, un televisore. Sono arrivate da tante famiglie italiane, anche fuori dal quartiere. Ora aspettiamo una lavagna, così sarà più facile per loro imparare».

In pochi mesi la biblioteca conta già circa 400 volumi tra sussidiari, libri di testo, romanzi, classici, atlanti, parti di enciclopedie e fumetti. All’interno di alcune ceste ci sono puzzle e giochi per i più piccoli. Una volta a settimana si fanno i turni delle pulizie.

A Rafael piacerebbe che nello spazio che sta costruendo i ragazzi «possano imparare cose che non si insegnano a scuola. Per questo ad esempio facciamo incontri di motivazione alla lettura, oppure dei circoli in cui ognuno in cinque minuti deve raccontare a un altro qual è l’argomento del libro che ha letto. È importante leggere, apre la mente». Poi, sfogliando un atlante dell’Italia si illumina: «Ad esempio, solo con questo puoi conoscere tanti luoghi di questo paese senza esserci stato. Non è fantastico?»

Il pomeriggio vengono degli attivisti da fuori per aiutare i ragazzi dell’occupazione a fare i compiti. Rafael però specifica che non si tratta un doposcuola. «Non ci sono professori qui, si aiutano tra di loro. È il metodo di Paulo Freire, un insegnamento orizzontale, non verticale. Ad esempio Alessandro* [i nomi dei bambini sono stati modificati] è bravo con le scienze, Marco con la grammatica italiana. A Sara piace tanto la lettura», dice indicando un gruppo tra gli otto e i tredici anni. I tratti somatici riflettono le loro origini familiari, ma il vociare che si sente è solo un forte accento romano.

«Le loro famiglie sono marocchine, sudamericane, tunisine, eritree. Ma loro sono nati qui, vanno a scuola, tifano Roma, Inter. Se chiedi loro di dove sono ti rispondono tutti che sono italiani», afferma Rafael. E rivolge la domanda al gruppo. Uno dei più grandi, 16 anni, genitori tunisini, risponde senza esitazione: «De Roma». Una bambina di 10 anni pronuncia il suo nome marocchino, ma in italiano dice di chiamarsi Laura. Alessandro, 13 anni, spiega di essere italiano perché nato in Italia, «anche se mi sembra che sei hai i genitori stranieri non lo sei automaticamente nei documenti».

I libri per le materie scolastiche della biblioteca

Proprio la diversità dei suoi studenti è uno degli aspetti su cui Rafael insiste di più: «Questi ragazzi nascono già con un meccanismo di inclusione e integrazione. Loro sono il futuro». Anche secondo Umberto i bambini e i ragazzi di viale delle Province «rappresentano un’enorme potenzialità che va valorizzata: sono più avanti di noi, dei loro genitori perché vivono le diverse lingue, tradizioni, abitudini come normali. Quella che anche per noi è una convivenza tutto sommato forzata per loro è normale».

L’obiettivo di Rafael è provare a inaugurare la biblioteca entro l’autunno, e aprirsi al quartiere per organizzare iniziative come cineforum o altre attività. «Ci piacerebbe che fosse uno spazio aperto all'esterno, anche se, ovviamente, per fare in modo che sia così dobbiamo strutturaci anche in termini di sicurezza», spiega Umberto. «Le occupazioni – aggiunge - hanno sempre questa problematica: chi ci abita aspira alla normalità, ma già solo il fatto di vivere costantemente con il rischio di sgombero ci pone in una condizione di diversità».

Un rischio che è diventato più serio dopo l’emanazione lo scorso primo settembre della circolare del Ministero dell’Interno che mira a rendere più tempestivi gli sgomberi degli immobili occupati abusivamente, “rinviando alla fase successiva ogni valutazione in merito alla tutela delle altre istanze”. Gli effetti hanno già iniziato a farsi sentire: il 4 settembre, all'alba, a Sesto San Giovanni è stata sgomberata l'ex sede dell'Alitalia occupata poco tempo prima da 200 persone del residence sociale "Aldo dice 26x1"; mentre tre giorni dopo, a Roma, i blindati si sono presentati in via Raffaele Costi, alla periferia est, per evacuare un palazzo occupato da circa 5 anni da un centinaio di persone, tra cui bambini e alcuni anziani.

Leggi anche >> Sgomberi e occupazioni tra tutela della proprietà privata e disagio abitativo. Le ragioni di un fenomeno complesso

L’ombra dello sgombero pesa su tutti gli occupanti di viale delle Province. Anche perché, spiega Umberto, «senza soluzioni alternative o comunque senza soluzioni non temporanee finiamo tutti in strada. L’occupazione nasce da un’esigenza primaria, che è quella della mancanza di un tetto. Nasce da una disperazione. Ci sono migliaia e migliaia di famiglie che non riescono a mantenersi una casa, in Italia e in questa città».

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A Roma, secondo le stime fornite dal Ministero dell’Interno e diffuse dall’Unione Inquilini, ci sono 7 mila sentenze di sfratto all’anno, che coinvolgono 3.500 famiglie, 15 al giorno, la maggior parte per morosità incolpevole. Quasi 3 mila di questi sfratti sono effettuati con la forza pubblica. In 12.500 sono iscritti nelle graduatorie per la richiesta di una casa popolare – compresi la maggior parte di coloro che vivono nei palazzi di viale delle Province 196. In circa 10 mila abitano in occupazioni.

Anche Rafael è preoccupato di un possibile sgombero. «A me piacerebbe sedermi attorno a un tavolo con il ministro dell’Interno – dice – e magari anche Papa Francesco. Ci sediamo e non parliamo di immigrazione, ma di dignità umana e povertà in Italia». Se un giorno dovessero arrivare i blindati a viale delle Province Rafael vorrebbe chiedere al governo che fine farebbe la sua biblioteca: «Che fine fanno i libri? E gli incontri e tutto quello che abbiamo fatto qui dentro? Mi dispiace perché questo spazio è per loro, per i nuovi italiani».

Foto in anteprima: Rafael che sfoglia uno dei libri in biblioteca. 

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