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Arrendiamoci, siamo inutili

26 Febbraio 2013 4 min lettura

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Arrendiamoci, siamo inutili

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Un dato chiaro che emerge dal risultato elettorale è che non è possibile fare alcuna analisi per manifesta inutilità. Un'inutilità che proviene dall'atteggiamento autoreferenziale di diversi attori che fra loro, in un'orgia di parole e traiettorie composite e per lo più irrilevanti, hanno dato vita a numerose e sopravvalutatissime bolle alimentate dalla reale e disarmante incapacità di comprensione della cittadinanza, dell'elettorato, della gente con due G. E le bolle sono scoppiate tutte, una per una.

Prima fra tutte - ovvio - la macro-bolla del Pd, che ha (sopravvalutazione numero 1) sovrastimato la capacità di "fare quadrato" di un elettorato che ormai, com'è evidente non da ieri ma da anni, non basta più. Ha sopravvalutato il proprio ruolo di alternativa "buona" alla deriva populista, ha sopravvalutato temi quali il ripudio del leaderismo, l'esaltazione della Costituzione "più bella del mondo" e la franca morigeratezza dei quali all'elettorato - come appare evidente - non interessa assolutamente nulla. Ha sopravvalutato Crozza, e ha sopravvalutato - ovviamente - le proprie possibilità di vittoria, giungendo a una sostanziale sconfitta che lascia senza parole. Punto.

Altra bolla, quella del "centro", che tra Monti, Casini e Fini ha sopravvalutato (numero 2) la propria contingenza in questo mondo. Casini ha continuato a vivere della propria auto-alimentata figura di leader moderato - ingombrante solo nel quadro mediatico - in un Paese che non è in grado di capire cosa significhi "moderato". Fini ha sopravvalutato la propria forza elettorale, continuando a immaginarsi come partigiano della resistenza anti-berlusconiana e fondatore primo di una destra che in realtà non esiste - altra bolla, la "destra europea". Monti ha sopravvalutato gli italiani, probabilmente. E con lui l'establishment che ha creduto nella nascita di un partitone "di sistema", europeista e buono per le pastarelle della domenica dopo la messa. Inutile anche solo accennare alla bolla del "Guru di Obama".

Forse più grave, il giornalismo ha sopravvalutato tutte queste variabili - una per una - e soprattutto se stesso (sopravvalutazione numero 3) come sistema in grado di decifrare una situazione mai realmente compresa, segnando una distanza incredibile - e forse incolmabile, se la si combina alla crisi dell'editoria - fra sé e il paese: non bastassero i dati su vendite e credibilità del settore, appare chiaro come il potere di legittimo indirizzo politico esercitato dai grandi giornali sia stato sostanzialmente ignorato dagli elettori - ché altrimenti, volendo sommare la porzione di 'lettorato' dei tre grandi quotidiani italiani, a questo punto avremmo un fermissimo e placido governo a maggioranza "riformista" (si aggiunga la voce "Bolla del Riformismo").

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Un sistema incapace di leggere e soltanto di 'leggersi', nel quale il rapido declino di Pubblico - giornale fondato da Telese e chiuso in tre mesi - è l'esempio più lampante di quella sopravvalutazione (e ancora) che i giornalisti si riconoscono. E così delle loro fonti, dei retroscena, le loro incredibili e stranianti analisi (oggi Massimo Franco sul Corriere, in un editoriale beffardamente intitolato "I conti con la realtà", parla di un'Italia che si è «rifiutata di analizzare i riflessi internazionali del voto», come fosse la preoccupazione principale degli italiani), affreschi nati nelle pagine politiche e nelle rassegne che si dipingono da soli tutti nella testa e nelle chiacchiere degli editorialisti - e basati su sondaggi che, inutile ricordarlo, sono apparsi ovviamente sopravvalutati.

Chiusi in redazione e nelle sedi di partito, irrilevanti al di fuori di queste, e per di più spesso impegnati ad analizzare i dati provenienti da Twitter (sopravvalutazione suprema): ancora oggi Riotta imputa al Pd e a Monti un cattivo uso dei social media, in un Paese che, come ricordavamo, ricomincia anacronisticamente a fare i conti con l'analfabetismo, e nel quale la parte attiva di Twitter corrisponde a un'esigua quota elettorale alla quale però fa da contraltare una spropositata copertura mediatica. Un intero mercato di analisti di dati sociali e spacciatori di tecniche digitali e piattaforme di aggregazione di flussi che ha tratto il più grande beneficio possibile da questo trend editoriale, giocando - indovinello! - su una gigantesca sopravvalutazione.

In un Paese incompreso da chi dovrebbe reggerlo e interpretarlo ha vinto la 'creatura orrorifica' che ha fatto l'esatto contrario, combattuto soffiandogli addosso le soffici bolle di sapone di democrazia interna, populismo e inesperienza mentre il vento forte le spazzava via.

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