Sono molte ancora le cose che non sappiamo su COVID-19, nonostante nel mondo ad oggi ci siano oltre 1 milione di casi: non conosciamo l’esatta percentuale di popolazione mondiale che è stata esposta al virus; se chi l’ha avuto sviluppa un’immunità futura; non è chiaro quanti siano i contagiati asintomatici e quale sia il ruolo dei bambini nella trasmissione. Quindi che succederà adesso? Devi Sridhar, a capo del dipartimento di Sanità globale pubblica all’Università di Edimburgo, delinea sul Guardian quattro possibili scenari per la fine della pandemia. Il primo è che i governi si mettano d’accordo con un ingente piano diagnostico, “chiudano le frontiere per un tempo prestabilito insieme e mettano in piedi una campagna aggressiva per identificare i portatori di virus e prevenire la trasmissione”. Un approccio che però sembra poco probabile al momento vista la scarsa collaborazione, ma che secondo Sridhar potrebbe diventare più realistico per tre ragioni: le terapie antivirali utilizzate per prevenire o trattare i sintomi di Covid-19 possono essere scarse; un vaccino può richiedere anni per essere prodotto; e l'immunità può essere solo a breve termine, con conseguenti ondate multiple di infezione, anche tra gli stessi individui. Il secondo scenario, forse più probabile, è che i primi studi sui vaccini si rivelino promettenti. “Nell’attesa del vaccino, i paesi proverebbero a ritardare la diffusione del virus per i prossimi 12-18 mesi, con lockdown intermittenti. Le autorità sanitarie dovrebbero prevedere, con tre settimane di anticipo, se ci sono abbastanza letti, ventilatori e personale per curare le persone infette. Su questa base, i governi potrebbero decidere se allentare o aumentare le misure di quarantena”, scrive Sridhar, che però ritiene che non sia uno scenario ideale: i sistemi sanitari sarebbero sotto sforzo, e l’economia risentirebbe fortemente dei lockdown ripetuti, con conseguenze pesanti specialmente nei paesi più poveri. Terzo scenario: seguire l’esempio della Corea del Sud. In attesa del vaccino, il paese sta aumentando i test per identificare i contagiati, ne sta tracciando i contatti e li sta mettendo in quarantena fino a tre settimane. Questo richiederebbe una pianificazione su larga scala, lo sviluppo di app e l’impiego di volontari. Infine, l’ultimo scenario sarebbe occuparsi di COVID-19 concentrandosi sulla cura dei sintomi, evitando che i pazienti peggiorino fino a dover arrivare in terapia intensiva o morire. “Una soluzione ancora migliore sarebbe usare la terapia profilattica per prevenire l'insorgenza di COVD-19, in combinazione con test diagnostici rapidi per identificare coloro che sono stati infettati”. Ad ogni modo, non c’è un’unica e semplice soluzione, e i mesi che seguiranno saranno un continuo bilanciamento tra salute pubblica, società ed economia, mentre i governi saranno come non mai dipendenti l’uno dall’altro. [Leggi l’articolo sul Guardian]