In queste ultime settimane, sono stati diffusi online contributi sotto forma pre-print (senza peer-review) che discutono o presentano analisi di dati sulla relazione tra i livelli di inquinamento atmosferico e l’epidemia di COVID-19. L’attenzione è posta in particolare sui potenziali effetti del particolato fine (PM), sulla diffusione della epidemia e sulla prognosi delle infezioni respiratorie. L’ipotesi sottostante è che un'alta concentrazione di particolato (PM10, PM2.5) renda il sistema respiratorio più suscettibile alla infezione e alle complicanze della malattia da coronavirus. La possibile interazione tra inquinamento e COVID-19 sarebbe anche suggerita dal fatto che l'esposizione all'inquinamento atmosferico aumenta il rischio di patologie respiratorie e infezioni acute delle basse vie respiratorie (ALRI) particolarmente in soggetti vulnerabili, quali anziani e bambini. Si è infine ipotizzato che il particolato atmosferico possa essere un supporto per la diffusione del virus per via aerea, ma questa ultima ipotesi non sembra avere alcuna plausibilità biologica. Infatti, pur riconoscendo al PM la capacità di veicolare particelle biologiche (batteri, spore, pollini, virus, funghi, alghe, frammenti vegetali), appare implausibile che i Coronavirus possano mantenere intatte le loro caratteristiche morfologiche e le loro proprietà infettive anche dopo una permanenza più o meno prolungata nell’ambiente outdoor. Temperatura, essiccamento e UV danneggiano infatti l’involucro del virus e quindi la sua capacità di infettare. La diffusione non corretta di tali ipotesi, non suffragate da evidenza scientifica, può essere molto fuorviante nella comunicazione del rischio alla popolazione. Dal punto di vista della ricerca ci sono molti quesiti a cui i ricercatori dovranno dare una risposta, il principale è: “Può l'esposizione a inquinamento atmosferico, sia cronica sia acuta, avere un effetto sulla probabilità di contagio, la comparsa dei sintomi e il decorso della malattia del coronavirus causata dalla SARS-CoV-2?”. [Leggi l'articolo su Scienza in Rete]