Post Round-up clima

La metà dell’Amazzonia a un punto di non ritorno entro il 2050. L’allarme di Nature

15 Febbraio 2024 13 min lettura

author:

La metà dell’Amazzonia a un punto di non ritorno entro il 2050. L’allarme di Nature

Iscriviti alla nostra Newsletter

13 min lettura

Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.

Secondo una nuova ricerca pubblicata il 14 febbraio su Nature, quasi metà dell'Amazzonia dovrà affrontare diversi fattori di stress “senza precedenti” che potrebbero spingere la foresta verso un importante punto di non ritorno entro il 2050. La più grande foresta pluviale del mondo è già sotto pressione a causa dei cambiamenti climatici, della deforestazione, della perdita di biodiversità e delle condizioni meteorologiche estreme. 

Circa il 20% dell'Amazzonia è già stato deforestato e un altro 6% è “altamente degradato”. Secondo diversi studi, la sezione brasiliana dell'Amazzonia è ora una “fonte” netta di carbonio, piuttosto che un “pozzo”, a causa di una serie di fattori tra cui la deforestazione. 

Gli studiosi hanno da tempo avvertito che il cambiamento climatico e la deforestazione guidata dall'uomo potrebbero spingere la foresta amazzonica oltre il “punto di svolta”, una soglia che, se superata, vedrebbe la “scomparsa” di grandi quantità di foresta amazzonica densa e il passaggio a una savana permanente e secca. Quest'ultima sarebbe caratterizzata da un sistema misto di alberi e pascoli con una copertura aperta che consente al suolo di diventare molto più caldo e secco.

Studi precedenti suggeriscono che l'Amazzonia potrebbe essere spinta oltre questo punto di svolta qualora la perdita di foreste superasse il 40%. Un'altra ricerca pubblicata lo scorso ottobre ha rilevato che il recente inaridimento dell'Amazzonia potrebbe essere il “primo segnale d'allarme” del fatto che la foresta pluviale si sta avvicinando a un punto di svolta, ricostruisce un approfondimento del sito britannico Carbon Brief.

Ora il nuovo studio pubblicato su Nature. I ricercatori hanno esaminato cinque fattori chiave dello stress idrico in Amazzonia – il riscaldamento globale, le precipitazioni annuali, l'intensità della stagionalità delle piogge, la lunghezza della stagione secca e la deforestazione accumulata – e rilevato come la combinazione di diverse perturbazioni - come l'intensificarsi della siccità e degli incendi - potrebbe innescare “transizioni inaspettate dell'ecosistema anche in zone remote e centrali” dell'Amazzonia e trasformare dunque vaste aree di foresta pluviale in savane secche. 

“È sorprendente come la combinazione di fattori di stress e disturbi stia già influenzando parti dell'Amazzonia centrale... [che] possono già trasformarsi in ecosistemi diversi. (...) Poi, quando si mette tutto insieme, la possibilità che entro il 2050 si possa superare questo punto di svolta, un punto di svolta su larga scala, è molto spaventosa e non pensavo davvero che potesse avvenire così presto”, ha commentato a Carbon Brief il dottor Bernardo Flores, autore principale dello studio e ricercatore presso l'Università Federale di Santa Catarina, in Brasile.

I risultati dello studio evidenziano come circa la metà (47%) del bioma amazzonico abbia un potenziale moderato per questi cambiamenti. Le aree più grandi e remote, che coprono il 53% dell'Amazzonia, hanno una bassa possibilità di transizione ecosistemica, soprattutto per quanto riguarda le aree protette e i territori indigeni. Il 10% ha invece un “potenziale di transizione relativamente alto”, il che significa che sta già subendo più di due tipi di perturbazioni. 

La ricerca “evidenzia l'urgenza di mantenere sia il riscaldamento globale che la deforestazione entro limiti di sicurezza” per proteggere l'Amazzonia, commenta sempre a Carbon Brief il prof. Dominick Spracklen, docente di interazioni biosfera-atmosfera presso l'Università di Leeds. Tuttavia, Flores aggiunge che fermare la deforestazione senza intervenire sulle emissioni di gas serra potrebbe rivelarsi “inutile”.

Il tasso di deforestazione nell'Amazzonia brasiliana è salito vertiginosamente sotto l'ex presidente Jair Bolsonaro, ma si è quasi dimezzato nel 2023 da quando è entrato in carica il governo Lula. Nel frattempo, la perdita di foreste nelle sezioni boliviane dell'Amazzonia ha raggiunto livelli record nel 2022. 

Secondo Spracklen, questa disparità “evidenzia la necessità di un'alleanza pan-amazzonica per contribuire a ridurre in modo collaborativo la deforestazione”. 

Per la prima volta il riscaldamento globale ha superato la soglia di 1,5°C per un anno intero

Il servizio meteo dell’Unione Europea, Copernicus, ha reso noto che nei 12 mesi tra il febbraio del 2023 e il gennaio del 2024, la temperatura media del pianeta ha sforato per la prima volta per un intero anno il tetto di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Non superare un grado e mezzo dai livelli preindustriali è la soglia che gli Stati di tutto il mondo si sono dati con l'Accordo di Parigi del 2015. Negli ultimi dodici mesi, la temperatura è stata di 1,52°C superiore alla media del periodo 1850-1900.

Era qualcosa nelle previsioni e che non mette in discussione gli obiettivi prefissati con l’Accordo di Parigi nel 2015. Lo scorso maggio, uno studio dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM) aveva concluso che nei prossimi cinque anni la Terra avrebbe sperimentato nuovi record di temperatura e probabilmente il riscaldamento globale avrebbe superato gli 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Secondo gli scienziati, un'azione urgente per ridurre le emissioni di carbonio può ancora rallentare il riscaldamento.

Anche la superficie del mare mondiale ha raggiunto la temperatura media più alta mai registrata, come mostrato in questo grafico:

A portare le temperature stabilmente oltre gli 1,5°C ha concorso indubbiamente l’attività antropica, a partire soprattutto dalla combustione di combustibili fossili, che rilascia gas che riscaldano il pianeta come l'anidride carbonica. A questo si è aggiunta l’attività di El Niño, un fenomeno ciclico che causa il riscaldamento della superficie dell'Oceano Pacifico centro-orientale e contribuisce a spingere verso l'alto le temperature del pianeta. 

El Niño è, infatti, la fase calda di una fluttuazione naturale del sistema climatico terrestre (il cui nome completo è El Niño-Southern Oscillation, o ENSO) che normalmente dura un paio d'anni e che si aggiunge alla tendenza a lungo termine del riscaldamento globale causato dall'uomo. El Niño provoca fluttuazioni di anno in anno spostando il calore dentro e fuori dagli strati oceanici più profondi. Le temperature superficiali globali tendono a essere più fredde durante gli anni La Niña e più calde durante gli anni El Niño.

Le temperature medie globali dell'aria hanno iniziato a superare gli 1,5°C di riscaldamento su base quasi giornaliera nella seconda metà del 2023, quando El Niño ha iniziato a fare effetto, ed è continuato nel 2024 (come indicano i punti dove la linea rossa supera la linea tratteggiata nel grafico sottostante).

Ci si aspetta che quando l’azione di El Niño si fermerà, le temperature globali si stabilizzeranno temporaneamente per poi scendere leggermente, probabilmente di nuovo al di sotto della soglia di 1,5° C. Ma se le attività umane continueranno a far aumentare i livelli di gas riscaldanti nell'atmosfera, le temperature continueranno ad aumentare anche nei prossimi decenni.

Al ritmo attuale delle emissioni, l'obiettivo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a 1,5° C dai livelli pre-industriali come media a lungo termine - piuttosto che come singolo anno - potrebbe essere superato entro il prossimo decennio. Secondo i rapporti dell’IPCC, il superamento di quella soglia potrebbe avere conseguenze disastrose a catena per il pianeta potenzialmente irreversibili. Come, ad esempio, il crollo irreversibile della calotta glaciale dell'Antartide occidentale che potrebbe innescarsi una volta che il riscaldamento delle acque marine ne provocherà il ritiro nel profondo bacino sottomarino in cui si trova, portando a sua volta a un innalzamento fino a 3 metri del livello del mare. Il che potrebbe innescare altri effetti a catena, un ulteriore riscaldamento globale amplificando le emissioni di gas serra da fonti naturali, spiega in un articolo su The Conversation David Armstrong McKay, ricercatore in Sistemi di resilienza terresti alla Stockholm University. Tuttavia, aggiunge McKay, la maggior parte degli scienziati non si aspetta che il mondo raggiunga una serie di punti di svolta climatici in caso di superamento temporaneo degli 1,5°C. 

Effetti più forti ci saranno quando El Niño impatterà già su temperature medie globali di 1,5°C superiori all’era pre-industriale. In quel caso, “un futuro forte El Niño che spinga temporaneamente la temperatura media mondiale a 1,7°C potrebbe far sì che alcune barriere coralline inizino a morire prima che arrivi una La Niña di raffreddamento”, spiega ancora McKay. “Per altri sistemi che rispondono più lentamente al riscaldamento, come le calotte glaciali, la successiva La Niña dovrebbe (temporaneamente) bilanciare le cose”.

Abbiamo ancora spazio e tempo per intervenire. Con l’incremento delle tecnologie verdi e sulla base delle politiche e degli impegni attuali, alcuni scenari, come un aumento delle temperature globali di 4°C o più entro questo secolo - ritenuti possibili appena un decennio fa - sono ora considerati molto meno probabili.

E, cosa forse più incoraggiante, i climatologi ritengono che il pianeta possa smettere di riscaldarsi una volta raggiunte le emissioni zero nette di carbonio. Il dimezzamento effettivo delle emissioni in questo decennio è considerato particolarmente cruciale.

“Ciò significa che possiamo controllare il grado di riscaldamento del mondo, in base alle nostre scelte come società e come pianeta”, afferma Zeke Hausfather, scienziato del clima presso il gruppo statunitense Berkeley Earth. “La catastrofe non è inevitabile”.

Energia pulita, scioglimento dei ghiacciai e cattura del carbonio: l’Islanda sta già sperimentando il nostro futuro

“L’Islanda sta già vivendo nel nostro futuro” è il titolo del reportage del giornalista David Gelles sul New York Times. L’Islanda, scrive Gelles, offre una finestra sul nostro futuro collettivo per almeno tre aspetti: energia pulita, scioglimento dei ghiacciai e cattura del carbonio.

Il paese utilizza pochissimi combustibili fossili per alimentare la sua economia e riscaldare le sue case. L'85% dell'energia islandese proviene da fonti rinnovabili di produzione nazionale, soprattutto geotermica e idroelettrica. Il suo territorio si trova, infatti, in cima a una zona vulcanica attiva e sei grandi impianti geotermici sfruttano il calore del sottosuolo per fornire il riscaldamento a quasi tutte le case del paese. L'energia geotermica, prosegue Geddes, produce circa il 20% dell'elettricità dell’Islanda, il resto proviene dalla rete di centrali idroelettriche, mentre il petrolio è utilizzato principalmente per alimentare automobili, camion e i pescherecci.

Tuttavia, sebbene non sia uno dei principali produttori di emissioni, l’Islanda sta vedendo il suo paesaggio e la sua economia profondamente trasformati dagli effetti del cambiamento climatico.

Sebbene l'Islanda non sia uno dei principali produttori di emissioni che riscaldano il pianeta, gli effetti del cambiamento climatico stanno già trasformando il suo paesaggio e la sua economia. Uno dei suoi ghiacciai, l'Okjokull, si è completamente sciolto. Nei prossimi 200 anni, gli scienziati prevedono che anche gli altri, compreso l'enorme ghiacciaio Vatnajokull potrebbero scomparire. Alcune ricerche suggeriscono che lo scioglimento dei grandi ghiacciai potrebbe innescare una maggiore attività vulcanica e sismica. Le scosse sotterranee stanno già danneggiando le tubature di alcune città e innescando, a volte, improvvise alluvioni.

Il clima più caldo si ripercuote anche su piante e animali. Le piante autoctone dell'Islanda sono a rischio di estinzione a causa dell'aumento delle temperature e dell'arrivo di specie invasive. Uno dei pesci più importanti del paese, il capelin, è periodicamente scomparso a causa del riscaldamento delle acque. E come tutte le città costiere del mondo, la capitale dell'Islanda, Reykjavik, è minacciata dall'innalzamento del livello del mare.

Tra le tecnologie in via di sperimentazione c’è la controversa cattura e stoccaggio del carbonio. Un'azienda locale, Carbfix, si occuperà della cattura dell’anidride carbonica e del suo sequestro nel sottosuolo. Un’azienda svizzera, Climeworks, ha realizzato in Islanda i suoi due impianti più grandi di estrazione direttamente dall’aria.

Gli abitanti di Parigi hanno votato per triplicare il costo dei parcheggi per i SUV

In un referendum tenutosi lo scorso 4 febbraio, gli abitanti di Parigi hanno votato per triplicare il costo dei parcheggi per i SUV. A favore ha votato il 54,6%. Tuttavia, l'affluenza alle urne - pari a circa il 5,7% degli elettori registrati a Parigi - è stata inferiore a quanto sperato dai sostenitori della campagna referendaria.

“I parigini hanno fatto una scelta chiara... altre città la seguiranno”, ha commentato la sindaca, Anne Hidalgo, aggiungendo che la sicurezza stradale e l'inquinamento atmosferico sono stati i motivi principali del voto. In precedenza, la Hidalgo aveva descritto la proposta di limitare la presenza dei SUV aumentando i prezzi dei parcheggi come “una forma di giustizia sociale”: l'obiettivo era quello di colpire i conducenti più ricchi di auto costose, pesanti e inquinanti che non hanno ancora modificato il loro comportamento per affrontare la crisi climatica. Il referendum è arrivato, infatti, mentre la città è impegnata a ridurre le emissioni e l'inquinamento atmosferico.

Sotto l’amministrazione Hidalgo, Parigi ha aumentato la pressione sugli automobilisti aumentando i costi dei parcheggi, vietando gradualmente i veicoli diesel ed espandendo al contempo la rete di piste ciclabili. La città ha ridotto il numero di parcheggi su strada per spingere gli automobilisti a utilizzare i parcheggi sotterranei. Il Comune ha dichiarato che l'uso delle biciclette è aumentato del 71% dalla fine dei lockdown per la pandemia al 2023.

Il vicesindaco di Parigi con delega ai trasporti, David Belliard, del partito dei Verdi, ha dichiarato che circa il 10% dei veicoli di Parigi sarà colpito dall'aumento delle tariffe di parcheggio, che potrebbero fruttare alla città fino a 35 milioni di euro all'anno.

Il gruppo di pressione degli automobilisti '40 Millions d'Automobilistes' ha sostenuto che gli automobilisti dovrebbero essere liberi di scegliere il veicolo che desiderano, avvertendo che la mossa di aumentare le tariffe di parcheggio è ingiustificata e opera di "una minoranza ultra-urbana e anti-auto".

Portogallo, la sfida di Cascais: raggiungere la neutralità carbonica attraverso tecnologie e comportamenti individuali

Cascais, nota meta turistica del Portogallo, è una delle città più innovative in Europa per combattere il cambiamento climatico. Attraverso la sperimentazione di innovazioni tecnologiche, una gestione sostenibile delle risorse e il coinvolgimento dei cittadini, sta provando a diventare la prima città portoghese a emissioni nette zero entro il 2050. E, contestualmente, un punto di riferimento per l'innovazione e lo sviluppo sostenibile nel contrasto al cambiamento climatico. 

Gli abiti di azione sono diversi. Innanzitutto, la mobilità sostenibile. Il Comune ha ideato MobiCascais, una piattaforma che integra diversi operatori di servizi di trasporto e una rete di infrastrutture e attrezzature. L'obiettivo è offrire un insieme diversificato e flessibile di soluzioni e servizi di mobilità che soddisfino le esigenze degli abitanti, dei lavoratori e dei turisti e incentivare l’uso del trasporto pubblico e delle soluzioni di mobilità dolce. 

Altro ambito di intervento è il consumo di suolo. Attraverso il progetto Oxigénio, Cascais sta provando a difendere la natura e la biodiversità. Il progetto punta a coinvolgere la comunità in azioni di conservazione della natura. 

Infine, il Comune sta intervenendo sulla riduzione della produzione e sul riciclo di rifiuti. Il sistema di gestione dei rifiuti combina l'uso di contenitori interrati con una tecnologia di sensori di livello di riempimento a distanza. Mentre i contenitori interrati riducono l'impatto visivo e massimizzano l'uso dello spazio urbano, i sensori remoti di livello di riempimento installati in questi contenitori consentono di attivare e gestire una raccolta intelligente quando questi sono quasi pieni. I sensori leggono il livello dei rifiuti in ogni contenitore e trasmettono i dati a una piattaforma di gestione centrale che permette di determinare quando e come i veicoli di raccolta devono iniziare il loro percorso. Questa piattaforma di gestione è accessibile da remoto con un qualsiasi browser web. L'installazione di contenitori interrati per i rifiuti e la loro dotazione di sensori di livello di riempimento a distanza ha consentito di ridurre i costi dei servizi municipali per i rifiuti di Cascais, migliorando al tempo stesso i servizi.

Negazionismo climatico: lo scienziato del clima Michael Mann vince una causa per diffamazione di 1 milione di dollari

Lo scienziato del clima statunitense, Michael Mann, ha vinto una causa per diffamazione di 1 milione di dollari contro Rand Simberg e Mark Steyn che in due articoli separati avevano definito le sue analisi sul riscaldamento globale fraudolente e paragonato la sua attività di ricerca alle molestie di un allenatore nei confronti di alcuni minori.

“Il verdetto di oggi ristabilisce la buona reputazione di Mike Mann. È anche una grande vittoria per la verità e per gli scienziati di tutto il mondo che dedicano la loro vita a rispondere a domande scientifiche vitali che hanno un impatto sulla salute umana e sul pianeta”, ha commentato su X uno degli avvocati del climatologo.

Il caso risale a 12 anni fa. Nel 2009 alcuni negazionisti climatici avevano iniziato a sostenere che Mann, diventato noto per il famoso grafico del “bastone da hockey” per rappresentare l’andamento del riscaldamento globale, pubblicato per la prima volta nel 1998 su Nature, avesse manipolato i dati nelle sue ricerche. Tuttavia, le indagini della Penn State University e un’analisi delle e-mail da parte dell'Associated Press, non avevano rilevato alcun uso improprio dei dati da parte di Mann. Nell’introduzione di questo ebook ricostruivamo l’intera vicenda.

Nonostante questo, nel 2012, il Competitive Enterprise Institute, un thinktank libertario, pubblicava un post di Rand Simberg che paragonava le indagini della Penn State University sul lavoro di Mann al caso di Jerry Sandusky, un ex assistente allenatore di football condannato per aver aggredito sessualmente diversi bambini. “Si potrebbe dire che Mann sia il Jerry Sandusky della scienza del clima, solo che invece di molestare bambini, ha molestato e torturato dati”, aveva scritto Simberg. Successivamente, in un altro articolo su National Review, Mark Steyn aveva definito la ricerca di Mann “fraudolenta”, riprendendo il post di Simberg.

Iscriviti alla nostra Newsletter


Come revocare il consenso: Puoi revocare il consenso all’invio della newsletter in ogni momento, utilizzando l’apposito link di cancellazione nella email o scrivendo a info@valigiablu.it. Per maggiori informazioni leggi l’informativa privacy su www.valigiablu.it.

Mann ha citato in giudizio i due autori degli articoli e i loro editori. E ora, a 12 anni di distanza, ecco la sentenza che condanna Simberg e Steyn rispettivamente al pagamento di mille e un milione di dollari.

“Spero che questo verdetto dia un messaggio inequivocabile, e cioè che attaccare falsamente gli scienziati del clima non è senza conseguenze", ha dichiarato Mann.

I dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera

Immagine in anteprima: frame video BBC via YouTube

Segnala un errore