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Algeria: manifestazioni in tutto il paese. Anche i giornalisti in piazza contro la censura

3 Marzo 2019 6 min lettura

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Algeria: manifestazioni in tutto il paese. Anche i giornalisti in piazza contro la censura

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5 min lettura

di Marco Cesario

Otto anni dopo le marce del sabato, in piena primavera araba, quando migliaia di persone avevano risposto, invano, agli appelli del Coordinamento Nazionale per il cambiamento e la democrazia (CNCD), il popolo algerino torna di nuovo in piazza par allontanare lo spettro di un quinto mandato del presidente Abdelaziz Bouteflika, al potere dal lontano 1999 e parzialmente invalido dopo aver subito un ictus nel 2013.

Manifestazioni in tutto il paese, scontri violenti ad Algeri

Venerdì scorso, e per la seconda settimana consecutiva, ci sono state manifestazioni “monstre” in tutta l’Algeria, dalla capitale Algeri ad Orano e Costantine (seconda e terza città più grande del paese) ma anche in molte altre wilayas (prefetture) e città tra cui Blida, Tizi-Ouzou, Béjaïa, Skikda, Annaba, Bouira, M'sila, Sétif, Biskra, Batna, Médéa, Tiaret e Sidi Bel Abbès. Al momento non esistono cifre ufficiali sul numero totale di manifestanti scesi in piazza in risposta ai diversi appelli lanciati sui social (il ministero degli interni algerino si rifiuta di fornire stime ufficiali) ma secondo diverse associazioni per i diritti umani, ONG e giornalisti sul posto si parla di diverse centinaia di migliaia di persone e forse addirittura di un milione in tutta l’Algeria tra le marce del 22 Febbraio e quelle di venerdì 1 Marzo. Numeri che spaventano il regime che non ha ancora ufficialmente preso posizione rispetto alle proteste.

Nella capitale Algeri, migliaia di persone si sono radunate in prossimità del palazzo presidenziale per esprimere la propria collera. Ci sono stati violenti scontri tra gruppi di giovani che hanno lanciato pietre in direzione delle forze dell’ordine a presidio del palazzo presidenziale, sopraffatte in numero dai manifestanti. Alcune vetrine di negozi e banche sono state distrutte, auto incendiate. La polizia ha risposto con il lancio di lacrimogeni e granate stordenti per disperdere la folla. Il bilancio degli scontri è di un morto, 56 poliziotti e 7 manifestanti feriti e di 45 arresti.

“Una seconda indipendenza” dice El Watan

E intanto il governo resta muto. Come ricorda il sito d’informazione algerino Tout sur l’Algérie, le manifestazioni non sembrano aver smosso un establishment cristallizzato nell’esercizio del potere da oltre vent’anni. Le uniche prese di posizione dell’entourage di Bouteflika, che non parla direttamente al proprio popolo dal lontano 2013, sono state quelle di agitare lo spettro di uno “scenario siriano in Algeria”, nel maldestro tentativo di soffocare ogni velleità di cambiamento.

Il quotidiano Liberté Algérie intanto parla di straordinaria “lezione di storia” data dai manifestanti al governo. In effetti molte manifestazioni si sono svolte pacificamente e ad esse hanno partecipato praticamente tutte le frange della società di un paese tra l’altro molto giovane (il 60% della popolazione algerina ha meno di 40 anni). “Uomini, donne, giovani, vecchi bambini… tutti all’appuntamento con la Storia per ricordare che sono loro, nessun altro, l’avvenire della Nazione” ha chiosato il quotidiano.

Lo scrittore algerino residente Kamel Daoud, vincitore del Premio Goncourt per il suo romanzo “Meursault, contro-inchiesta”, commentando gli eventi su RTL ha sottolineato che il cambiamento principale “è che la gente non ha più paura. Il muro della paura è stato abbattuto". Per il principale quotidiano algerino El Watan questa mobilitazione sarebbe quasi una “seconda indipendenza” dopo quella del 1962.

Chi comanda in Algeria?

Mentre Bouteflika, dopo aver ufficialmente lanciato la sua quinta candidatura presidenziale, è in cura in questi giorni in Svizzera, l’establishment non vacilla e tiene in mano saldamente le redini del potere. Ma se Bouteflika è praticamente un fantasma dal 2013, un fantoccio le cui apparizioni pubbliche vengono centellinate soltanto nelle cerimonie ufficiali, chi comanda realmente in Algeria?

Un’oligarchia di quattro uomini, come ricordano alcuni specialisti e storici dell’Algeria in queste ore convulse. Con Abdelaziz Bouteflika che oramai è solo un paravento, altri tre uomini muovono le fila del potere alla sua ombra. Si tratta degli epigoni del famoso Clan d’Oujda, un sistema di potere politico-militare che affonda le sue radici direttamente nelle guerre di liberazione del Fronte Liberazione Nazionale (FLN). Composta da intellettuali, proprietari terrieri, ausiliari dell’amministrazione, studenti e dirigenti, Il Clan d’Oujda, o Gruppo di Tlemecen, era controllato da combattenti algerini dell’allora Esercito di Liberazione nazionale (ALN), ritiratosi dietro la frontiera marocchina dall'inizio dell'insurrezione del 1954. Del clan faceva parte lo stesso Bouteflika (che all’epoca si faceva chiamare Abdelkader El Mali). Ex ministro degli Esteri negli anni '60 e '70, Bouteflika si ritirò dal potere politico dopo la morte di Houari Boumediene nel 1979 salvo poi ritornare, su invito dei militari, per assumere il comando del Paese nel 1999 dopo le dimissioni del generale Liamine Zeroual. Negli anni Bouteflika ha estromesso i capi dell'esercito dei circoli decisionali, ha rafforzato i suoi poteri modificando due volte la Costituzione, ha ridotto l'opposizione a un ruolo marginale e ha permesso a una nuova classe di imprenditori di emergere all’ombra del suo potere indiscusso.

Il secondo uomo forte del governo è Saïd Bouteflika, consigliere e fratello del presidente, uomo ombra che sceglie ministri, detta gli ordini al primo ministro, delinea le politiche governative e dà istruzioni anche ai responsabili dei media.

Il terzo personaggio è Ahmed Gaïd Salah, tenente generale e viceministro della difesa, uomo forte e fedelissimo di Bouteflika che controlla l’esercito.

Il quarto è Athmane Tartag, generale maggiore e capo dei servizi segreti algerini che dopo l’ictus del presidente ha fatto riformare il Dipartimento dell'Intelligence e della Sicurezza (DRS) dandogli più poteri e sganciandolo dal ministero della difesa. Athmane Tartag è anche l’uomo di facciata, che appare in pubblico, lasciandosi fotografare e filmare ma senza mai concedere interviste ai media.

Giro di vite contro i media, giornalisti in piazza e poi arrestati

Per evitare forse che la protesta si allarghi a macchia d’olio il governo si è prodigato in un giro di vite eccezionale contro i media. In risposta al coprifuoco mediatico imposto dalle autorità algerine che volevano silenziare a monte le marce di protesta del 22 febbraio scorso (i cortei in tutta l’Algeria non sono stati coperti né dalla televisione pubblica né da emittenti private), centinaia di giornalisti hanno scelto di rompere il muro di omertà scendendo in piazza ad Algeri giovedì scorso per denunciare le pressioni su editori e direttori di giornali e media allo scopo di censurare la protesta da televisioni, radio e quotidiani mentre sui social sfilavano le immagini dei cortei in tutto il paese.

Decine di giornalisti sono stati arrestati uno dopo l’altro senza un motivo apparente, come constatato da una corrispondente dell’AFP. Il corteo di giornalisti si è poi diretto alla Tahar Djahout Press House - che prende il nome da uno dei primi 100 giornalisti algerini uccisi durante il "decennio nero" (1992-2002) della guerra civile - prima di essere dispersi dalle forze dell’ordine. Il Ministro algerino delle comunicazioni, Djamel Kaouane, ha fatto una brevissima apparizione durante la manifestazione, senza fare alcuna dichiarazione, prima di essere riportato in fretta sul suo veicolo.

Reagendo in un tweet agli arresti, Reporters Without Borders (RSF) ha chiesto il "rilascio immediato di tutti i giornalisti arrestati violentemente durante la manifestazione dei giornalisti in Place de la liberté de la presse”. Intanto i giornalisti dell’emittente statale ENTV, durante un sit-in davanti alla sede della televisione pubblica, hanno denunciato la censura, il tentativo di inquinare l’informazione del servizio pubblico, puntando il dito contro l’ arbitrarietà amministrativa" nei confronti di un loro collega che è stato "costretto a prendere un congedo forzato a causa di una posizione politica personale espressa sulla sua pagina Facebook”. Secondo il sito informativo Tout sur l'Algérie, una lettera, firmata da giornalisti, tecnici e dirigenti dell'emittente ENTV, è stata spedita al direttore della testata. Nella lettera si esprime il netto rifiuto di diventare uno strumento utilizzato per "nascondere o troncare" le informazioni. La battaglia, anche mediatica, per la libertà in Algeria è appena cominciata.

Foto in anteprima via notizie.virgilio.it

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