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“La mia paura e il mio odio”: il discorso del dissidente russo Alexey Navalny dal carcere

14 Agosto 2023 17 min lettura

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“La mia paura e il mio odio”: il discorso del dissidente russo Alexey Navalny dal carcere

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Alexey Navalny ha fatto arrivare dalla colonia penale, dove è rinchiuso per scontare la condanna definitiva a 19 anni di reclusione, il suo primo messaggio dopo la sentenza del 4 agosto. Un messaggio lungo, un vero e proprio testo politico sul passato e il presente della Federazione Russa, un giudizio severo sulle posizioni e le azioni sostenute e attuate in trent’anni dal sistema e dai suoi oppositori. Il testo, di cui viene fornita la traduzione completa, rappresenta un documento di grande importanza non solo per il dibattito all’interno del composito spazio dell’opposizione russa, ma costituisce un tentativo di uno sguardo molto critico verso un’epoca spesso troppo idealizzata (o demonizzata) a torto, come il primo decennio di vita della Russia post-sovietica, momento in cui si sono formate le istituzioni e le consuetudini del sistema, di cui Navalny evidenzia le continuità e le responsabilità nel favorire la torsione autoritaria che ha portato alla situazione odierna di censura, repressione e guerra. 

Il leader in galera fa nomi e cognomi della spirale di corruzione e di instaurazione di un regime sempre meno democratico in quegli anni, senza risparmiare nessuno: assieme a Boris Eltsin c’è la figlia Tatiana, figura influente della cerchia andata a formarsi attorno al padre (nota come la famiglia) e sposata a Valentin Yumashev, già a capo dell’amministrazione presidenziale tra il 1997 e il 1998 e poi consigliere di Putin fino al 2022 (a loro si riferisce Navalny quando scrive delle ville di Valia e Tania); Anatoly Chubais, padre delle privatizzazioni selvagge, è accusato assieme alla “banda di venduti” di aver depredato il paese, distrutto l’economia al collasso dopo il crollo dell’URSS, così come i governi dei riformatori, responsabili di aver bloccato quelle riforme necessarie a garantire un robusto sviluppo democratico, come nel caso di quella giudiziaria, per sostenere invece i propri interessi volti all’arricchimento personale. E son stati i riformatori a cooptare gli uomini dei servizi al vertice del paese, prima in posizioni subordinate e poi, come nel caso di Putin, la cui candidatura a successore di Eltsin venne avanzata tra gli altri da Yumashev, a dirigere il governo e il potere: secondo Navalny non vi è stato bisogno di modificare radicalmente gli assetti istituzionali e legislativi, perché già in quegli anni era tutto pronto per la svolta autoritaria. 

La disamina del blogger è spietata e presenta anche un’autocritica per aver creduto e accettato le giustificazioni e le posizioni dell’epoca, come nel caso della falsificazione delle elezioni presidenziali del 1996, dove Eltsin vinse tra irregolarità e pressioni di ogni tipo contro Gennady Zyuganov, ancora oggi alla testa del Partito comunista della Federazione Russa. L’aver evitato di percorrere il cammino verso una reale democrazia presenta i suoi conti oggi anche nel campo dello sviluppo sociale ed economico, dove il distacco con le condizioni di vita di alcuni dei paesi dell’Europa orientale (Navalny cita Polonia, Estonia, Repubblica Ceca e Lituania) è tangibile anche nel salario medio.

La confessione, come viene definita dallo stesso autore in apertura, ha suscitato numerose polemiche, concentrate più sui nomi citati nel documento che sui contenuti: tra le righe troviamo menzionati l’ex direttore della radio Ekho Moskvy Alexey Venediktov, la giornalista e conduttrice televisiva Ksenia Sobchak, il blogger e attivista Maksim Kats e il direttore di Novaya Gazeta-Evropa Kirill Martynov. Nei primi due casi, l’FBK, il Fondo per la lotta alla corruzione istituito da Navalny, ha pubblicato sul canale YouTube del proprio leader lo scorso 7 marzo un’inchiesta su come Venediktov e Sobchak abbiano ricevuto dall’amministrazione della città di Mosca finanziamenti nell’ordine delle centinaia di milioni di rubli per vari progetti. A destare particolare scalpore è come nel caso dell’ex direttore di Ekho Moskvy gli appalti, ammontanti a più di 680 milioni di rubli per la pubblicazione di giornali di quartiere, siano coincisi con la sua promozione del voto elettronico per le elezioni alla Duma del 2021, durante le quali ha presieduto la commissione attestante la regolarità delle operazioni online. Un ruolo particolare, perché i risultati della consultazione scaturiti dalle urne in 9 dei 15 collegi di Mosca sono stati ribaltati dal ritardato arrivo dei voti via internet, dando via a contestazioni durate settimane, ma ancora oggi Venediktov, come allora, rivendica come corrette le operazioni online.

Ksenia Sobchak, figlia di Anatoly, primo sindaco di San Pietroburgo e padrino politico di Putin, già candidata alle presidenziali del 2018, invece avrebbe ricevuto per la propria agenzia June i July venti milioni di rubli per ricerche sul mercato della moda nella capitale russa. Il conflitto con Kats va invece avanti da ormai dieci anni, quando l’ex deputato di quartiere, che aveva sostenuto Navalny alle elezioni a sindaco del 2013, rompe dopo le accuse, provenienti anche da altri attivisti del campo liberale, di aver lavorato per varie agenzie governative: critiche sempre respinte da Kats, che in più occasioni ha solidarizzato, non senza distinguo, con l’ex candidato a sindaco ora in galera. A Kirill Martynov, giornalista e già docente di filosofia alla Higher School of Economics, università da cui è stato licenziato nel 2020 assieme ad altri insegnanti per le loro idee contrarie alla linea putiniana, viene rinfacciato il suo passato in Russia Unita, ormai risalente a più di un decennio fa, attribuendogli erroneamente la militanza in Nashi (Nostri), movimento giovanile emanazione diretta del Cremlino nella seconda metà degli anni Duemila, e la direzione di Novaya Gazeta, giornale ancora oggi diretto dal premio Nobel Dmitry Muratov, due elementi seccamente smentiti su Twitter. 

Probabilmente a suscitare l’ira di Navalny è stato un tweet di Martynov, nel quale il giornalista critica l’FBK per la richiesta di provvedimenti contro la campionessa olimpica di salto con l’asta Elena Isinbayeva, già maggiore dell’esercito russo e ora trasferitasi in Spagna. Per il direttore di Novaya Gazeta-Evropa, nonostante la partecipazione al comitato per le riforme costituzionali nel 2020 e ancor prima il sostegno a Putin, oggi l’atleta è contro la guerra e per questo non comprende la campagna di FBK per la sua espulsione dal paese iberico. Navalny ritiene questi esponenti parte della frazione dei “sobianiniani”, nuovo termine coniato per descrivere chi vorrebbe un putinismo senza Putin ed eccessi repressivi che dovrebbe avere come suo leader il sindaco di Mosca Sergei Sobianin, un chiaro riferimento ai legami economici di Venediktov e Sobchak alla giunta comunale della capitale; al momento però si tratta di un timore avanzato dal politico in cella.

Quel che è importante davvero della confessione non sono però le scaramucce, alcune delle quali ormai annose, tra i sostenitori di Navalny e i suoi avversari nell’opposizione russa. I primi accusano i secondi di esser dediti a ogni sorta di compromessi, ma quest’ultimi invece rinfacciano loro la propria fede nel leader e un certo populismo considerato a buon mercato; proprio su quest’ultimo elemento in realtà vi è molto da riflettere. Da sempre il tentativo del blogger diventato prigioniero politico è di entrare in sintonia con gli umori della società russa, a volte anche con risultati equivoci e inquietanti, come nel caso dell’adesione, quindici anni fa, a posizioni e parole d’ordine nazionaliste e xenofobe. Gli anni Novanta rappresentano una ferita aperta nella coscienza civile della Federazione Russa, un momento immortalato in tanti film ma forse significativamente sintetizzato in una hit di Monetochka, la popolare cantante russa (anche lei dichiarata agente straniera nel 2022), intitolata proprio 90: “dividersi i chioschi con un amico in dacia è terribilmente divertente/è un po’ diverso farlo con il paese” recita un verso del testo, il cui videoclip gioca con stereotipi e rappresentazioni visive d’epoca (tra cui un omaggio alla pellicola Brat 2, vero e proprio cult di quegli anni).

I traumi fondativi dell’attuale sistema son tanti, dal bombardamento nel 1993 della Casa Bianca, allora sede del Soviet Supremo e oggi del governo, con la conseguente adozione di una costituzione totalmente sbilanciata sul potere esecutivo alle due guerre di Cecenia, dove la distruzione di Grozny si accompagnò ad atrocità di ogni genere e attentati terroristici; le privatizzazioni e il collasso economico a cui furono sottoposte le fasce più deboli della popolazione, prive di ogni tutela legale, hanno lasciato un’impronta profonda nella società, tanto da essere usata da Putin, parte di quel sistema, più volte come giustificazione per le continue svolte dell’ultimo decennio. Molti dei protagonisti dell’attualità, dal presidente a Prigožin fino a Mikhail Khodorkovsky, anche lui criticato nel testo di Navalny per aver fatto appello a unirsi alla Wagner nella sua marcia su Mosca, si sono formati e hanno costruito le proprie fortune in quel decennio, dove le aspirazioni alla libertà e alla giustizia son presto state soffocate da chi riteneva di poter sostituirsi ai processi sociali e democratici in nome di un nuovo ordine presto diventato sinonimo di corruzione, guerra e povertà per milioni di russi: una discussione in tal senso non è un mero esercizio di pura aneddotica storica o di accuse, ma un elemento imprescindibile per la Russia del domani, a cui Navalny guarda, dalla sua cella, con ottimismo e preoccupazione.

Qui il testo originale in russo, di cui di seguito riportiamo la traduzione.

Alexey Navalny, La mia paura e il mio odio

Da tanto volevo scriverne, e che sia il primo post dopo la nuova condanna, praticamente una confessione, devo vincere quest’odio e questa paura e forse potete aiutarmi.

Odio, a tal proposito in tanti mi chiedono, e di nuovo arrivano lettere: e allora, odi il magistrato? E Putin lo odi ancora di più? Ma io già prima ho detto tante volte che l’odio è la cosa più importante da vincere in prigione, qui vi sono tante ragioni per esso, e la tua impotenza è il più potente catalizzatore di questo processo, perché se si dà all’odio la libertà, ti ucciderà e divorerà.

Ma, confesso onestamente, l’odio c’è, tanto. I vecchi utenti di internet ricorderanno il meme: odio astiosamente, follemente. Ecco com’è nel mio caso e per di più questo avviene spesso dopo i “processi”, ma l’ultimo, invece, dove mi hanno dato 19 anni, non è di questi: al contrario, abbiamo fatto a gara nello scambiarci cortesie, e in tutto il processo nessuno ha alzato la voce. Si tratta del più pericoloso dei giudici: ti dà 19 anni e lo fa così che provi persino simpatia per lui.

Mi imbestialisco terribilmente dopo le sedute della corte distrettuale, dove sono casi semplici, non vi è spazio per macchinazioni giuridiche, ma i magistrati semplicemente e apertamente dicono, lì dov’è nero: “qui è bianco, guardate, nei documenti è scritto che è bianco”.

Ma anche se alle volte urlo, senza trattenermi, contro qualche “giudice” come Samojlov, non odio con il mio enorme astio lui, e nemmeno gli sbirri, i prepotenti, i ladri della colonia, e nemmeno gli agenti dell’FSB e chi gli dà gli ordini: addirittura, vi meraviglierete, nemmeno Putin. In quei momenti odio chi ho amato, per chi ho sofferto, ho polemizzato fino all’ultimo respiro, e mi odio per averli amati.

 Vi faccio un esempio: sono nella mia cella d’isolamento e leggo il libro di Natan Sharansky “Non temere alcun male” (ve lo consiglio). Sharansky è stato in galera in URSS per 9 anni e nel 1986 venne liberato con uno scambio, andò in Israele, fondò un partito, ottenne enormi successi, tra cui diventò ministro degli affari esteri, insomma, uno in gamba. Ha trascorso, tra l’altro, tra isolamento e celle di punizione 400 giorni, e davvero non so come ha fatto a sopravvivere.

Ecco, Sharansky descrive il suo arresto e le indagini, 1977, allora avevo un anno. Il libro uscì in URSS nel 1991 e allora avevo 15 anni, e adesso ne ho 47, e leggendo questo libro, a volte scuoto la testa per liberarmi dalla sensazione di star leggendo il mio fascicolo personale. Ad esempio: l’edificio delle celle d’isolamento e punitive è un fabbricato a parte circondato dal filo spinato, il periodo massimo in isolamento è di 15 giorni, e non mi meraviglierei se dopo altre “macchie” mi invieranno in cella di punizione come recidivo per sei mesi.

Nell’introduzione (vi ricordo che è del ‘91) Sharansky scrive che proprio nelle carceri si è conservato il virus del pensiero libero e spera che il KGB non troverà “l’antidoto a questo virus”. Sharansky sbagliava, l’antidoto è stato trovato, tale che oggi, nel 2023, in Russia vi sono più prigionieri che durante i tempi di Breznev e Andropov. Quindi che c’entra il KGB? Non vi è stato nel nostro paese nessun colpo di Stato, né strisciante né aperto, con a capo gente dei servizi segreti, non sono andati loro al potere, togliendolo ai democratici – riformatori. Son stati loro, i democratici-riformatori, a chiamarli, a invitarli, loro gli hanno insegnato come falsificare le elezioni, come rubare la proprietà di interi settori economici, come mentire sui media, come cambiare le leggi a proprio piacimento, come reprimere con la forza l’opposizione e addirittura come cominciare guerre idiote e inutili.

Per questo non posso farci niente e odio profondamente, ardentemente quelli che hanno venduto, si sono bevuti, hanno gettato nel nulla quella chance storica che ha avuto il nostro paese all’inizio degli anni Novanta. Odio Eltsin e “Tania e Valia”, Chubais e tutto il resto della famiglia di venduti che ha messo Putin al potere. Odio gli affaristi che chissà perché chiamiamo riformatori, adesso è chiaro come il giorno che oltre agli intrighi e al proprio benessere non si sono occupati di nulla. In quale altro paese così tanti ministri del “governo delle riforme” son diventati milionari e miliardari? Odio gli autori della più stupida e autoritaria costituzione che ci hanno venduto a noi idioti come democratica, costituzione che già allora dava al presidente le prerogative di un monarca assoluto.

Specialmente odio tutti perché non vi è stato nemmeno un serio tentativo di eliminare le basi della mancanza di legge, ovvero implementare la riforma giudiziaria, senza la quale tutte le restanti riforme sono condannate al fallimento. Adesso studio molto su questo: nel 1991 ancora quando c’era la RSFSR (Repubblica socialista federativa sovietica russa) era stata adottata un buon concetto di riforma giudiziaria, ma già dal ‘93 sono iniziate le controriforme, dirette alla costruzione della verticale giudiziaria. Allora tutte le forze politiche volevano processi onesti, vi era il consenso più totale nella società. Se allora il potere giudiziario indipendente fosse stato stabilito, una nuova usurpazione sarebbe stata impossibile o avrebbe incontrato forti difficoltà. Non vi confondete: quella cosa che oggi condanna gli innocenti a 8-15-20 anni hanno iniziato a costruirla molto prima di Putin. Adesso è chiaro: nessuno al Cremlino e al governo negli anni Novanta voleva una magistratura indipendente, perché questa avrebbe rappresentato un ostacolo sul sentiero della corruzione, della falsificazione delle elezioni, della trasformazione di governatori e sindaci in principini inamovibili.

Odio i “media indipendenti” e “l’opinione pubblica democratica” che hanno garantito ampio sostegno a uno degli avvenimenti più drammatici di svolta nella nostra storia recente – la falsificazione delle elezioni presidenziali del ‘96. Ripeto, allora ero un attivo sostenitore di tutto ciò, non della falsificazione delle elezioni, ovvio, non mi sarebbe piaciuto nemmeno allora, ma ho fatto di tutto per non accorgermene e l’ingiustizia generale di quelle elezioni non mi ha fatto vergognare nemmeno un po’. Adesso paghiamo perché nel ‘96 abbiamo pensato che falsificare i risultati delle elezioni non è sempre un male: il fine ha giustificato i mezzi.

Odio l’oligarca Gusinsky (anche se da tanto tempo non è più un oligarca) perché ha preso a lavorare apposta il vicedirettore del KGB Bobkov, responsabile della persecuzione dei dissidenti. Allora a loro sembravano scherzetti: ha-ha, prima arrestava gli innocenti ma adesso lavora per me, tipo un orso in livrea. Cioè non solo non c’è stata epurazione ma addirittura la promozione dei malfattori e adesso quelli che da giovani lavoravano sotto Bobkov arrestano Yashin, Kara-Murza e me.

Spesso dobbiamo ascoltare che il governo di Eltsin non poteva farci nulla, perché in Parlamento era contrastato dai comunisti, ma comunque questo non ha disturbato il meccanismo delle privatizzazioni nel ‘96, però, chissà perché, ha impedito la riforma giudiziaria e dei servizi segreti.

Odio tutta la leadership della Russia, che ha avuto nel ‘91 (dopo il putsch) e nel ‘93 (dopo il bombardamento del Parlamento) tutto il potere possibile ma non ha nemmeno provato a fare le riforme democratiche più banali, quello che è stato fatto nella Repubblica Ceca (dove oggi c’è la democrazia e il salario medio è di 181.000 rubli), in Polonia (democrazia e 179.000 rubli), Estonia (democrazia e 192.000 rubli), Lituania (democrazia e 208.000 rubli) e in altri paesi dell’Europa orientale. Certo, allora vi erano persone diverse al potere, tanto buone, oneste, sincere, ma questa minuscola minoranza, la cui lotta ostinata e fallimentare ci mostra ancora meglio la corruzione e l’incoscienza dell’allora élite al potere.

Tutto questo è successo non con Putin nel 2011, ma con Eltsin, Chubais, gli oligarchi e tutta la banda di ex del Komsomol e del partito (si intende il PCUS) che si definivano “democratici”, con loro nel 1994 siamo andati non in Europa, ma in Asia Centrale, abbiamo scambiato il nostro futuro europeo con le ville di “Tania e Valia” sull’isola dei milionari a Saint-Bart. E quando i famigerati putiniani del KGB/FSB hanno avuto accesso libero alle posizioni politiche, non hanno avuto bisogno di far nulla, solo di guardarsi attorno e esclamare sorpresi: ma quindi si poteva fare così? E se le regole del gioco son così, che si può rubare, mentire, falsificare, censurare, tutti i tribunali sono sotto il nostro controllo, vuol dire che qui ce la caveremo non male.

Abbiamo fatto entrare la capra dove ci sono i cavoli e poi ci meravigliamo che li ha mangiati tutti: è una capra, la sua missione e il suo obiettivo è di abbuffarsi di cavoli, non le viene in mente in testa nient’altro, è inutile dirle qualcosa, e così al funzionario putiniano dell’FSB non viene nulla né mai potrà venire in mente nulla se non costruire un’enorme casa e mettere in galera tutti quelli che non gli piacciono. Io non sopporto la capra, ma odio ardentemente e con astio chi l’ha fatta entrare dove stanno i cavoli.

Certo, capisco, sarebbe meglio non odiare nessuno e pensare come non ripetere tutto questo, e qui arrivo alla mia più grande paura: io non solo credo, ma so che la Russia avrà ancora una chance, è un processo storico. Saremo di nuovo di fronte a un bivio.

Salto su dal mio giaciglio terrorizzato e madido di sudore freddo quando sogno che abbiamo di nuovo una chance ma percorriamo ancora una volta la stessa strada degli anni Novanta, seguendo le indicazioni “il fine giustifica i mezzi”: lì, dove c’è scritto anche, in carattere più piccoli: “falsificare le elezioni non è sempre un male”, “ma guarda questo popolo, quali giurati popolari puoi trovarci”, “non importa se è un ladro, perché è un tecnocrate ed è per le piste ciclabili”, “dai a questa gente la libertà e vedrai chi eleggono”, “il governo alla fine è ancora l’unico europeo in Russia” e altre perle di saggezza dell’autoritarismo illuminato.

Quel che ho scritto sugli anni Novanta non sono esercizi di storia, riflessioni o lamentele senza senso, ma si tratta del più importante e attuale problema di strategia politica di tutti i sostenitori della via europea e dello sviluppo democratico. Sapete, su di me ha fatto grande impressione la raccolta di opinioni diverse sulle nostre inchieste su Alexey Venediktov e Ksenia Sobchak: hanno ricevuto decine e centinaia di milioni di rubli dal bilancio dello Stato, che serve da cassa per i membri di Russia Unita. Tra l’altro Venediktov ha ricevuto 550 milioni proprio nel momento in cui dirigeva la commissione di osservazione (delle elezioni) e organizzava direttamente il furto del voto degli elettori: è stato il volto, il sostenitore e il controllore del voto elettronico, il cui scopo è stato di prendere il vostro voto e spostarlo nel mucchio di Russia Unita.

Le falsificazioni del voto elettronico sono state dimostrate accuratamente e non presentano dubbi, ed ecco, mi son meravigliato che si è trovata una quantità considerevole di gente per cui né alcuni elementi de “i soldi dal bilancio statale e la falsificazione delle elezioni”, né tutto insieme “i soldi dal bilancio durante la falsificazione delle elezioni” sembrano essere vergognosi o significativi. Eh sì, una fesseria, sì, hanno combinato qualcosa, ma non ci sono prove che lo hanno pagato per la falsificazione, è stato al tempo dei mammuth, è iniziato nel 2019, nessuno se ne ricorda. Tutto questo non importa, adesso importa che è “contro la guerra”. Come era scritto in uno dei tweet sul tema: “Embé?” come idea nazionale.

È un esempio singolo, ma assieme alla situazione con Murzagulov, come gli appelli di Khodorkovsky a prendere le armi e unirsi alle schiere di Prigožin indica bene che anche oggi, nel ‘23, sullo sfondo delle repressioni, delle incarcerazioni e della guerra, la lealtà ai principi da noi viene messa in dubbio e viene vista da molti come qualcosa di ingenuo, romantico, come far la mosca bianca. La lealtà personale, l’appartenenza a una corporazione, una vecchia amicizia vengono considerate da molti come più importanti.

Non propongo in nessun caso di fucilare o impiccare Alexey Venediktov né di tagliargli i capelli, non c’è bisogno di nessuna bestialità ma si può NON APPROVARE quel che ha fatto (e continua a fare, raccontando che il voto elettronico non è stato falsificato) e non considerarlo come un alleato politico, perché scusate, se per noi è un alleato chi vende i nostri voti a Russia Unita, noi allora chi siamo, a che cosa serviamo?

Allora aderiamo a Russia Unita, fondiamo lì la frazione dei sobianiniani duri e puri (così li chiamo), le basi ci sono, e a giustificare i protagonisti di quasi ogni inchiesta del Fondo per la lotta alla corruzione subito corre il dream-team: Ksenia Sobchak, Alexey Venediktov, Maksim Kats e l’ex aderente ai Nashi ma adesso chissà perché direttore di Novaya Gazeta Kirill Martynov.

Andrà tutto alla grande, vi saranno un sacco di soldi, noi, i sobianiniani duri e puri, chiediamo: togliete subito da mezzo il cattivo Putin e dateci i buoni Sobianin e Mishustin, Shuvalov e Liksutov.

Non abbiate dubbi, domani vi sarà una nuova chance, quella finestra di possibilità, e proprio domani avremo a che fare con chi ritiene che qualche volta le elezioni bisogna abolirle o falsificarle (“altrimenti scelgono gli estremisti”), che comprare i giornalisti è una cosa normale (“noi non paghiamo nessuno, abbiamo solo chiesto a un oligarca nostro conoscente di comprare questo canale televisivo”), che è meglio tenere i magistrati sotto controllo (“altrimenti comprano i giudici e i giurati”), che non bisogna cambiare i quadri al potere (“sono professionisti, non possiamo prendere la gente dalla strada”) e così via, fino a quando l’appalto per costruire quel ponte dovrà essere assegnato non tramite concorso ma a “un buon assegnatario” con cui lavoriamo da tanto tempo, e la gente con queste idee non saranno né putiniani né comunisti, ma si faranno chiamare di nuovo democratici e liberali.

La vita reale è complicata, difficile e piena di compromessi con persone spiacevoli, ma noi dovremmo almeno evitare di diventare spiacevoli e di accogliere la corruzione con macchinazioni ciniche prima ancora che le condizioni esigano compromessi.

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Ho tanta paura che la lotta per i principi possa di nuovo essere persa sotto gli slogan della “politica realista”, consigliatemi, per favore, come liberarmi da questo odio e da questa paura, sarei molto interessato a leggere cosa ne pensate (…) Adesso, mi sembra, nessuno ha pensato nulla di meglio che restare fedeli a sé stessi e spiegare alla gente attraverso numerosi esempi (tra l’altro è appena uscito in russo il libro di Guriev e Treisman Spin dictators. The changing face of tyranny in the 21st century, lì ci son tante cose su questo, ve lo consiglio caldamente) che i principi democratici – pragmatismo, potere giudiziario indipendenti, elezioni oneste e uguaglianza di tutti davanti alla legge – sono i migliori meccanismi della severa vita reale nel percorso verso la prosperità, invece i fondi neri e i sogni di un buon dittatore son tutta una chimera, una ingenua sciocchezza.

Soltanto quando la stragande maggioranza dell’opposizione russa sarà composta da chi in nessun modo accetta elezioni truffa, processi farsa e corruzione, soltanto allora noi potremo davvero adoperare la possibilità che di nuovo, sicuramente, verrà, così che nessuno nel 2055 debba leggere il libro di Sharansky in cella d’isolamento pensando: ma è come adesso con me.

(Immagine anteprima via Wikimedia Commons)

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