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Altro che transizione, quella del ministro Cingolani è retroguardia ecologica

19 Luglio 2022 10 min lettura

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Altro che transizione, quella del ministro Cingolani è retroguardia ecologica

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Ricorderemo l’estate del 2022 come il periodo in cui tanti e tante si accorsero dell’irreversibilità della crisi climatica. Siccità, scioglimento dei ghiacciai, ondate di calore saranno il nostro pane quotidiano, dicono da più parti. Ma spiccano i silenzi del ministero della Transizione Ecologica. Dalla sua istituzione a marzo 2021 è passato poco più di un anno. Eppure l’organo di governo che più di tutti dovrebbe affrontare la crisi climatica, denunciandone cause ed effetti da una parte e proponendo progetti e soluzioni dall’altra, continua a schierarsi dalla parte di chi ha generato il disastro ecologico. Basti pensare che sulla tragedia della Marmolada è stato il premier Mario Draghi a metterci la faccia e a promettere “provvedimenti perché quanto accaduto abbia una bassissima probabilità di succedere e anzi venga evitato”. Da parte del titolare del ministero della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, al momento, non si registrano prese di posizione. 

Un silenzio che sorprende solo se non ci si ricorda della gestione del dicastero più delicato del governo Draghi, impegnato com’è a far coincidere tutela dell’ambiente e ripresa economica. Ecco allora che diventa necessario ripercorrere i principali episodi di quella che a tutti gli effetti si è manifestata come retroguardia ecologica. Non è solo un gioco di parole, anche perché non sarebbe neanche il primo. C’è chi ha definito il suo ministero “finzione ecologica”, chi ha parlato di “transazione ecologica", chi ha proposto “propaganda fossile”, chi ha trasfigurato il suo cognome in CingolEni (per sottolineare le posizioni del ministero schiacciate su quelle dell’azienda energetica), senza dimenticare chi ne ha invocato già le dimissioni. Quella della retroguardia ecologica, tuttavia, appare il terreno di posizionamento più consono alla linea politica portata avanti in poco più di un anno da colui che fu indicato da Beppe Grillo in persona. Serve dunque tracciare una piccola cronistoria delle azioni e delle parole più significative di Roberto Cingolani in questo lasso di tempo, affinché si possa comprendere il ruolo e la portata della transizione ecologica italiana, così come la intende il ministro. Nessuna pretesa di essere esaustivi, solo la volontà di offrire un punto di vista. 

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Per farlo si può partire da uno spunto di riflessione offerto dal giornalista ambientale Ferdinando Cotugno:

La transizione energetica intesa da Cingolani “ha spalancato le porte a ENI e Snam”, come si evince anche dalle recenti dichiarazioni dello stesso ministro che in un’intervista a SkyTg24 ha ringraziato le due aziende di Stato in merito agli stoccaggi di gas “per i salti mortali che stanno facendo”, dimenticandosi della “sorella” Enel che pure intende raddoppiare la capacità di stoccaggio. Una disparità di trattamento che è ancora più evidente se si pensa alla rapidità di esecuzione con la quale il governo Draghi ha commissariato le regioni Toscana ed Emilia Romagna per velocizzare l’installazione dei due rigassificatori galleggianti al largo di Piombino e Ravenna. Dall’altra parte quando il gruppo di Confindustria Elettricità Futura (di cui fa parte Enel) ha chiesto il commissariamento per velocizzare le installazioni di fotovoltaico ed eolico è stata accusata, dal ministro Cingolani in persona, di costituire una “lobby” a cui “non basta nulla”.

A colpire sono alcune posizioni discutibili che restituiscono il senso della transizione ecologica per il ministro Cingolani, come ad esempio, il sostegno ai biocarburanti (dove ENI è leader in Europa) su cui gli studi sono però discordanti. O la volontà, espressa in più occasioni, di “aumentare la produzione interna di gas non trivellando di più ma di usare di più i giacimenti che ci sono già”, ben prima degli effetti della guerra in Ucraina. Nonostante organizzazioni non certo ambientaliste-oltranziste, come la International Energy Agency (IEA), nel rapporto Net-Zero by 2050, abbia detto che nel percorso “più tecnicamente fattibile, conveniente e socialmente accettabile” per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, le fonti rinnovabili producono quasi il 90% dell’energia elettrica e l'energia nucleare contribuisce alla gran parte parte del rimanente 10%. Senza, dunque, estrazioni di fonti fossili.Inoltre, come sottolinea il think tank ECCO, "espandere la produzione di gas fossile italiano non avrebbe alcun impatto rilevante nel prezzo di mercato del gas e quindi per le bollette di imprese e consumatori. Al contrario, minerebbe la credibilità internazionale dell’Italia sul clima.(...) Il modo più efficace – oltre che l’unico coerente con gli obiettivi climatici – per superare questa criticità è ridurre la dipendenza dal gas puntando su rinnovabili, efficienza, reti, stoccaggi e flessibilizzazione della domanda. Nel dibattito di questi mesi l’efficienza energetica e la cultura del risparmio sono completamente assenti quando invece sono le componenti essenziali e prioritarie per affrontare una crisi energetica".

Di fronte a tali episodi non sorprende dunque che per tre grandi ambientalisti italiani come Mario Agostinelli, Alfiero Grandi e Massimo Scalia il ministro “sta alle politiche per l’ambiente come la volpe nel pollaio”. Se la metafora può sembrare eccessiva è perché forse abbiamo dimenticato le feroci e continue accuse di Cingolani alla galassia ambientalista. Un fuoco incrociato di cui non si ha memoria sin dalla nascita nel 1986 del ministero dell’Ambiente, da cui in teoria avrebbe origine l’attuale ministero della Transizione Ecologica.

Contro gli ambientalisti

Che gli piaccia o no, da quando ha accettato l’incarico del premier Draghi il ministro Cingolani è un politico. Quando ad esempio ha invitato a superare i referendum sul nucleare, in modo da favorire la ricerca e lo sviluppo su questa forma di energia, non stava facendo politica? Eppure proprio in quell’occasione il ministro ha sostenuto che “io questa cosa l'ho detta da fisico, non da politico”. Oppure si pensi al dogma perentorio per cui “non serve studiare quattro volte le guerre puniche, occorre cultura tecnica”, o ancora a quella volta che di fronte all’aumento esorbitante del prezzo del gas ha parlato di “speculazione”. Non sono, questi, assunti politici? Ciò nonostante, Cingolani rimane fedele all’immagine di un “problem solver”, per dirla con le parole con cui lo avrebbero indicato alcuni esponenti del Partito Democratico, e contrario a qualunque ideologia. Il suo passato da fisico e da manager di Leonardo lo ha fatto a più riprese schierare a favore di un “ambientalismo pragmatico”: è successo ad esempio presso la sede di Atreju, la festa dei giovani di Fratelli d’Italia, dove la sintonia con l’ad di ENI Claudio Descalzi era evidente

Al contrario, in quanto presunto “tecnico”, certamente non legato ad alcun partito, Cingolani pare essersi assegnato il compito di scagliarsi contro gli ambientalisti. Lo fa con rinnovato vigore ogni volta, senza neppure perdere tempo a inseguire tattiche note alle ong ambientaliste come la divisione in buoni e cattivi. Per il ministro gli ambientalisti sono un indistinto, un mucchio informe e imberbe da blandire, come ha testimoniato il recente confronto con Extinction Rebellion: l’incontro è arrivato dopo settimane di proteste e di presidi, in cui il ministro è apparso, a detta di chi c’era, “paternalista” e “vago”. L’attacco più virulento in ogni caso è arrivato a settembre 2021, durante un incontro di Italia Viva, quando Cingolani ha riesumato per gli ambientalisti la logora definizione “radical chic”, aggiungendo addirittura che sono “peggio della catastrofe climatica” e “parte del problema”. E quando qualche giorno dopo ha provato a chiarire, per non farsi mancare nulla ha aggiunto comunque l’accusa di “ipocrisia” nei confronti di chi “vuole le rinnovabili ma non nel proprio giardino”. Peccato che le associazioni e i singoli da tempo stiano chiedendo uno sforzo storico sulle rinnovabili, finora inascoltati. 

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Cingolani, poi, sembra nutrire una particolare avversione per Greta Thunberg. Se da una parte dichiara di ritenere offensivo il celebre “bla bla bla” con il quale la giovane attivista svedese ha sintetizzato gli impegni senza azioni dei governi, dall’altra l’ha invitata ad “avanzare proposte” (nonostante i 19 anni di età) in occasione della pre-Cop26 che si è tenuta a Milano, per poi essere beccato in un fuorionda mentre si autocomplimentava dichiarando “non c’è Greta che tenga”.

Ognuno sceglie gli avversari che vuole, ci mancherebbe. Ma dal ministro ritenuto più innovativo e visionario, ci si sarebbe aspettati che avrebbe colto le istanze più avanzate portate avanti dalla galassia ambientalista, invece di critiche qualunquiste che evitano di affrontare le osservazioni e le richieste più radicali.

Nota a margine: è interessante osservare come Il Foglio abbia praticamente eletto Cingolani come ministro di riferimento, con parecchie lodi al suo “sano pragmatismo”. Un interesse ricambiato, date le numerose interviste concesse. Negli attacchi agli ambientalisti, poi, si sfiora l’idolatria.

Alla testa dei conservatori in Europa

La sfida dei trasporti è una delle più complesse per il governo italiano - mette insieme Transizione Ecologica, Infrastrutture e Mobilità, Sviluppo Economico, Economia - e, allo stesso tempo, una delle più immediate da affrontare, dato che, come ha evidenziato un recente report del ministero guidato da Enrico Giovannini, “in Italia il settore dei trasporti è direttamente responsabile del 25,2% delle emissioni di gas a effetto serra e del 30,7% delle emissioni di CO2, a cui si aggiungono  le emissioni nel settore dell’aviazione e del trasporto marittimo internazionali”. Non è un caso che finora del cosiddetto “piano auto”, vagheggiato dal ministro Giorgetti, non si sia visto finora nulla. Mentre la filiera dell’automotive continua ad arrancare. Quel che però appare più interessante, ancora una volta, è la scelta portata avanti dal ministro Cingolani in Europa. L’ultimo banco di prova è stato il pacchetto Fit for 55, l’insieme di misure con le quali l’Unione europea intende ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030. Tra queste è previsto anche lo stop alla produzione di nuove auto a combustione - benzina, diesel, metano e gpl - a partire dal 2035. Ancora una volta il nostro paese ha giocato di rimessa, ponendosi alla testa degli Stati più conservatori - Bulgaria, Portogallo, Romania e Slovacchia - e proponendo di posticipare l'eliminazione dei motori a combustione dal 2035 al 2040 e di ridurre le emissioni di CO2 del 90% (anziché del 100%, come proposto da Commissione e Parlamento) nel 2035. Lo scopo, come rivendicato fieramente da Cingolani, è di favorire l’uso dei biocarburanti e tutelare i marchi di lusso (come Ferrari e Lamborghini), posticipando la transizione all’elettrico. Un altro caso di retroguardia, dunque, e nemmeno l’unico in Europa. 

Particolarmente ambigua e contraddittoria è stata la vicenda della direttiva Sup, di cui ancora non si intravede la fine e che anzi rischia di sfociare nell’ennesima procedura di infrazione da parte dell’Unione europea. Andiamo con ordine. Il 14 gennaio è entrato in vigore il recepimento italiano della direttiva Sup, la normativa comunitaria del 2019 che punta alla “riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente”. Con il decreto legislativo n. 196 dell’8 novembre 2021 il nostro paese, dopo più di due anni di rinvii e polemiche, si è finalmente adeguato al dettato comunitario. Lo ha fatto però interpretando la direttiva europea e inserendo, ad esempio, un comma aggiuntivo che salvaguarda il settore delle bioplastiche, la cui immissione sul mercato, secondo la Commissione, avrebbe dovuto invece essere vietata. Manco a dirlo, alla testa del fronte di resistenza c’è proprio Cingolani. Vale la pena ricordare che le richieste dell’Unione Europea sulla plastica monouso si collocano nella riduzione della produzione, vale a dire uno dei principi cardine dell’economia circolare. Così, mentre altri paesi hanno approfittato delle indicazioni comunitarie per accelerare l’addio alla plastica, dal ministero della Transizione Ecologica si attende persino un decreto attuativo che istituisca il deposito su cauzione, che potrebbe costituire un notevole supporto in questo momento di carenza di materie prime.

Dalla retroguardia all’inazione

L’ideazione e l’attuazione del PNRR, il Piano che ha destinato quasi 60 miliardi di euro alla Transizione Ecologica, avrebbe potuto essere un grandioso esercizio di democrazia, trasparente e partecipativo, invece così non è stato, specie per quel che riguarda la Transizione Ecologica, dove i territori non sono stati minimamente coinvolti. Allo stesso modo quando si parla di inquinamento e contaminazioni il ministro Cingolani perde il piglio risolutivo e si fa titubante: lo si è visto ultimamente con la drammatica vicenda di Taranto, in una seduta di question time alla Camera, in cui ha ammesso che su uno dei territori più insalubri d’Europa “a oggi non è possibile determinare quanti fondi siano necessari per le bonifiche”. In tutto questo dal suo dicastero si attende ancora il piano d’azione per la bonifica dei siti orfani, affinché siano resi operativi 500 milioni di euro che probabilmente neanche basteranno ma almeno potrebbero rivitalizzare pezzi di territorio sacrificati e marginali. In compenso il ministro ci tiene a ricordare che “i social inquinano” e invita i giovani alla “sobrietà digitale”. 

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L’elenco delle assenze però rischia di farsi lungo. Si pensi ad esempio ai decreti end of waste, attraverso i quali un rifiuto cessa di essere tale e diventa materia prima seconda, secondo le logiche dell’economia circolare. Si tratta di provvedimenti molto attesi da intere filiere. Ma, come ha denunciato Legambiente, “dopo il termine del mandato dell’ex ministro Sergio Costa non è stato più approvato nemmeno un decreto end of waste”. 

E ancora si potrebbe citare l’assenza di un piano di adattamento climatico o il ritardo nell’approvazione del decreto siccità, che tra l’altro prevede il solito ricorso a un commissario e poco altro. In questo caso, più che retroguardia è inazione ecologica. E, visti i tempi, non ce lo possiamo permettere. 

Immagine in anteprima via velvetmag.it

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