Le energie del mondo. Fossile, nucleare, rinnovabile: cosa dobbiamo sapere
10 min letturaPubblichiamo un estratto del libro "Le energie del mondo" (Laterza, 2025) di Gianluca Ruggieri, docente di Fisica tecnica ambientale all’Università dell’Insubria, dove si occupa di sostenibilità energetica, democrazia energetica e transizione ecologica, e tra i fondatori della cooperativa Ènostra, che promuove la produzione e distribuzione di energia rinnovabile, proponendo un modello energetico più equo e partecipativo.
Da piccolo ero uno di quei pochi bimbi appassionati di telegiornali, li guardavo sempre. Sono nato nel 1970, erano anni difficili, pieni di notizie drammatiche. Ma in particolare ricordo che quasi ogni edizione del notiziario citava la quotazione del petrolio sui mercati internazionali, a volte a corredo dell’ultima decisione dell’OPEC, l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, che sembrava detenere le chiavi dell’intera economia occidentale. All’epoca dell’embargo del 1973, che portò politiche di austerità e domeniche a piedi in Europa e nel nostro paese, ero ancora troppo piccolo, ma ho memoria della seconda crisi energetica, quella del 1979-1980.
In quegli anni il petrolio era di gran lunga la fonte di energia principale che alimentava i paesi industrializzati. Energia significava petrolio, e petrolio (perlopiù) significava OPEC. In seguito, paesi esportatori e paesi importatori trovarono un equilibrio di forze, che in sostanza era una forma di dipendenza reciproca. Il prezzo pattuito del petrolio era sufficiente a far crescere le enormi ricchezze dei paesi del Golfo Persico, ma al tempo stesso era sostenibile per chi importava.
Pur tra momenti di incertezza, come in occasione della crisi finanziaria del 2008, è questo equilibrio ad aver diluito negli anni la nostra percezione di quanto fossimo dipendenti da altri per i consumi energetici di ogni giorno. Anche perché, nel frattempo, tale dipendenza non riguardava più solo il petrolio ma le risorse fossili nel loro complesso, in particolare il gas naturale. Nel 2021 questa illusione di sicurezza è andata in frantumi.
Dall’estate di quell’anno, infatti, una serie di sfortunati eventi e di decisioni politiche scellerate portò al progressivo aumento del prezzo del gas sui mercati europei. Se in precedenza non avevamo mai superato i 0,30 €/m3, si arrivò a raggiungere i 2 €/m3 in occasione dell’invasione dell’Ucraina a febbraio 2022, per poi toccare la stratosferica cifra di 3,4 €/m3 in agosto: oltre 11 volte i prezzi di pochi anni prima. Nel nostro paese il prezzo all’ingrosso dell’elettricità passò dai 50-60 €/MWh dell’epoca pre-Covid agli oltre 300 €/MWh medi del 2023 (con punte che superarono i 600 €/MWh durante l’estate). Numeri che, detti così, suonano astratti, ma che hanno avuto ripercussioni concrete, traducendosi in piccole e medie imprese costrette a chiudere, posti di lavoro a rischio, ristoratori in ginocchio per il caro energia e così via.
Nel tentativo di limitarne l’impatto negativo su imprese e cittadini, questa vera e propria catastrofe economica è stata affrontata con un massiccio intervento da parte degli Stati. Ma, nonostante gli oltre 540 miliardi di euro di contributi pubblici spesi (oltre 1.200 € per ciascun cittadino dell’Unione Europea), ricordiamo bene le brutte sorprese che le bollette dell’elettricità e del gas ci riservarono in quei mesi. Pensate cosa sarebbe successo senza intervento pubblico.
La crisi energetica del 2021-2023 è la dimostrazione più recente, e per molti versi più eclatante, di cosa significhi “dipendenza”. In Italia, in particolare, nel 2020 il 40% dell’energia primaria era fornito dal gas naturale. E circa il 38% del gas naturale utilizzato proveniva dalla Russia.
Un dibattito inquinato
Tralasciando le analisi geopolitiche che si interrogano su passato, presente e futuro delle relazioni tra i paesi – non certo perché non siano rilevanti, ma perché non rientrano nelle competenze di chi scrive –, come cittadini e come consumatori è importante avere anzitutto accesso a chiavi di lettura oggettive e dati aggiornati che ci consentano di farci un’idea precisa su ciascuna fonte energetica: che ruolo hanno, come funzionano e su quali convenga investire.
Perché l’energia è un tema onnipresente, che abbraccia moltissimi aspetti tanto nel privato quanto nella vita di una nazione: dall’economia alla crisi climatica, dai conti pubblici ai bilanci familiari, dalle abitudini alimentari alle scelte personali… Che sia espressa in chilowattora, in euro, in calorie, in metri cubi di gas o in barili di petrolio, sempre di energia stiamo parlando.
Ma capirci qualcosa sull’energia, affidandosi solo a quello che si sente in giro, è praticamente impossibile. In Italia il dibattito pubblico sull’energia ha la brutta tendenza a divagare su temi in realtà poco rilevanti (come il nucleare) mentre perde di vista le grandi dinamiche in corso (la crescita impetuosa dell’energia rinnovabile e degli accumuli elettrici), ignora le conseguenze pratiche della dipendenza dalle fonti fossili e sopravvaluta gli impatti e i costi delle alternative.
È un dibattito che, anche quando nasce da dubbi più che legittimi, è poi spesso intenzionalmente inquinato da mezzi di informazione di proprietà di aziende che, guarda caso, hanno grandi interessi nel fossile, o che devono gran parte dei loro introiti alle inserzioni pubblicitarie pagate dai colossi del fossile.
A questi storici attori della disinformazione più o meno consapevole si è aggiunto negli ultimi anni tutto un sottobosco di voci attive sui social network che contribuiscono ad avvelenare i pozzi del dibattito informato.
In un contesto in cui ognuno tira acqua al suo mulino e manipola i dati a proprio piacimento, l’accusa preferita da scagliare contro i propri interlocutori è quella di essere “ideologici”. Ma è possibile fare un dibattito sull’energia (e sul clima) senza essere ideologici? Chi pensa che il contrasto alla crisi climatica sia un atto necessario al benessere di tutti è più o meno ideologico di chi ritiene che la crescita economica sia un obiettivo da perseguire anche a costo di sacrificare la sopravvivenza della civiltà umana per come la conosciamo?
La nostra visione del mondo e di ciò che contiene, ovvero la nostra ideologia, influenzerà sempre e comunque l’interpretazione che diamo della realtà e le scelte che decidiamo di compiere – e per fortuna è così. Il punto è poterci ancorare a qualche certezza di fondo, così da diventare indipendenti, quantomeno nelle nostre opinioni.
Punti fermi per orientarsi
Prima di immergerci nella discussione di dati e statistiche e di esaminare da vicino i vari tipi di energia, cominciamo allora col fare ordine su alcune nozioni di base, dal momento che di energia i giornali e le tv si occupano quotidianamente, ma non sempre veicolano informazioni corrette. Ciò non accade solo per malizia: a volte fraintendimenti e scivoloni sono dovuti proprio a una scarsa comprensione e conoscenza di certi concetti fondamentali.
Per esempio capita spesso di leggere o di sentire i termini “chilowatt” e “chilowattora” usati in maniera interscambiabile, e si tratta di un errore grave: è come se confondessimo il patrimonio con il reddito, o la velocità con la distanza percorsa.
Il chilowattora (kWh) è forse l’unità di misura più utilizzata per parlare di energia, anche se non fa parte del sistema internazionale, che invece utilizza i joule (indicati con il simbolo J). Un chilowattora equivale a mille wattora, e la presenza nella parola di “watt” e “ora” è l’indizio che si tratta di energia. Sono chilowattora quelli che paghiamo con la bolletta dell’elettricità o quelli che definiscono la classificazione energetica di un appartamento o di un frigorifero. E infatti quando si parla di energia è sempre opportuno indicare a quale periodo di tempo è riferita: la bolletta può considerare i consumi di un mese o di un bimestre, mentre la certificazione energetica considera i consumi annui. La velocità di questi fenomeni si misura invece in watt e nei suoi multipli (chilowatt, megawatt, gigawatt, terawatt e così via). Qui, come vedete, non c’è più il suffisso “ora” e ciò indica che stiamo parlando di potenza, che è quello che ci dice quanto rapidamente l’energia viene consumata, prodotta o scambiata. Ma perché è importante conoscere questa differenza?
Prendiamo, ad esempio, una serie di impianti di produzione di elettricità diversi tra loro ma che abbiano tutti una potenza di 800 MW (megawatt). Nel momento di massima produttività, ciascuno di questi impianti è in grado di fornire 800 MW alla rete; se questo momento dura un’ora, allora l’energia prodotta corrisponde a 800 MWh (cioè megawattora, con la comparsa di “h” che rappresenta appunto le ore).
Se l’impianto è eolico o solare, in un anno può funzionare per un numero limitato di ore a seconda dell’esposizione al vento e al Sole: mediamente, se ci basiamo sui dati del 2023, nell’Unione Europea possiamo considerare 2.200 ore l’anno per l’eolico e 1.100 per il fotovoltaico. Per impianti termoelettrici il funzionamento dipende da quando decidiamo di attivare le caldaie: nel 2023 nell’UE le ore di attività sono state 2.200 per impianti a gas e 2.900 per impianti a carbone. Mentre gli impianti nucleari, per loro natura, vengono fatti funzionare alla massima potenza costantemente, vista la complessità delle operazioni di regolazione: nel 2023 in UE hanno funzionato mediamente per 6.300 ore.
Che significa nel concreto? Significa che, a parità di potenza installata, un impianto nucleare ha prodotto mediamente quasi 6 volte più elettricità di un impianto fotovoltaico e quasi 3 volte di più di un impianto eolico. Insomma, se ci limitiamo a guardare solo alla potenza installata per ciascuna fonte, rischiamo di non avere chiara l’energia effettivamente producibile in un paese: non tutti i megawatt sono creati uguali.
Questo vale anche, nel nostro piccolo, per gli elettrodomestici di casa. Se confrontiamo le loro potenze elettriche scopriamo infatti che un asciugacapelli può arrivare a consumare anche più di 2.000 W, mentre un frigorifero di grandi dimensioni difficilmente supera i 250 W, un ottavo. Ma chi consuma di più tra i due? Se pensiamo solo alla potenza, cioè al consumo istantaneo, non ci sono dubbi che sia l’asciugacapelli. Il frigorifero però è sempre acceso, mentre l’asciugacapelli no. E questo fa la differenza se prendiamo in esame i consumi energetici, per esempio, di un intero anno. Anche se utilizza la potenza massima solo quando è attivo il compressore (cioè quando lo sentite ronzare), in un anno il frigorifero può arrivare a consumare 180 kWh di energia. Per consumare la stessa energia con l’asciugacapelli dovremmo farlo funzionare 90 ore all’anno, ovvero almeno 15 minuti ogni giorno, alla massima potenza. Davvero molto improbabile, a meno che in casa non ci siano tanti adolescenti.
L’energia non è tutta uguale
C’è poi un’altra importante distinzione, forse banale. Cioè quella tra energia elettrica (di cui abbiamo parlato qui sopra) ed energia, senza aggettivo. A livello globale, infatti, solo il 20% circa dell’energia finale è consumata sotto forma di elettricità. E anche nell’Unione Europea e in Italia questa quota arriva appena al 23%. Il resto è energia termica, cioè calore, prodotta dalla combustione di fossili, di biomassa o di biocombustibili.
L’elettricità può ovviamente essere prodotta in tanti diversi modi, ma se ci limitiamo a parlare solo del presunto duello tra rinnovabili e nucleare, stiamo dimenticando l’80% dell’energia finale che non è elettricità. Che poi quasi sempre è quella che tiene in moto automobili, navi e aerei, o che usiamo nelle industrie, per cucinare, per riscaldare le nostre case e molto altro ancora.
Un ulteriore fondamentale distinguo è quello tra energia primaria, energia finale ed energia utile. L’energia primaria è l’energia contenuta nelle risorse naturali ancor prima di qualsiasi trasformazione. Nel caso di risorse fossili, per esempio, è il totale dell’energia termica che, almeno in teoria, si potrebbe ottenere dalla loro completa combustione. Ma per poter utilizzare questa energia nelle aziende, negli edifici o nei mezzi di trasporto, è necessario estrarre le risorse, trasportarle e in alcuni casi lavorarle, come avviene nelle raffinerie. Si parla quindi di energia finale quando dall’energia primaria vengono sottratte tutte le perdite energetiche che hanno luogo lungo la catena di approvvigionamento. Se poi questa energia finale viene fornita come elettricità, vanno aggiunte anche le perdite che si verificano negli impianti di produzione (spesso superiori al 50% negli impianti a carbone o a gas) e lungo la rete elettrica (mediamente il 10% sulla rete italiana).
Per poter fornire un chilowattora finale, dunque, serve ben più di un chilowattora primario. Ma quanto? Fate conto che se il chilowattora finale è elettrico ed è prodotto in un impianto alimentato a energia fossile, a seconda del combustibile usato e di quanto va perduto nella fase di approvvigionamento avremo bisogno di circa due o tre chilowattora primari. In altri termini, un chilowattora elettrico è molto più prezioso (e costoso) di un chilowattora termico.
Ora forse abbiamo più chiari i termini della questione, ma a noi in realtà non servono né l’energia primaria né quella finale. Ci serve l’energia utile, cioè quella effettivamente sfruttata per i nostri scopi, che siano l’illuminazione degli ambienti, il trasporto di persone o cose, il benessere termico degli edifici e così via.
Anche qui, a seconda delle filiere e delle tecnologie a cui ricorriamo, possiamo avere la stessa disponibilità di energia utile con consumi di energia primaria molto diversi. Le filiere rinnovabili, per esempio, essendo più corte, cioè più vicine al punto di consumo, e non basandosi sulla combustione (se si escludono le biomasse), sono in generale molto più efficienti di quelle fossili. E ciò fa sì che per sostituire una certa quantità di energia fossile primaria ne serva molta meno di rinnovabile.
Detta in altre parole: non dobbiamo rimpiazzare tutta l’energia contenuta in ogni barile di petrolio con un numero di pannelli fotovoltaici o di pale eoliche equivalenti, perché la filiera rinnovabile è molto più efficiente. Ed è per questo che, se guardiamo solo all’energia primaria che oggi forniscono idroelettrico, fotovoltaico ed eolico, le cifre disponibili potrebbero sembrare insignificanti. “Solo” il 12% a livello globale. In realtà, ne stiamo largamente sottostimando il ruolo in termini di energia finale e di energia utile.
Quindi, riassumendo: dire energia non è lo stesso che dire potenza; l’elettricità fa storia a sé; e c’è un bell’abisso tra energia primaria, finale e utile. Di conseguenza, è inutile litigare sul fatto che siano meglio le rinnovabili o il nucleare per produrre elettricità, se poi non sappiamo come sostituire il fossile per il riscaldamento delle case, nelle industrie e nei trasporti.
Inutile sognare di eliminare il fossile dal settore elettrico, se non abbiamo idea di come modificare il sistema elettrico stesso per integrare al meglio eolico e fotovoltaico, che sono fonti dalle caratteristiche completamente diverse rispetto a carbone e gas. Inutile chiedersi come produrre l’energia che ci serve, senza avere chiaro quanta effettivamente ce ne serve e quando sia possibile risparmiarla, con i comportamenti e le tecnologie appropriati.
E inutile anche ragionare sull’evoluzione del sistema energetico italiano da solo, come se non fosse pienamente integrato in quello europeo, ben aldilà dei confini dell’UE. Se anche questo “piccolo glossario energetico” non avrà risposto a molte delle nostre domande, tenere a mente questi punti fermi è il primo passo per potersi informare in maniera autonoma, evitando di cadere nei tranelli di cui è disseminato il dibattito pubblico.
Immagine in anteprima via Laterza

LUCA SPINELLI • CONSULENTE FINANZIARIO
Con rigore e chiarezza hai reso comprensibile un tema che spesso viene semplificato o distorto e di cui invece dovremmo tutti capire molto di più ;-)