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Chi ha paura di Radio Free Europe? Gli interessi convergenti di Trump, Orbán e Putin

30 Dicembre 2025 6 min lettura

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Chi ha paura di Radio Free Europe? Gli interessi convergenti di Trump, Orbán e Putin

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di István Fülöp – Traduzione di Stefano de Bartolo | Voxeurop*

Un altro pilastro dell’informazione indipendente è stato abbattuto in Ungheria con la chiusura, il 21 novembre, del sito di notizie in lingua ungherese di Radio Free Europe. Dal 2020 era gestito dall’Agenzia globale per i media degli Stati Uniti (USAGM), ma la sua esistenza era già stata messa a rischio a marzo, dopo che il presidente americano Donald Trump aveva firmato un decreto che, nell’ottica di una drastica riduzione dei costi, aveva ridotto al minimo le attività di numerose agenzie governative, tra cui l’USAGM.

Il 15 marzo l’agenzia aveva informato per lettera Radio Free Europe (RFE – Radio Free Europe), che fornisce notizie in 23 paesi in 27 lingue gestendo principalmente un portale di notizie, della cessazione del sostegno. La RFE ha chiesto immediatamente una tutela legale, a seguito della quale Kari Lake, consulente del direttore dell’USAGM (in realtà l’esecutore dell’intero piano), ha fatto marcia indietro. Ciò ha garantito che almeno i restanti 77 milioni di dollari del budget di 150 milioni approvato dal Congresso fossero effettivamente versati all’organizzazione. Si tratta di un totale di 50 miliardi di fiorini, pari a quasi un terzo di quanto spende l’emittenza pubblica ungherese.

Ad aprile, un giudice federale ha obbligato l’agenzia a versare altri 12 milioni di dollari di sovvenzioni trattenute, ma a quel punto centinaia di dipendenti erano già stati messi in ferie non retribuite e i collaboratori esterni erano stati completamente licenziati. Tuttavia, i tribunali statunitensi hanno stabilito che l’amministrazione Trump non può trattenere arbitrariamente i fondi già stanziati dal Congresso, ma non ha vietato la ridistribuzione di fondi tra i vari servizi di informazione linguistici, la chiusura di alcune redazioni o il funzionamento nel 2026 di Radio Free Europe con una struttura completamente diversa.

L’USAGM dovrà quindi continuare a gestire RFE quest’anno, quasi contro la sua volontà, con un organico drasticamente ridotto. Kari Lake aveva già sostenuto in precedenza che l’amministrazione Trump non dovrebbe spendere il denaro dei contribuenti americani per la creazione di contenuti nei paesi alleati NATO, e ha anche affermato che l’obiettivo originale del lancio di Radio Free Europe non è più in linea con gli attuali interessi nazionali americani. Inoltre Lake, che ha anche un selfie con Viktor Orbán, in una lettera inviata a un membro del Congresso della Florida ha affermato chiaramente che Radio Free Europe “ha minato la politica estera di Trump perché si è opposta al primo ministro ungherese legittimamente eletto”. In un post su X del 7 novembre ha scritto che i globalisti possono tranquillamente odiare il “nostro alleato Viktor Orbán”, ma non hanno il diritto di usare il denaro degli americani “per destabilizzare il regime ungherese attraverso le risorse dei contribuenti spese per Radio Free Europe”, aggiungendo che metteranno fine a tutto questo.

Il post è stato pubblicato lo stesso giorno in cui Viktor Orbán e il suo popoloso entourage hanno fatto visita a Trump nella capitale americana, quindi si potrebbe dire con malizia che il capo del governo ungherese, se non altro almeno in questo, ha davvero ottenuto risultati tangibili dall’incontro col presidente americano. Non è stato in grado di avere garanzie sullo scudo finanziario, sull’esenzione dalle sanzioni o sui combustibili nucleari, ma è riuscito a ottenere la chiusura immediata d’un sito di informazione che impiegava appena una dozzina di giornalisti e che, con le sue inchieste e i suoi approfondimenti, era diventato un punto di riferimento per tutta la stampa indipendente.

Rilanciando Radio Free Europe nell’Europa centrale e orientale, alla fine degli anni 2010 il governo americano aveva cercato un’alternativa alla disinformazione russa. È paradossale che proprio alla fine del primo mandato di Trump, col sostegno di repubblicani e democratici, Radio Free Europe avesse potuto ricominciare, con sede a Praga, la sua attività in 23 paesi in cui il governo ostacola il libero flusso di informazioni o non è sufficientemente sviluppato oppure, come nel caso dell’Ungheria, ha ridotto la libertà di stampa. Tra i paesi membri della NATO, il servizio di informazione di Radio Free Europe è ancora disponibile in Romania, Bulgaria e Macedonia del Nord.

Tuttavia la vera posta in gioco dell’esistenza di Radio Free Europe non è principalmente in Europa centrale, ma in Ucraina, nel Caucaso, in Asia centrale o proprio in Bielorussia (dove i collaboratori dell’emittente sono stati incarcerati) e in Russia, dove il programma è realizzato da giornalisti in esilio.

C’è grande incertezza tra il personale locale: in Bulgaria, ad esempio, il sito funziona ancora senza particolari problemi, ma si prevede che nel 2026 potrebbe essere chiuso insieme ai servizi rumeno e macedone, ha affermato Krasen Nikolov, collaboratore del Mediapool bulgaro, in risposta a una richiesta di HVG. Già ad aprile la sede centrale di Praga aveva chiesto ad alcuni dipendenti di prendere ferie non retribuite o parzialmente retribuite.

Un collaboratore di RFE Praga, che ha chiesto di rimanere anonimo, ha dichiarato che non c’è ancora un nuovo bilancio, il futuro è incerto e gli stipendi sono stati fortemente ridotti, tanto che, ad esempio, ha difficoltà a pagare le tasse scolastiche di suo figlio, come ha riferito a HVG Petra Dvořáková, collaboratrice di Deník Referendum. Si è anche parlato della possibilità che l’Unione Europea contribuisca in qualche modo al funzionamento di Radio Free Europe e diversi paesi hanno offerto il loro aiuto, ma non c’è ancora una soluzione.

L’edizione rumena di Radio Free Europe è stata lanciata nel 2018, dopo una lunga crisi di governo, quando la posta in gioco delle misure anticorruzione è aumentata in modo significativo ed era diventato evidente che il ruolo del paese nella politica di sicurezza nella regione del Mar Nero stava acquisendo maggiore importanza, scrive il portale Hotnews.ro nella sua analisi. Nel 2020, per ragioni simili, è stato avviato il servizio di informazione in Bulgaria, proprio nel momento in cui la disinformazione russa aveva raggiunto un nuovo livello nei Balcani. Sia in Romania che in Bulgaria, i movimenti di estrema destra hanno ricevuto nuovo slancio grazie al sostegno della propaganda russa e Radio Free Europe ha dedicato particolare attenzione a queste organizzazioni. In questi paesi, quindi, i nemici giurati di Radio Free Europe – a differenza che in Ungheria – non sono stati i poteri statali, ma i movimenti estremisti filo-russi.

Lo stile di governo autocratico di Donald Trump lo ha avvicinato a Vladimir Putin e alle “versioni più morbide” del presidente russo, come Viktor Orbán, più di qualsiasi altro presidente precedente. Da questo punto di vista, non sorprende che nei circoli di Trump si affermi ripetutamente che RFE sia in realtà una bolla di opinioni di sinistra che non interessa a nessuno. La sua persecuzione rientra nel modello con cui il presidente americano tratta la stampa indipendente anche in patria, ad esempio quando ha revocato l’accesso alla Casa Bianca a rinomate agenzie di stampa perché, a suo avviso, riportavano notizie sfavorevoli su di lui.

Donald Trump o non riesce a capire che diffondere la posizione americana nei paesi post-sovietici è di primaria importanza, o – peggio ancora – capisce perfettamente la situazione, ma ritiene che la promozione dei valori democratici sia in contrasto con le sue aspirazioni di potere. In questo caso, i suoi interessi coincidono con quelli di Putin e Orbán, ai quali fa anche un enorme favore con la chiusura a livello mondiale di Radio Free Europe.

Orbán, dopo il tentativo di inasprimento della legge sulla tutela della sovranità in primavera, alla fine insabbiato, e il discorso del 15 marzo sulle “cimici svernanti”, ha sferrato un nuovo attacco contro la stampa indipendente. I suoi sostenitori, come Tamás Lánczi, parlano già dei centinaia di milioni di euro inviati a Bruxelles a Telex, riproponendo “l’immagine spaventosa” dei media finanziati dall’estero, mentre i media pubblici, ridotti a stampa di partito, possono contare su un budget annuale di circa 140 miliardi di fiorini e Mediaworks, nella sua forma attuale, può funzionare solamente grazie alla generosa distribuzione di pubblicità statale.

Blikk è stato acquistato nelle ultime settimane da Indamedia, il cui proprietario fa parte del gruppo TV2 legato a Lőrinc Mészáros e del comitato di sorveglianza della MBH Bank, e sotto la cui guida Index diffonde propaganda governativa soft dal 2020.

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La libertà di stampa in Ungheria, quindi, non solo non è migliorata negli ultimi anni, ma anzi è costantemente peggiorata. Anche se finora si poteva credere che gli Stati Uniti si opponessero a questo processo guidato dallo stato ungherese, ora è certo che se l’Ungheria non risolverà i propri problemi, rimarrà un paese appartenente alla sfera d’influenza russa che si dimenerà in un sistema di autocrazia morbida. Un paese in cui, tra qualche decennio, forse sarà necessario reintrodurre i valori fondamentali della democrazia dall’Occidente.

*Articolo originale pubblicato su HVG nell’ambito del progetto europeo Pulse, con la collaborazione di Honews, Mediapool e Deník Referendum.

Immagine in anteprima: frame video Reuters via YouTube

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