Se un miliardario come Bill Gates inquina il dibattito sul clima con la disinformazione
9 min letturaPerché l’opinione di un influente miliardario deve apparire più decisiva, per le sorti del dibattito sul cambiamento climatico, di ciò che la scienza ha scoperto in 60 anni di ricerca? Partiamo da questa domanda per esaminare lo scompiglio generato da un intervento che Bill Gates ha pubblicato di recente sul proprio sito, intitolato “Tre dure verità sul clima”.
Le tre verità, secondo Gates, sono le seguenti: il cambiamento climatico è un problema serio, ma non un’inevitabile fine della civiltà e dell’umanità; la temperatura globale non dovrebbe essere considerata il parametro con cui misurare i progressi nella lotta al cambiamento climatico; prosperità e salute sono le migliori difese contro il cambiamento climatico.
Gates sostiene che le «prospettive apocalittiche» starebbero inducendo la comunità globale a concentrarsi eccessivamente sugli obiettivi di emissione a breve termine, distogliendo risorse da altre azioni che dovremmo intraprendere per migliorare la qualità della vita su un pianeta che si sta riscaldando, soprattutto nei paesi poveri.
Il fondatore di Microsoft non ignora il problema delle emissioni di gas serra, come l’anidride carbonica, dovute all’uso dei combustibili fossili, dato che sono all’origine del riscaldamento globale. Tuttavia afferma che le innovazioni tecnologiche – come quelle legate alle energie rinnovabili, ai veicoli elettrici, agli accumuli di energia, hanno già iniziato a ridurre l'intensità di carbonio dell'attività economica globale e che nuove innovazioni arriveranno grazie allo sviluppo economico. Nell’ultimo decennio c’è stata un’enorme crescita delle tecnologie solari ed eoliche e delle batterie, trainata da costi sempre più bassi.
È vero: siamo di fatto nel mezzo di una nuova rivoluzione energetica in tutti i settori dell’economia. Il dominio dei combustibili fossili, e quello delle forze che lo difendono, non è ancora stato abbattuto, ma molti suoi rivali stanno crescendo a un ritmo probabilmente superiore alle previsioni, anche se non ancora abbastanza rapido. È grazie a questo progresso che nell’ultimo decennio le proiezioni sulle future emissioni sono un po’ migliorate, come ricorda lo stesso Gates. Con le politiche in vigore oggi, siamo diretti verso un riscaldamento globale di circa 2,7 gradi centigradi entro la fine del secolo. Non proprio ciò che dovremmo augurarci, ma meno di quello che sembrava fino ad alcuni anni fa.
In sintesi, Gates dipinge un quadro della situazione globale dove il cambiamento climatico, pur rimanendo un problema serio, finisce per diventare uno dei tanti soggetti nella scena. Uno dei tanti problemi, più che un enorme problema che ne comprende tanti altri. Un problema che possiamo gestire con la crescita economica, che porta con sé ricchezza, con nuove tecnologie e investimenti mirati ad aumentare la resilienza delle popolazioni, soprattutto le più povere, agli effetti del cambiamento climatico.
Ciò che più non funziona, in questa disamina, è proprio il suo punto di partenza, la “verità numero 1” secondo Gates. Si tratta di un enorme “argomento fantoccio”, cioè la confutazione di una posizione presentata in maniera distorta: «il cambiamento climatico non è la fine della civiltà e dell’umanità». Questa è un’idea estremista che nessuno, all’interno della comunità scientifica, ha mai abbracciato. Possono averla sostenuta e alimentata altri, nella politica e nell’attivismo, come iperbole o in buona fede, ma non rientra nel consenso scientifico sul cambiamento climatico. Assumere un’idea del genere come base di un lungo ragionamento, volto a spiegare come si dovrebbe affrontare il cambiamento climatico, è problematico per diverse ragioni.
Innanzitutto, il fantoccio argomentativo finisce per essere una sgargiante cornice che attira l’attenzione più del quadro che racchiude. Sappiamo benissimo qual è il senso di un’espressione come “non è la fine del mondo” anche nel linguaggio che usiamo tutti i giorni. Se il cambiamento climatico non porterà all’estinzione dell’umanità né al crollo totale della civiltà umana, allora vuol dire che non è così spaventoso come vorrebbero farci credere. Se diciamo che il cambiamento climatico non rappresenta letteralmente una minaccia esistenziale per l’umanità, al pari dell’impatto di un asteroide o di una guerra nucleare mondiale (o, come alcuni paventano, di un’intelligenza artificiale fuori controllo), allora vuol dire che ha ragione chi afferma che l’intero discorso sul clima è la manifestazione di un’ossessione catastrofista. Le due affermazioni precedenti sono naturalmente prive di fondamento, perché la questione non è bianca o nera, ma può essere rappresentata con vari livelli di gravità, con diversi possibili scenari, come la magnitudo di un terremoto o gli effetti di un uragano. Il cambiamento climatico non ci ucciderà tutti, ma i suoi impatti ecosistemici e economici sono già oggi distruttivi.
Il riscaldamento globale causato dai combustibili fossili è qualcosa che condizionerà la vita, umana e non, per decenni, secoli, a venire. La possibile deglaciazione delle Alpi, le siccità come quella che ha disidratato il bacino del fiume Po nel 2022, le estati flagellate da ondate di calore infernali e notti tropicali, il caldo che si protrae fino a ottobre o novembre, l’inverno che scompare, la pioggia al posto delle neve in montagna o troppa pioggia che scatena alluvioni improvvise in territori già dissestati. Sì il cambiamento climatico non è la nostra fine. Probabilmente, è qualcosa di peggio. E quanto al rischio esistenziale, gli abitanti degli Stati insulari del Pacifico, circondati da un oceano che si sta innalzando, potrebbero dire qualcosa.
Gates non ignora questa realtà, eppure ha definito “verità numero 1” una frase che piace molto a quelli che il cambiamento climatico continuano a considerarlo una panzana. Da cornice del discorso, l’argomento fantoccio ha infatti finito per essere anche il suo messaggio principale. “Il cambiamento climatico non porterà alla fine dell’umanità” è stata la sintesi con cui la maggior parte dei media ha riportato il documento di Gates, il che ne ha fatto una notizia succosa soprattutto per le testate di destra: attenzione, il fondatore di Microsoft, già campione di cause filantropiche e sociali, compresa quella climatica, ha cambiato idea, ha fatto dietrofront, non è più un “catastrofista”! Arruolato nelle file dei negazionisti per il solo fatto di aver detto che il cambiamento climatico non sterminerà la specie umana. Assurdo, ma è così che funzionano la propaganda e la disinformazione.
I negazionisti si sono esaltati, a partire dal rappresentante oggi più potente della categoria, Donald Trump, che non ha perso tempo a dichiarare che «abbiamo appena vinto la guerra alla bufala del cambiamento climatico. Bill Gates ha finalmente ammesso di essersi SBAGLIATO COMPLETAMENTE sulla questione. Ci è voluto coraggio per farlo, e per questo gli siamo tutti grati». È la reazione che ci si poteva attendere da Trump: un disinformatore di professione, bugiardo, seminatore di zizzania e sostenitore di decine di teorie del complotto. Così hanno fatto molti altri: il “voltafaccia” di Gates, il suo addio al “catastrofismo climatico” - espressione che è una mantra ossessivo dei negazionisti climatici - Gates che dice “contrordine compagni” e altre sciocchezze del genere. È ciò che hanno scritto molti media anche italiani, in testa quelli negazionisti. Gates si è difeso da queste manipolazioni, ma ormai il ciclo della notizia si era chiuso con il solito fact-checking dei commenti malevoli e delle letture distorte. Il suo “memorandum” sul clima è stato un disastro informativo. Di più, una vittoria mediatica per i nemici del clima.
Il fatto è che «il cambiamento climatico non è la fine dell’umanità» è non solo, come abbiamo visto, cattiva retorica, ma anche una premessa che vizia parti rilevanti del resto del discorso, anche se questo contiene affermazioni sensate o fattualmente vere, come il fatto che ci sono stati progressi nella transizione dai combustibili fossili.
A detta di Gates, a causa di quelle «prospettive apocalittiche» ci staremmo fissando troppo sugli obiettivi di emissione a breve termine, quando le priorità sono altre. Anche se il mondo adottasse solo misure «moderate» - egli scrive - di riduzione delle emissioni, nel 2100 la temperatura media della Terra non dovrebbe essere superiore ai 3 gradi in più rispetto al periodo pre-riscaldamento globale. Quelle che Gates chiama “misure moderate” sono le politiche climatiche attualmente in vigore, quelle che in questo momento ci stanno facendo percorrere una traiettoria che ci porterebbe verso un pianeta il doppio più caldo di quanto stabiliscono gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima (che quest’anno compie 10 anni). Ben più caldo di quello in cui dovremmo augurarci di vivere. Ma che, allo stato delle cose, è probabilmente quello in cui vivremo.
Il problema è che non c’è nessuna certezza che queste politiche reggano, dal momento che ci sono governi, come quello di Trump, che stanno facendo di tutto per rovesciarle. In diversi paesi europei i partiti negazionisti hanno il vento elettorale in poppa o sono persino al governo, come in Italia. Ogni passo in avanti è il risultato di faticosi compromessi, spesso al ribasso. Inoltre, come ha scritto il climatologo Zeke Hausfather, l’effettiva entità del riscaldamento nel 2100 rimane incerta, perché non dipenderà soltanto dalle emissioni di gas serra, ma anche dalla risposta del sistema climatico, quella che i climatologi chiamano “sensitività climatica”, e da meccanismi retroattivi come il ruolo delle nubi e degli oceani, il ciclo globale del carbonio e molti altri. Abbiamo imparato molto su come funziona il clima. I modelli climatici sono un successo della ricerca. Ma non sappiamo ancora tutto.
A causa della combinazione di queste incertezze, potremmo essere diretti verso un riscaldamento di 2,7 gradi centigradi, come indicano le attuali proiezioni, ma è ancora possibile che ci ritroviamo a 3,7 o 4. È una scommessa pericolosa. La scienza sta facendo il possibile per migliorare la sua comprensione della sensitività climatica. I negazionisti strumentalizzano questo parametro per propagandare l’ingannevole equazione incertezza = ignoranza o parteggiando, è ovvio, per le stime a loro più favorevoli. Usano queste incertezze, che sono la norma nella scienza, per screditare la climatologia. Invece, proprio queste incertezze dovrebbero spingerci ad essere ancora più decisi nel perseguire l’azzeramento delle emissioni.
Per tutto questo, come nota Hausfather, dovremmo pensare al taglio delle emissioni di gas serra come fosse una protezione dal rischio. Dovremmo fare di più di ciò che faremmo se avessimo un’assoluta certezza delle risposte del sistema climatico, perché i danni associati a rischi estremi, meno probabili ma comunque possibili, sono troppo grandi per essere ignorati. Gates ha torto: la temperatura globale è ancora un fondamentale parametro con cui misurare i progressi nella lotta al cambiamento climatico.
Infine, le “tre verità” di Gates, a partire da quella “anti-apocalittica, sono afflitte da una seconda, grave, fallacia nel suo ragionamento: la falsa dicotomia tra riduzione delle emissioni e altri problemi globali: la salute, la fame, la povertà. Queste sono oggi, secondo Gates, le priorità dei paesi poveri, dato che sono proprio questi i più esposti agli impatti del cambiamento climatico. Più sviluppo significa più risorse e più mezzi per adattarsi. Questo di per sé è vero, ma il punto debole di questa tesi non è solo il fatto che all’origine del problema c’è sempre l’aumento della temperatura che causa il cambiamento climatico che allarga le disparità tra ricchi e poveri, ma è anche il suo modello mentale. Come ha osservato la climatologa Katharine Hayhoe, è come se Gates infilasse ogni singolo problema in un secchio diverso: c’è il secchio della povertà, quella della fame, quello delle malattie. Solo alla fine di una lunga fila di secchi (perché non metterci anche le guerre, il debito pubblico, tutti gli altri problemi ambientali?), troviamo quello del cambiamento climatico. Le risorse sono limitate, quindi tocca scegliere.
Ma il cambiamento climatico non è un problema a sé stante. Chi lo intende così non ha capito nulla della questione. Il cambiamento climatico è un enorme sovra-problema, perché già oggi le sue ricadute coinvolgono tutti gli altri settori: la salute, l’economia, l’agricoltura, la sicurezza nazionale. Perfino lo sport. Affrontare il cambiamento climatico significa perciò anche occuparsi della povertà.
In conclusione, torniamo a chiederci: perché l’opinione di un singolo e influente miliardario deve creare così tanto scompiglio nel dibattito sul cambiamento climatico? La risposta è contenuta nella domanda: perché è l’opinione di un influente miliardario. Ma questo non giustifica il disastro mediatico a cui abbiamo assistito. Con la sua fondazione, Bill Gates ha dato il suo importante contributo a cause benemerite come la ricerca sui vaccini (per questo motivo è anche oggetto di varie teorie del complotto). Ma se domattina Bill Gates si svegliasse anti-vaccinista, diremmo che per questo la causa pro-vaccini ha subito un clamoroso smacco?
Eppure, sul cambiamento climatico, un post pubblicato sul sito di Bill Gates è in grado da solo di scompigliare il dibattito pubblico, di diventare uno schiaffo per gli avversari che lo trattano come verità assoluta. Immensamente di più di quanto siano in grado di fare decine di migliaia di ricerche firmate da scienziati sconosciuti ai più. Va detto che qualcosa di simile, seppur al contrario, è accaduto anche con le opinioni di attivisti che hanno conquistato una certa notorietà, tra tutti Greta Thunberg. Sui social media l’abbiamo vista sbertucciata in confronti senza alcun senso con scienziati negazionisti, la sua faccia accanto alla loro, scienziati che di clima non si sono mai occupati, come se questa sfida strampalata tra attivismo e principio di autorità dovesse dimostrare qualcosa sulla realtà del cambiamento climatico.
Da un lato, tutto ciò è normale, se per normale intendiamo come vanno le cose nel mondo da sempre, se pensiamo a quali sono i meccanismi che ogni giorno distorcono la discussione sul cambiamento climatico e la terrificante disinformazione che continua a circolare. La scienza rimarrà sempre sullo sfondo perché il cambiamento climatico è anche una questione profondamente politica e ideologica.
Dall’altro lato, tutto ciò è profondamente frustrante e dice qualcosa sul perché siamo dentro quella traiettoria che ci sta portando verso un mondo troppo caldo, molto più caldo di quello in cui la nostra civiltà è riuscita a crescere e a prosperare.
Immagine in anteprima: Kuhlmann /MSC, CC BY 3.0 DE, via Wikimedia Commons







