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#occupyIsernia: né bufala né trolling. Parodia di una protesta 2.0

2 Maggio 2012 5 min lettura

#occupyIsernia: né bufala né trolling. Parodia di una protesta 2.0

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Matteo Pascoletti 
@valigiablu - riproduzione consigliata

Per onestà nei confronti del lettore chiarisco il mio ruolo nell’affaire #occupyIsernia, hashtag che ieri è stato Trending Topic in Italia, entrando per brevi sprazzi nei Trending Topic mondiali; hashtag di una protesta che non ha mai colpito la città di Isernia.

Ho parlato di #occupyIsernia con il suo creatore, Leonardo Bianchi (in arte @captblicero) il giorno prima che lanciasse l’hashtag: cercava il nome di una città da unire a #occupy, e voleva fosse una città piccola, poco conosciuta e improbabile come focolaio di rivolta. Ho inoltre dialogato con lui, via Facebook e Skype, durante la giornata di ieri, commentando tra il divertito, l’incredulo e l’ilare i momenti più salienti. Ad esempio quando un giornalista molisano ha chiesto a Leonardo, che abita in Veneto, che cosa stesse succedendo a Isernia.... L’ho infine aiutato nello scrivere il post di fanta-giornalismo #occupyIsernia: we’re ‘na freca di gente, perché un braccio fratturato gli crea problemi nello scrivere, a parte i Tweet di rivoluzioni situazioniste. Quanto al mio ruolo su Twitter in #occupyIsernia, basta controllare i Tweet del mio account.

Che cos’è stato #occupyIsernia? È stato definito “bufala” o “burla” da wired.it, da lastampa.it. e da Lettera43, dove si riconduce sostanzialmente tutto a @tigella e ad #occupyChicago. Io penso che queste definizioni siano riduttive. Penso inoltre che sia sintomatico di una sorta di “pigrizia da frame”. Riguarda Twitter? Riguarda #occupy? Allora riguarda @tigella, un'associazione mentale spontanea che diventa argomento evidente, fornito senza spiegazioni: eppure credo che negli Stati Uniti giornalisti e lettori pensino ai movimenti Occupy senza passare per questa suddetta associazione mentale spontanea. Eppure @tigella non è stata praticamente mai nominata, fin dal mattino. Che cosa ha a che spartire, per esempio, @tigella con gli “anarco-peluchisti” e con la Chinatown di Isernia in subbuglio? O con il collettivo di scrittori Wu Criscte, parodia del più ben noto collettivo Wu Ming?

Per il tipo di partecipazione e di linguaggi, #occupyIsernia è stato un fenomenale e imprevedibile organismo umoristico 2.0, privo di quell’autorefenzialità che contraddistingue il semplice trolling, o della ripetitività dei "tormentoni" (come l'ormai storico #Sucate) da Twitter. Un organismo che ha accentrato contenuti di altissima qualità: immagini, video decontestualizzati, lanci Ansa di cantanti che dichiaravano solidarietà al movimento, e Tweet per verificare ciò che stava succedendo in città a detta dei blogger presenti sul posto (@chittemuort88 & Co, oltre naturalmente a @captblicero). Un organismo animato da vette di puro estro, come per lo slogan “We’re ‘na freca di gente”, o per il finto rifiuto di Krugman via Huffington Post di parlare agli occupanti di Isernia. Addirittura @Ungormite ha creato un Caparezza con maglia #occupyIsernia indossata al concerto del 1° maggio, immagine che, inzialmente, ha tratto in inganno lastampa.it e primonumero.it; si trattava in realtà di una maglia de L’Isola dei Cassintegrati. Il dispositivo #occupyIsernia si è poi allargato ad articoli in cui alcuni autori hanno deciso di stare allo scherzo: Francesco Nicodemo, Jumpin Shark e V.

Spiace contraddire Anna Masera e i siti di informazione citati in precedenza, ma non si può perciò parlare di trolling o burla ai danni di qualcuno, dato che il presunto bersaglio non è stato quasi mai tirato in ballo: anzi, @tigella a un certo punto ha provato personalmente a riferire a sé la protesta virtuale di #occupyIsernia, addirittura incorporando l’hashtag #occupyIsernia nel widget del suo sito, forse per non essere travolta dalla marea di Tweet che puntavano all'immaginaria rivolta molisana. Paradossalmente, è lei ad aver trollato #occupyIsernia, o almeno ad averci provato. Solo alla fine, dopo la comparsa degli articoli citati, su La Privata Repubblica si è ironizzato su @tigella e su di un certo stile alla Turisti per caso.

Alcuni spezzoni della giornata sono raccolti nello Storify di @Detta_Lalla, che danno conto di come tutto sia iniziato. C’è poi lo Storify di @Zaga_Daga che prova a suddividere in gruppi le varie posizioni. Infine il TwittGì di Francesca Castellano dà ampio spazio in apertura a #OccupyIsernia, spiegando l'accaduto.

In effetti sarebbe bastato scorrere la timeline dell’hashtag, o guardare le vie di Isernia citate di volta in volta con google Street View, per scoprire la verità: tutto inventato, tutto partito dall’account di @captblicero. Ma soprattutto, sarebbe bastato chiedere all’autore del primo hashtag i motivi alla base del gesto. Probabilmente non avrebbe risposto per non compromettere l' “esperimento”: ma il lavoro di riscontro sta a monte degli atteggiamenti possibili di chi è intervistato.

Ora che l'esperimento è terminato, ho potuto intervistare Leonardo. Leggendo le risposte si capisce quanto, parlando di “burla” o “bufala” si commetta un torto nei confronti dell’intelligenza di Leonardo.


Perché lo hai fatto?

Sono molto scettico verso un certo utilizzo di Twitter, ad esempio nel ruolo che ha avuto durante la Primavera Araba. A riguardo penso a questo articolo secondo cui solo lo 0,2% della popolazione egiziana ha usato Twitter durante le rivolte, o al libro di Morozov L’ingenuità della Rete. L’esperimento (se così si può definire) di #occupyIsernia l’ho pensato durante il Festival Internazionale di Giornalismo, al keynote speech di Andy Carvin: Carvin ha praticamente detto che seguire su Twitter l’Egitto e altri paesi arabi è stato per lui come essere a bordo di un elicottero virtuale e vedere cosa succedeva di sotto. Quasi come se lo stare sul campo sia ormai diventato equivalente al seguire gli account giusti. Ecco, secondo me questo è un modo di raccontare gli eventi molto parziale, superficiale ed estemporaneo: non si analizza il contesto, non si va in profondità e si rischia di disperdere la protesta nell’allure di questo nuovo strumento -Twitter, per l’appunto- usato soprattutto da giornalisti occidentali; è molto diverso dall’uso integrato sperimentato da Paul Lewis del Guardian durante i riot dello scorso agosto. Quindi ho colto la palla al balzo per l'ondata di nuovi Occupy, che sono caduti ad hoc, vedendo in loro un momento propizio.

Qual era lo scopo, esattamente? Pensi di averlo raggiunto?

Lo scopo era quello di fomentare su Twitter una sorta di protesta improbabile, una parodia surreale dei vari movimenti di protesta che all'estero sono in un momento di difficoltà e che in Italia non hanno mai preso piede; quindi secondo me era interessante vedere la reazione degli utenti di Twitter - reazione che è stata notevole, considerando i risultati in termini di TT italiani e mondiali. Scopo raggiunto? Direi di sì, dal punto di vista del buzz, per dirla alla social media curator. Per il resto è stato divertente - molto oltre le mie aspettative - constatare il livello e la qualità della partecipazione a una protesta assurda e inesistente: penso ai manifesti grafici, al fotomontaggio di Saviano sorridente che raggiunge a Isernia i manifestanti. Si è visto che si può creare una protesta che, per quanto assurda, può diffondersi su Twitter e restare esclusivamente su Twitter. Ecco perché l'entusiasmo naïf e il tecno-utopismo rischiano di amplificare questo sciame di Tweet, che è tanto grande e coinvolgente quanto scollegato dalla realtà cui dovrebbe riferirsi.

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Che ne pensi degli articoli scritti finora?

È incredibile che mi abbiano contattato dei giornalisti per sapere che cos'era #occupyIsernia, quando era evidente fin dall'inizio il suo essere una protesta inesistente. E mi sorprende che in generale siano stati scritti degli articoli - scialbamente riepilogativi, tra l’altro - per il semplice fatto che #occupyIsernia fosse nei TT. Ormai il rischio è che quello scritto su Twitter divenga una verità autoevidente che non necessita di controlli sulle fonti o riscontri approfonditi. Così i criteri di notiziabilità diventano funzionali a un social network,  a completo scapito della professionalità. Forse sarebbe il caso di smettere di affidarsi ciecamente ai profeti dell’hashtag.

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