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Berlusconi non è finito

13 Novembre 2011 3 min lettura

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Berlusconi non è finito

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Berlusconi non è finito. Troppo potente dal punto di vista mediatico per pensare che non avrà alcuna influenza, diretta o indiretta, nella vita del Paese.
Anche perché le ultime giornate del Premier non potranno lasciarlo indifferente: o lo ammazzeranno dal punto di vista psicologico o gli faranno maturare un insopprimibile desiderio di vendetta. Verso i 'traditori'; verso chi lo ha mal consigliato, chi ha condiviso anni di vita politica con lui e poi ha stappato lo champagne in piazza, persino verso gli italiani a cui Berlusconi sente, a torto o a ragione, di aver dedicato la vita, o perlomeno di aver dato loro tre televisioni e 17 anni di divertimento amaro. 

Non è finito nemmeno Il berlusconismo, inteso come la polarizzazione estrema dei punti di vista, il 'o con me o contro di me' in qualsiasi discussione, la ricerca della via comoda o poco legale per raggiungere l'obiettivo (oliata con una massiccia dose di sfiducia nelle istituzioni, nella giustizia legale e in quella sociale), l'arrivismo competitivo, la furbizia come metro dell'intelligenza e della capacità, il merito sorpassato dal servilismo. 
L'unico capitolo culturale e politico che mi sembra definitivamente concluso è il leaderismo all'italiana, il 'ghe pensi mi'. Berlusconi, che proprio su questo presunto potere messianico aveva costruito molte delle sue fortune politiche, riuscendo persino a far slittare il concetto di nazionalismo (da difesa degli interessi della Patria ad arroccamento contro ciò che le potenze straniere dicono di noi), è caduto per un effetto sistemico. 
Finisce la semplicità, inizia la complessità. Non basta più la gestione della politica interna per costruire una buona e duratura leadership, serve la conoscenza delle dinamiche economiche europee e globali. Non basta più la maggioranza parlamentare, serve la credibilità personale e del governo. Non bastano più le dichiarazioni ad effetto in un contesto mediatico fortemente drogato dal conflitto di interessi: serve rispettare la parola data, perché fuori dall'Italia l'informazione è libera, così come è libero il controllo delle fonti, così come è assai differente il quadro gerarchico delle forze e delle regole che determinano gli equilibri tra quelle forze. 
La caduta politica di Berlusconi rappresenta un avvertimento a tutti i leader, italiani ed esteri, che pensano di poter gestire i problemi sparandola sempre più grossa, promettendo ciò che non può essere mantenuto, speculando sulla debolezza dell'opposizione di turno: ci sarà sempre qualcun altro, dentro e fuori dalla propria comunità di riferimento, che ti aspetterà al varco e che te la farà pagare in termini o di consenso o, in casi estremi, spingendoti a terra. 
L'Italia si conferma avanguardia politica ancora una volta: anche il conflitto di interessi (che, a scanso di equivoci, va normato subito perché Berlusconi ha comunque governato per troppi più anni rispetto a quelli che avrebbe meritato di governare, analizzando lucidamente l'inefficacia della sua azione politica) può non essere sufficiente per tenere a bada una nazione negli anni agrodolci della globalizzazione. 
Troppi leader 'carismatici' (quando non espressamente autoritari) sono caduti in troppo poco tempo: è la prova che senza i dati, i fatti, il buongoverno, nessuna leadership democratica può sopravvivere per troppo tempo, anche in assenza di opposizioni capaci di raccogliere le sfide.
Internet ha certamente facilitato e accelerato questi processi: in questi giorni di monitoraggio continuo della crisi le comunità italiane e internazionali, politiche ed economiche, giornalistiche e democratiche (dei cittadini) si sono parlate o perlomeno scambiate informazioni. Gli italiani erano informati sui pericoli della crisi dai giornali e dagli opinion leader esteri, oltre che da quelli di casa propria; gli stranieri provavano a capire le anomalie italiane seguendo la frenetica evoluzione degli hashtag e gli editoriali di giornalisti sempre più abituati a 'stare in trincea', a vivere in diretta mediatica. 
Per tutte queste ragioni sono molto curioso di conoscere il nome del prossimo leader di uno Stato sovrano a essere spazzato via dalle nuove regole globali.

Dino Amenduni
@valigiablu - riproduzione consigliata

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