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I 4 salti in padella e la segregazione sessuale

8 Ottobre 2011 4 min lettura

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I 4 salti in padella e la segregazione sessuale

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Se si prova a scrivere qualcosa sul modo in cui viene presentata la figura femminile dai mezzi di comunicazioni italiani si finisce irrimediabilmente con l'essere superflui. L'argomento è antologia, un ramo intero del mercato editoriale che ospita così tanti contributi da rendere marginale ogni tentativo di trarre regole generali nuove, di tracciare un profilo sociologico e simbolico che risulti originale o ancora sottovalutato.

Non resta che annotare - e meno male - ché la tesi di fondo è nota: l'ostentazione e l'amplificazione - attraverso i media - del dominio delle figure maschili sul "covpo delle donne" (e cito Lerner), reso entità accessoria o al più strumento di riproduzione di modelli sociali, di potere e di consumo.

È fondamentale, in questo senso, il ruolo interpretato dalla pubblicità (e cerco di tenere insieme le due cose): un'altra intera libreria di volumi potrebbe spiegare come i messaggi promozionali rappresentino più e meglio di altri fenomeni lo spirito del tempo (senza virgolette), essendo strumento capace di sottolinearne i tratti fondativi e indicarne di nuovi, imponendo bisogni. Dando il senso di come funzioni il contingente, di come ci si sposti sul mondo ribattezzando vecchi e nuovi simboli, vecchie e nuove modalità, vecchi e nuovi linguaggi.

Muovendo da questi due presupposti - l'inutilità del rimarcare, da parte mia a quest'ora in questo vita, la scarnificazione della figura femminile, e il valore simbolico dei messaggi veicolati dalla pubblicità - credo di poter segnalare e sottoporre a un giudizio (estremamente) accidentale uno spot che circola in televisione in questi giorni. E descrivo: l'atmosfera è retrò, l'aspirazione della donna protagonista è sì servire un buon piatto caldo al proprio marito, ma anche uscire - o meglio "farsi portare fuori", che è cosa che non succede "da quando le spalline andavano di moda". "Quattro salti in padella": qui il video, qui alcune pratiche ricette, qui una videogallery di costumi di carnevale per bambini Made in Italy (i costumi).

Ora: chi vi scrive non ha alcuna voglia di fare il censore dei tempi e dei costumi rozzi, né d'attivarsi o vestire maschere d'indignazione morale - non è me che la causa aspetta, ma sappiate almeno che al sabato la pizzeria non la scelgo mai io - sono un ottimo partito. Annota, semplicemente: perché non ci si abitui.

Riassumendo. Abbiamo una donna composta, in un contesto canfora e vintage, che aspetta l'ora in cui dovrà servire la cena al proprio marito. Sì, la famiglia, e il piatto è gustoso: ma la donna vorrebbe anche uscire, ché non succede da quando Calvi sventolava sul Tamigi. Che fare? La soluzione: non servire i cappellacci alle melanzane - sono troppo buoni - che se poi non si esce "è colpa vostra". Carta e penna: non cucinare i cappellacci alle melanzane, se vuoi uscire. Donna. Ché se vuoi farlo hai bisogno del marito - implicazione. E "segregazione" sembra essere la parola adatta - badate che non sto esagerando, o chiedendo lumi sul perché sia la donna a doverli cucinare, e solo la donna, in questo modello (non sono un assessore alle politiche giovanili del comune di Chemnitz - non ancora).

Innocenza? No. Se il messaggio voleva essere "troppo buoni per ammettere distrazioni" bastava inscenare la soddisfazione di una coppia, o di una famiglia (se si intendeva proporre un inimitabile momento domestico ricreativo) che, compiaciuta dopo la sublime scorpacciata di cappellacci alle melanzane, di uscire proprio non ne sente il bisogno, che la busta di cappellacci alle melanzane surgelati contiene in sé un surrogato sufficiente di svago e "bei momenti" che renderebbe inutile ogni altro evento della serata. La "forma segregativa" non sembra essere necessaria. No?

No. E poi lo so, il topic ha conosciuto il suo momento, è noioso doverne parlare, dover leggere di nuovo di "covpo delle donne" (ancora Lerner). Scriverne non è neppure cosa facile - e il campo è parecchio minato. Ma bisogna imparare a non abituarsi.

La soluzione al problema - o un metodo d'analisi, almeno - passa da qui, IMHO: le spie accese, senza accontentarsi di compromessi che al limite - nella fattispecie - conoscerebbero nell'inversione "conquistatevi un'uscita galante: preparate i cappellacci alle melanzane e il vostro uomo vi porterà a ballare" addirittura un peggioramento (da "segregazione" a "asservimento"). Occhi aperti.

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Ma più di tutto, non si comprende perché per citare un passato prossimo si debba sempre far riferimento agli anni '80. E, dovendo scegliere un simbolo, si finisca per evocare le spalline. Come se il ministro degli esteri del governo Craxi fosse stato una borchia, o la prima Canale 5 un reggicalze. Che può pure essere.

Vincenzo Marino (ha collaborato Matteo Pascoletti)
@valigiablu - riproduzione consigliata

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