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Se la Padania esiste, anche il comandante Spock ha il diritto di dire: io esisto e sono Vulcaniano

9 Ottobre 2011 6 min lettura

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Se la Padania esiste, anche il comandante Spock ha il diritto di dire: io esisto e sono Vulcaniano

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Noi che nella pianura padana, quella vera, purtroppo inquinata e sempre più grigia – altro che i rimandi a verdi terre celtiche e primordiali- ci abitiamo, ci siamo domandati se non sia il caso di prendere per una volta sul serio il discorso pubblico della Lega Nord sull'esistenza di una nazione chiamata Padania. Non fosse altro perché potremmo finire per viverci. 

Per il momento è uno scenario improbabile. Ma si dà il caso che a paventarlo siano alcuni ministri di questo governo di questo paese, insieme ai loro sodali di partito, riuniti in delegazioni parlamentari nazionali ed europee. Non esattamente il tipo di persone le cui affermazioni possano essere ignorate. E sarà folklore, sarà pittoresco, sarà una caricatura, le ampolle con dentro il Po e le tuniche pseudotemplari frullate con gli elmi vichinghi made in Taiwan (ragazzi un po' confusi, sì). Però rimane quella parola: secessione. E c'è una forza di governo che vuole dividere in due l'Italia. E non da oggi. Poi ci sono gli alleati. Che ignorano, assecondano. Compresi quelli che anni fa si gonfiavano il petto con la Patria e il tricolore. 
Parliamone, quindi. Nella geopolitica futura della penisola italiana è in gestazione una nazione nuova la cui libertà è ora soffocata. Anche dal ministro dell'Interno? Per forza, sennò che tutore dell'ordine democratico dello stato sarebbe? Come dite? È lui stesso della Lega Nord? Non sottilizziamo, dettagli. 
Parliamo di cose serie. Per esempio dei confini della futura nazione bossiana che, immaginiamo, saranno la prima cosa a definirla. 
Immaginiamo di essere invitati ad un Porta a Porta qualsiasi, in cui sia presente qualche esponente della Lega, così gentile da alzarsi con in mano una matita per andare in mezzo allo studio e tracciare su una cartina una bella linea tra la Padania e l'Italia brutta da cui emanciparsi. 
A questo punto potrebbe già sorgere qualche problema. La Lega Nord ha sezioni ufficiali chiamate, bontà loro, “nazionali”, anche in Umbria, Abruzzo e Marche (addirittura Sardegna, ma lo sussurriamo appena, perché già notiamo lo stordimento sul volto dei lettori). 
È Padania anche il territorio di queste regioni che come nel caso dell'Umbria difficilmente l'immaginario collettivo associa al Nord? Lo chiediamo al nostro amico col fazzoletto verde nel taschino, il quale non ci deve ascoltare con molta attenzione perché osserva la mappa con lo sguardo un po' corrucciato, incerto su dove posare la punta della matita. E sì che sarebbe semplice. Orsù, si faccia di Umbria e Abruzzo delle appendici della Padania! 
Mentre decide dei destini di mezza Italia, lo incalziamo con una domanda da un milione di lire con la faccia di Bossi: esiste un popolo padano? I leghisti citano paesi europei al cui interno esistono comunità che godono di forme di autonomia o rivendicano l'indipendenza. Forse pensano di essere emuli dei Paesi Baschi e della Scozia, popoli che hanno espresso una cultura ed una lingua proprie, con una vicenda storica omogenea e tuttora visibile? Il caso delle Fiandre e della Vallonia appassiona l'eurodeputato Matteo Salvini. 
Ma c'è bisogno di ricordare che Fiandre e Vallonia sono due comunità di uno stato federale, distinte dalla predominanza dell'uso di due lingue diverse (fiammingo e francese)? Il nostro amico, che sta tracciando un confine che con tutte quelle curve sta diventando più lungo di quello tra Russia e Kazakistan (è molto incerto sul da farsi, non vuole scontentare nessuno forse), deve rispondere alla storia e al consenso scientifico in antropologia, linguistica, geografia che non riconoscono a un ipotetico popolo padano alcun elemento unificante e distinto rispetto al resto d'Italia. 
Ok, il confine è diventato un problema di geometria differenziale, non più di geografia. Del resto è la stessa Lega a doversi chiarire le idee, anche sulle identità locali. All'interno di essa si esprimono visioni separatiste/autonomiste ancora più ristrette di quella “padana”. Il caso maggiore forse è quello della Liga Veneta. Questa è la sezione “nazionale” della Lega Nord, ma è certamente prima venetista e poi padana. La Lega peraltro non può vantare una grande diritto di rappresentanza delle rivendicazioni autonomiste, a essa molto anteriori, come quelle delle popolazioni di lingua tedesca e ladina dell'Alto Adige e Veneto o di quelle francofone della Val d'Aosta. La loro tutela è già garantita dalla Costituzione italiana e le loro istanze politiche raccolte da movimenti come la SVP e la Union Valdôtaine.
Forse è meglio archiviare la pratica sui confini, più prudente non sbilanciarsi. L'esponente del Carroccio inizia quindi a parlare del principio dell'autodeterminazione dei popoli, che afferma il diritto di un popolo all'indipendenza e alla sovranità nell'ambito di un proprio assetto istituzionale. Questo vale non solo per nazioni già riconosciute ma anche per popoli soggetti a dominazioni straniere. Ma quello padano non è un popolo né riconosciuto, lo abbiamo visto, né soggetto a colonizzazioni straniere. Lo stato che anche gli italiani del nord hanno contribuito a fondare, 150 anni fa, esercita il governo legale del territorio di qualsiasi regione si voglia ascrivere alla fantomatica Padania. È evidente quindi che il nostro leghista faccia di espressioni come “autodeterminazione dei popoli” un uso emotivo e improprio. 
Ma, obietta il nostro, esiste anche il principio della sovranità popolare. Certo, il popolo è sovrano. Ma nell'ordinamento italiano lo è nelle forme e nei limiti della Costituzione e questa recita anche che l'Italia è una e indivisibile. Paroline fastidiose, ma che sono stampate lì. Ed è per questo che prendersela con il presidente della Repubblica per il suo recente richiamo è senza senso. Egli rappresenta l'unità nazionale, ne è garante e difensore. La ripicca nei suoi confronti equivale a quella contro un arbitro al quale si rinfacci non questa o quella decisione, ma la mera applicazione delle regole del gioco. Regole che sono state lette e sottoscritte, sulle quali anzi si è giurato. 
Ma facciamo finta che la Padania esista e che esista pure, in qualche imprecisato punto tra le Alpi e il Lago Trasimeno, un popolo padano oppresso dalla tirannia di "Roma Ladrona". Dimentichiamoci che la Lega sia al governo, andiamo al punto e chiediamoci come arrivare a innalzare la bandiera con il sole delle Alpi, che scalda davvero il cuore a tutti i cittadini delle Marche. 
Al leghista si illuminano gli occhi e grida: “referendum!”. Va bene, ma con quali modalità? In quali regioni e province? Ci sarà un quorum? Se sfogliamo poi i dati sulle percentuali di voto ottenute dalla Lega, vediamo che difficilmente può determinarsi una maggioranza secessionista assoluta, nemmeno nelle province più “verdi” del nord, per non parlare delle province dove il partito è fermo al 5-10 %. Molto probabilmente non si raggiungerebbe nemmeno una maggioranza relativa di un certo peso. La ragione non è solo matematica, ma anche ideologica. La nostra obiezione, pacata, è che l'“identità padana” sia un'identità di partito. I cittadini italiani che abitano nell'ipotetica Padania e che non votano Lega, non si sentono animati da alcuno spirito nazionale “padano”, per quanto rancore possano covare verso lo stato e le tasse. Uno scozzese invece è tale, per ragioni storiche, anche se non vota il Partito Nazionale Scozzese. E azzardiamo la seconda ipotesi che nemmeno tutti i militanti leghisti si siano lasciati trascinare in questi anni dalla retorica alla Braveheart. Anticipiamo una contro-obiezione, ovvero che non sia necessario sentirsi parte di qualche nazione diversa da quella italiana per auspicare una separazione da Roma e che questa possa essere motivata solo dalla volontà di liberare da - come si ripete spesso - un fardello le regioni più “dinamiche” del Paese. Ma se anche fosse, in quanti sarebbero davvero disposti a intraprende una avventura (o sventura) di questo tipo? Perciò possiamo azzardare che le percentuali dei “sì” nella più rosea, ma difficile, delle ipotesi coinciderebbero con quelle elettorali del movimento. 
Potremmo continuare, immaginando cosa succederebbe se una Padania nascesse davvero. È evidente che sarebbe una separazione non poco traumatica e indolore. Nella nostra mente si affollano visioni tra il surreale e il cupo, cui non vogliamo nemmeno accennare. E abbiamo come l'impressione che sia stato un esercizio inutile e un po' sproporzionato il richiamarsi alla storia e alla geografia per contestare tesi politiche che il più delle volte hanno come fondamento logico nulla più che un'esibizione di diti medi, grida sguaiate e turpiloqui. 
Ma se vi è parso una perdita di tempo, pensate quanto lo è stato farlo in questi anni, obbligati da una forza di governo che invece di contribuire a fare l'interesse generale di tutti gli italiani, ha messo in piedi una mitologia di cartapesta e tenuto in ostaggio l'intera politica nazionale, costretta a pendere dalle labbra dei fini oratori del palco di Pontida. Per non parlare delle politiche xenofobe e delle invocazioni a sparare ad alzo zero verso i barconi di disperati nel Mediterraneo. 
 Se la Padania esiste, allora anche il comandante Spock ha il diritto di dire: io esisto e sono Vulcaniano.
Antonio Scalari (ha collaborato Matteo Pascoletti)
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