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L’Ungheria continua a violare la legge europea sui rifugiati nonostante la sentenza della Corte di giustizia

12 Febbraio 2021 4 min lettura

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L’Ungheria continua a violare la legge europea sui rifugiati nonostante la sentenza della Corte di giustizia

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La Corte di giustizia europea ha stabilito che la deportazione dei rifugiati in Serbia da parte dell'Ungheria è illegale. Ma il governo nazional-conservatore di Viktor Orbán sta ignorando la sentenza e continua a deportare i rifugiati.

Il governo ungherese, scrive DW, non sta nemmeno cercando di nascondere la violazione della legge. Si può leggere tutto su un sito ufficiale, che registra meticolosamente le statistiche di ogni singola settimana dell'anno, per categoria e con i numeri precisi dell'espulsione di rifugiati da parte delle guardie di frontiera ungheresi dall'Ungheria alla Serbia.

Secondo le statistiche ufficiali, reperibili sul sito web della polizia ungherese, 2.824 rifugiati sono stati fermati vicino al confine e costretti a tornare in Serbia nel solo gennaio di quest'anno.

Inoltre, sono stati arrestati altri 184 rifugiati che devono prima essere processati in Ungheria. Ed è probabile che saranno deportati in Serbia.

Questi respingimenti non solo violano i trattati internazionali di cui l'Ungheria è firmataria, come la Convenzione di Ginevra, ma dal dicembre dello scorso anno, violano anche una sentenza legalmente vincolante della più Alta Corte dell'Unione europea, la Corte di giustizia europea (CGUE). La sentenza ha dichiarato illegali i respingimenti, ma il governo ungherese sta ignorando il verdetto dei giudici. Finora, le guardie di frontiera ungheresi hanno rimandato in Serbia circa 5.000 rifugiati dal 17 dicembre 2020, giorno in cui è stato annunciato il verdetto. Il leader ungherese, Viktor Orbán, e diversi membri del suo governo hanno ripetutamente confermato che intendono continuare su questa strada.

Siamo davanti a una sfida aperta e molto seria alle sentenze della Corte di giustizia europea, e quindi alla legge dell'Unione Europea, che è vincolante per l'Ungheria. A dirlo Andras Lederer, esperto di politica migratoria del Comitato Helsinki ungherese, una delle più importanti organizzazioni non governative del paese.

Nel linguaggio burocratico ungherese, i respingimenti vengono definiti “accompagnamento dei migranti illegali fermati a un’entrata del Provisional Border Security Barrier (IBH) ossia la recinzione lungo il confine serbo, che dal 2015 è stata potenziata per diventare una installazione ad alta sicurezza.

L’Ungheria per coprire questa pratica fino a poco tempo fa usava un trucco: la recinzione lungo il confine con la Serbia si trova in territorio ungherese, a pochi metri dall'attuale confine. Quindi l'Ungheria sostiene che "accompagnare" i rifugiati attraverso un'entrata nel recinto di confine non è deportazione - perché dall'altra parte del recinto si è ancora, di fatto, in territorio ungherese. Ed è stato questo l'argomento più volte avanzato dai rappresentanti del governo ungherese, ad esempio per quanto riguarda la questione se i respingimenti costituissero una violazione della Convenzione di Ginevra sui rifugiati.

Tuttavia, nel verdetto di dicembre, la Corte di giustizia ha stabilito esplicitamente che portare i rifugiati dall'altra parte della barriera di confine era illegale, anche se questo era ancora territorio ungherese. Poiché le persone portate oltre la recinzione non avevano altra scelta che lasciare il territorio ungherese ciò equivaleva a un respingimento. E rimandarli indietro senza garanzie specifiche, come la valutazione individuale dei loro casi, è stata una violazione delle direttive dell'UE.

Non è la prima volta che la Corte di giustizia europea condanna il governo ungherese per la sua politica sui rifugiati. Nel maggio dello scorso anno, la Corte di Strasburgo ha dichiarato illegali le condizioni di trattamento dei rifugiati in Ungheria nelle cosiddette zone di transito, vicine al confine serbo. Le sistemazioni erano precarie e i richiedenti asilo ricevevano poco cibo.

Attivisti ungheresi per i diritti umani hanno denunciato queste condizioni e a suo tempo il governo aveva risposto che nessuno li obbligava a rimanere dentro le zone di transito da cui potevano uscire per procurarsi del sostentamento. Ma la legge ungherese in materia di asilo prevede che se si esce dalla zona di transito automaticamente si chiude la procedura di asilo e non si può più presentare domanda.

Dopo la sentenza della Corte di giustizia che ha stabilito che le zone di transito costituivano una detenzione illegale, il governo ungherese ha deciso di chiuderle.

Da allora, i rifugiati hanno potuto richiedere asilo solo presso le ambasciate ungheresi dei paesi non membri dell'UE, principalmente Serbia e Ucraina. Lo scorso autunno, la Commissione europea ha risposto a questo regolamento avviando ulteriori procedimenti, ancora in corso, contro l'Ungheria.

Rispondendo a una richiesta di DW, il portavoce del governo ungherese Zoltan Kovacs non ha spiegato su quali basi il governo ungherese si rifiuta di applicare la sentenza di dicembre della Corte di giustizia.

Una dichiarazione scritta del suo dipartimento delle comunicazioni, che ripete quasi parola per parola un post su Facebook del ministro della Giustizia ungherese Judit Varga, del dicembre dello scorso anno, afferma: "Il governo continua a proteggere i confini dell'Ungheria e dell'Europa e farà di tutto per impedire la formazione di corridoi internazionali per migranti". Prosegue poi affermando che le condizioni oggetto della sentenza non sussistono più e che la sentenza è quindi invalida. Kovacs non spiega però cosa si intende esattamente con questa affermazione.

Visto il rifiuto del governo ungherese di rispettare la sentenza della Corte di giustizia europea del dicembre 2020, Andras Lederer del Comitato di Helsinki chiede alla Commissione europea di agire. "Si potrebbero imporre sanzioni finanziarie all'Ungheria per il mancato rispetto delle sentenze della Corte di giustizia europea".

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Tuttavia, l'attivista per i diritti civili non è ottimista sul fatto che ciò accadrà: "Purtroppo, sembra che la Commissione europea non sia sufficientemente risoluta quando uno Stato membro viola le leggi esistenti".

Immagine anteprima via Freedom House

Articolo ripreso da DW su autorizzazione della testata.

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