La dignità dei morti, oltre la propaganda: numeri, bugie e silenzi sulla guerra in Ucraina
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Abbiamo bisogno di confini per capire la vastità di una guerra: di perimetrare con numeri, foto, immagini, testimonianze, di dare profondità all’orrore. Morti e feriti, percentuali di civili, chilometri quadrati di città colpite, tipologie e numero di edifici distrutti. Perché si bombardano scuole, ospedali, chiese? Perché si uccidono o affamano bambini? Quando la denutrizione diventa carestia?
Abbiamo poi un’ulteriore cornice legata a come interpretare queste geometrie: quando si configura un crimine di guerra? Quando un crimine contro l’umanità? Quando si sconfina nella pulizia etnica e nel genocidio?
Circa l’invasione su larga scala dell’Ucraina, la disinformazione viene da lontano. Pensiamo soltanto all’esplosione del volo linea MH17 nel 2014: la Russia ha cercato di attribuirlo all’Ucraina, e solo con la sentenza di un tribunale olandese si è potuta accertare la responsabilità del Cremlino nell’abbattimento dell’aereo. O agli "aiuti umanitari" russi che servivano invece a facilitare l'arrivo di rifornimenti militari, con l'alibi di assistere i civili "intrappolati nel conflitto", anche nelle fasi di cessate il fuoco. Mentre dal febbraio 2022 abbiamo avuto casi come la strage del teatro di Mariupol, attribuita dalla Russia agli ucraini, il video con i cadaveri di Bucha che si muovono, l’accusa di messinscena per attacchi agli ospedali, solo per citare alcuni casi.
Ma c’è un elemento più strisciante, legato all’indeterminatezza e all’occultamento a monte della possibilità di contare efficacemente morti e feriti, rendendo quindi impossibile dare una misura alle immagini.
Partiamo da un caso che rasenta il negazionismo, emblematico per la popolarità e il mestiere del suo protagonista.
Di cosa parliamo in questo articolo:
Alessandro Barbero e i civili “risparmiati” da Putin
Lo scorso ottobre lo storico e divulgatore Alessandro Barbero ha partecipato a una puntata del podcast Senza Filt-ri, curato dalla Filt CGIL Piemonte. Durante la puntata, incentrata sulla guerra, Barbero sostiene che la Russia, pur avendo armi nucleari, non ha intenzione di fare come gli Stati Uniti con il Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale. Anche perché, dice lo storico, c’è da parte del Cremlino la volontà di limitare i danni, in particolare contro i civili:
Non c'è la minima intenzione palesemente di annientare l'Ucraina come paese e come popolo, anche a livello di vittime civili [...] È evidente che anche quando un missile russo colpisce un edificio civile a Kharkiv e ammazza dei civili, il loro scopo non è quello, perché altrimenti lo farebbero in ben altro modo se dovessero farlo, no, ecco. Quindi lì abbiamo una guerra stranissima, a bassa intensità, in cui in realtà, contrariamente a quel che dice la propaganda e l'informazione, non ci sono così tante vittime. Poi è chiaro che in 3 anni si sono accumulate le vittime, no?
Non è la prima volta che Barbero diffonde questo concetto. Lo aveva fatto già, per esempio, in un incontro del 2024 con Marco Travaglio:
C'è anche la retorica di Putin che non può sterminare il popolo fratello, visto che dice che lo sta liberando dai nazisti ed è sicuramente delle guerre contemporanee quella che ha un rapporto più basso di morti civili rispetto ai morti militari, secondo l'ONU sono circa 12 mila, probabilmente saranno il doppio.
I veri disumani, insomma, vanno cercati altrove: negli Stati Uniti della Seconda Guerra Mondiale o, guardando al presente, in Israele. “Quella roba lì io non la chiamerei mica una guerra a questo punto”, dice Barbero parlando di Gaza e della crudeltà ampiamente documentata dell’IDF contro civili gazawi, in particolare verso i bambini.
Per l'Ucraina, invece, laddove Barbero ammette il massacro è al massimo una concessione in un quadro di minimizzazione: sì, ci sono molti morti, ma dopo 3 anni è "normale". Un quadro che abbassa la soglia di allarme morale e politico, così come le responsabilità ai sensi del diritto internazionale.
Già nel 2022 gli organismi internazionali parlavano di livelli “terribili e inaccettabili” di distruzione a opera della Russia. Senza contare le fucilazioni di civili, le fosse comuni, gli stupri (anche di minori), le decapitazioni esibite, i centri di filtraggio, le cacce ai civili condotte con i droni. Un quadro tutt’altro che esaustivo, ma che rende l’idea di quali e quante fonti autorevoli uno storico ha a disposizione, a partire dalle testimonianze dirette. Barbero non contesta nessuna di queste fonti, né le reinterpreta: semplicemente le ignora, senza che gli sia mai stato chiesto conto di ciò. Così come ignora l’incidenza che i sistemi difensivi, tra cui le armi inviate dai paesi occidentali, hanno nel ridurre il numero di vittime. Se mi sparano al cuore e un giubbotto antiproiettile mi salva la vita, l’intenzione di chi ha sparato non cambia solo perché non sono morto: cambia solo l’esito di quell’intenzione.
Ma su una cosa Barbero ha ragione, tra i tanti discorsi che ha dedicato negli ultimi anni all’invasione dell’Ucraina: la difficoltà nell’avere informazioni accurate, in particolare sul numero di vittime, è uno dei problemi della guerra.
La nebbia di guerra avvolge anche i numeri
Se c’è una vittoria sull’Ucraina che il Cremlino può vantare è la produzione di incertezza: sulle cause della guerra, sulla natura dell’aggressione, ma soprattutto sul numero e sull’identità delle vittime. Quell’incertezza alimenta le negazioni plausibili, una vera e propria estensione della “nebbia di guerra” che naturalmente non è un tratto unico della guerra in Ucraina. Non c’è bisogno di una versione “ufficiale”, quando il caos informativo rende impossibile conoscere la verità e gli errori dei giornalisti si mescolano al lavoro attivo della propaganda.
Ecco perché, ad esempio, sul fronte di guerra i giornalisti sono sempre un bersaglio. Nella guerra a Gaza il numero record di giornalisti uccisi dall'esercito israeliano obbedisce al bisogno di rendere impossibile documentare i crimini commessi, con tanto di unità speciale israeliana che deve produrre prove per giustificare le uccisioni. In Sudan il giornalismo è preso d’assalto dalle persecuzioni, dalla carestia e dallo stupro usato come arma di guerra.
Ma a Gaza il ministero della Sanità di Hamas, a dispetto di dubbi e giochi di propaganda, può fornire numeri nel complesso attendibili (persino al ribasso, secondo Lancet); anche Israele, ad esempio, attesta un tasso di vittime civili dell’83%. Pur tra mille difficoltà, con tentativi di delegittimazione e persino uccisioni, c’è stata inoltre una presenza delle organizzazioni umanitarie, di medici e operatori. In Ucraina invece, nei territori occupati questo cordone umanitario è assente. Come se non bastasse, la stessa Croce Rossa russa è accusata di supportare attivamente il Cremlino. Ma Putin non ha inventato nulla in termini di negazione o manipolazione dei dati: il suo maestro, da questo punto di vista, è Stalin con la carestia indotta in Ucraina (l’Holodomor). Chi occupa un territorio punta a controllare la memoria.
Per l’Ucraina questa strategia ha prodotto una vera e propria inversione dei nessi di causa ed effetto e delle responsabilità, oltre a snaturare la lettura del conflitto. A partire dall’accusa speculare di “genocidio” e “pulizia etnica” che Kyiv avrebbe commesso in Donbas. Una versione smentita tra gli altri dal Consiglio d’Europa, dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, dall’OSCE e dalla Corte Internazionale di Giustizia (ora in attesa delle controargomentazioni russe e della relativa risposta ucraina). Così come circolano ancora le storie dei “14 mila uccisi dagli ucraini”.
Posto che di quei 14 mila circa 10mila erano soldati, oggi quel numero asseconda un discorso ancora più subdolo. Fa passare l’idea che l’Ucraina è la prima a uccidere i propri civili, inquadrando il conflitto come una sorta di fratricidio. Quei 14 mila hanno così lo stesso ordine di grandezza dei 14 mila civili morti attribuiti all’invasione russa.
Già nel maggio 2022, l’Alto Commissariato ONU per i diritti umani spiegava che le cifre sulle vittime civili erano necessariamente incomplete: “le cifre effettive sono probabilmente significativamente più elevate”, perché i dati disponibili riguardavano solo i casi verificabili, mentre l’accesso alle aree di ostilità più intense, “in particolare Mariupol”, risultava difficilissimo.
Anche nei rapporti successivi, l’ONU continua a registrare migliaia di civili uccisi e decine di migliaia di feriti, sottolineando però che i numeri reali sono “probabilmente più alti”, soprattutto a causa delle restrizioni di accesso nelle zone occupate o ancora sotto bombardamento.
Mariupol: un massacro su larga scala impossibile da quantificare
Per capire cosa significa perdere il conto dei morti basta guardare a Mariupol, la città portuale assediata e devastata nei primi mesi dell’invasione. Nel febbraio 2022, Mariupol aveva oltre 400 mila abitanti. Dopo mesi di assedio, è stata praticamente rasa al suolo dalle forze armate russe. Sarebbe dovuto bastare questo per capire che la difesa di una “minoranza russa” non poteva essere la causa dell’allargamento del conflitto.
Invece, complice anche la difficoltà nell'avere informazioni esatte, fin da subito abbiamo assistito a una narrazione dove venivano negati crimini di guerra e crimini contro l'umanità, o erano attribuiti all'aggredito. E poi, una volta finito l'assedio, abbiamo persino visto opere d'arte attribuire quella devastazione alla NATO. Vanificando così il lavoro fondamentale di Mstyslav Černov, Evgeniy Maloletka, Vasilisa Stepanenko e Lori Hinnan, autori del documentario 20 days in Mariupol e unici giornalisti internazionali rimasti in città a coprire l'assedio.
A circa due anni di distanza, Human Rights Watch, insieme a SITU Research e Truth Hounds, ha dedicato un intero rapporto alla distruzione di Mariupol, Our city was gone, redatto attraverso interviste, analisi di foto, video, immagini satellitari e ricostruzioni 3D.
I ricercatori hanno visionato immagini satellitari, fotografie e video di cinque cimiteri (Starokrymske, Vynohradne, Novotroitske, Manhush e il cimitero di Pavlov Street), contando le nuove tombe individuali e quelle “a trincea”, lunghe decine di metri e segnate da piccole targhe di legno. Poi è stato fatto il confronto con la mortalità in tempo di pace.
Sulla base di questo lavoro, il rapporto stima che, nel primo anno di guerra, in questi soli cinque cimiteri siano state sepolte almeno 10284 persone, a fronte di circa 2250 morti in condizioni di pace: almeno 8034 morti in eccesso. Ma soprattutto non è possibile considerare i morti cremati, quelli che sono stati sepolti in fosse improvvisate, i corpi che non sono stati recuperati, né l’eventuale sepoltura di più corpi in una tomba. Quanto agli obiettivi civili:
A metà maggio 2022, il 93% dei 477 edifici residenziali a più piani nella parte centrale della città era stato danneggiato. Tutti i 19 campus ospedalieri della città sono stati danneggiati, così come 86 delle 89 strutture scolastiche che abbiamo identificato in tutta la città.
Dà numeri molto più alti l’Uppsala Conflict Data Program, secondo cui la stima più attendibile è di “27 mila vittime identificate, mentre la stima più alta, fornita dagli obitori di Mariupol, è di 88 mila vittime”. Secondo queste stime, il rapporto tra morti civili e militari nell’assedio del 2022 è tra i più alti degli ultimi 30 anni, secondo solo al genocidio in Rwanda del 1994.
Un discorso analogo è stato fatto nel 2023 dal think tank Re:Russia, che si spinge a paragoni diretti: "anche solo considerando il numero confermato di vittime in Ucraina, il numero devastante di vittime civili rende evidente che questo conflitto assomiglia molto più alla guerra eccezionalmente brutale in Siria che alle guerre balcaniche". A ricordarci che, fuori da Mariupol e nel corso dei mesi, devastazioni e massacri di civili sono stati la regola.
La natura genocida dell’invasione: l’assimilazione forzata
Il fatto che il dibattito pubblico si giochi su numeri che per forza di cose non possono essere accurati, o persino sulla contrapposizione di morti tra diversi teatri di guerra, nasconde poi l’elemento genocida dell’invasione voluta dal Cremlino. L’assimilazione forzata, condotta per esempio con l’obbligo di avere il passaporto russo e la deportazione di decine di migliaia di minori ucraini, è infatti il vero cuore del progetto di Putin, per il quale l’Ucraina semplicemente “non esiste”.
Anche qui disponiamo solo di stime, ad esempio basate su denunce di sparizioni o censimenti di orfanotrofi svuotati. Si parla di circa 20 mila; ma bisogna tenere presente che le stesse autorità russe, nel 2023, ammettevano di aver nei propri territori 700 mila minori ucraini. Dopo essersi però rifiutate di collaborare con l’OSCE per il rapporto dedicato a quel fenomeno, e prima di creare un sito online con cataloghi di bambini ucraini da adottare.
Nella sproporzione tra l’ampia copertura riservata alla guerra e la sottorappresentazione di questo aspetto passa molta della cattiva qualità dell’informazione italiana. Fino a livelli di, da Orsini secondo cui alla fine un bambino vive meglio sotto dittatura che sotto le bombe, all’idea che Zelensky convinca gli ucraini a combattere con lo spauracchio “degli orchi che mangiano i bambini”. Prima ancora di coltivare le vostre idee sulla guerra, immaginatevi un pubblico di genitori ucraini, privati dei figli, che ascolta interventi di questo tipo.
Le ultime denunce parlano di almeno 165 strutture di “russificazione”, con la complicità anche della Bielorussia. Nei giorni scorsi Kateryna Rashevska, esperta legale del Centro Regionale per i Diritti Umani, ha portato al Congresso degli USA prove di minori ucraini deportati anche in Corea del Nord, a testimoniare quanto sia ormai radicato il coinvolgimento del paese asiatico.
Eppure, nelle infinite discussioni e dibattiti sulla “pace” da fare con il nemico, nelle articolesse sull’Europa che "non tocca palla" e così via, mentre Trump, in nome del “business as usual” prova in pratica a imporre una resa per compiacere Putin, in pochi hanno fatto notare che la restituzione dei minori dovrebbe essere sul tavolo di qualunque negoziato di pace degno di questo nome. Anche perché l’assimilazione trova il suo termine ideale nell’arruolamento forzato di ucraini nei territori occupati, spediti come carne da macello contro i loro connazionali. In mezzo alle testimonianze dirette raccolte da ONG come Human Rights Watch, le stime arrivano a centinaia di migliaia, secondo Le Monde.
Se i numeri servono per capire, quelli che stiamo raccontando od omettendo per l’Ucraina parlano di una vasta rinuncia dell’opinione pubblica a voler comprendere le “radici profonde” del conflitto. Senza questo basilare riconoscimento è impossibile ricostruire una verità da custodire nella memoria collettiva, e senza questo terreno ogni ingiustizia diventa plausibile. Una società che arruola i morti e rifiuta la dimensione del lutto, per sé o per i propri avversari, è una società che non potrà mai conoscere pace, giustizia o rivoluzione, ma solo infiniti traumi collettivi che ne scolpiranno l’identità per un tempo che non ci è dato misurare.







