L’Ucraina tra le ambiguità di Trump e l’inazione della NATO
5 min letturaAll’inizio dello scorso fine settimana il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva promesso un “grosso annuncio” in relazione alla guerra in Ucraina per lunedì 14 luglio. Durante l’incontro alla Casa Bianca con il segretario della NATO Mark Rutte, il presidente statunitense ha dichiarato di aver raggiunto un accordo con alcuni paesi dell’alleanza, affinché quest’ultimi acquistino armi americane e le trasferiscano a Kyiv a proprie spese. Tra questi paesi ‘volenterosi’ Rutte ha nominato Germania, Canada, Paesi Bassi e i quattro paesi scandinavi.
Trump ha inoltre avvertito il Cremlino che imporrà ai russi dazi del 100% qualora non si raggiunga un accordo di pace nei prossimi 50 giorni. Una decisione, oltre che ipotetica, assai più morbida rispetto al ventaglio di scelte disponibili per il tycoon, dopo che il Senato aveva approvato una proposta bipartisan sull’imposizione di tariffe secondarie fino al 500% ai paesi che acquistano combustibili fossili da Mosca, su tutti i più importanti Cina e India.
Senza considerare che il volume degli scambi fra Russia e Stati Uniti è decisamente basso, circa 3,5 miliardi di dollari nel 2024 e in costante discesa negli ultimi anni. Così basso da rendere la minaccia di Trump sostanzialmente vuota, dal punto di vista economico, agli occhi del Cremlino, nonostante il rischio di recessione.
Le dichiarazioni di lunedì hanno però confermato la tendenza delle ultime settimane, per cui Trump ha, almeno a parole, irrigidito la retorica verso il presidente russo Vladimir Putin. Dopo anni di lodi sperticate, il leader repubblicano comincia a dimostrare sempre più frustrazione per il sabotaggio dei suoi tentativi di mediazione del conflitto russo-ucraino, uno dei principali proclami in politica estera della sua campagna elettorale.
Un peculiare e inedito ruolo di lobbying nel cambiamento trumpiano sembra averlo avuto sua moglie Melania. “Le mie conversazioni con lui [Vladimir Putin, ndr] sono sempre molto piacevoli. Mi dico: non è forse una conversazione deliziosa? E poi quella notte partono i missili”, ha dichiarato Trump. “Torno a casa, dico alla First Lady: ho parlato con Vladimir oggi. Abbiamo avuto una conversazione meravigliosa. E lei: davvero? Un’altra città è appena stata colpita”.
“Hanno combattuto con un coraggio tremendo, e continuano a combattere con un coraggio tremendo”, ha invece detto Trump a proposito degli ucraini. A Kyiv, gli annunci di Trump sono stati accolti con tiepido ottimismo.
Sebbene estremamente vaghi in merito a cifre, inventario e tempistiche, la conferenza stampa di Rutte e Trump ha confermato il trasferimento di alcuni sistemi di difesa antiaerea Patriot dai depositi europei a Kyiv, che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky aveva già preannunciato durante la Conferenza sulla Ricostruzione dell’Ucraina lo scorso 10 luglio a Roma.
Secondo gli analisti, nelle dotazioni di Kyiv sono rimasti solamente 6 sistemi Patriot funzionanti, fondamentali per respingere i crescenti attacchi di missili e droni russi che ormai superano quotidianamente le cinquecento unità. Trump ha parlato, senza nominarlo, di “un paese pronto a trasferire 17 sistemi Patriot” dai suoi depositi. Probabilmente la Germania, dove il cancelliere Friedrich Merz ha annunciato l’acquisto di sistemi Patriot aggiuntivi negli scorsi giorni.
Sebbene con estremo ritardo, le “carte” dell’Ucraina sembrano essere migliorate come nessuno poteva sperare dopo l’agguato di Trump e JD Vance al presidente ucraino lo scorso 28 febbraio.
Gradualmente, la tattica diplomatica di Zelensky dopo il grave incidente dello Studio Ovale ha funzionato: mostrandosi accondiscente e volenteroso di fronte a ogni trovata, anche la più stravagante, di Trump sul processo di pace (e sul resto), ha dimostrato a quest’ultimo come sia Putin a sabotare le trattative cercando il successo sul campo.
Recentemente il presidente russo in una telefonata all’omologo americano ha annunciato una nuova offensiva nell’est ucraino durante i prossimi due mesi. Considerando che la conversazione è avvenuta qualche giorno prima dell’incontro con Rutte, i due mesi di offensiva russa coincidono con i cinquanta giorni concessi da Trump ai russi per sedersi al tavolo delle trattative prima di inasprire le sanzioni economiche.
Da una parte, ciò può significare che nuove conquiste territoriali e attacchi verso i civili da parte di Mosca diventeranno sostanzialmente un dato di fatto prima ancora che la punizione di Washington possa avere luogo. L’alta rappresentante per gli affari esteri dell’Unione Europea Kaja Kallas ha infatti definito questi cinquanta giorni come “un arco di tempo molto lungo”.
Dall’altra, che l’inizio dell’autunno possa essere il momento giusto per una ripresa delle trattative tra Kyiv e Mosca, e che il flusso di armi dai paesi ‘volenterosi’ europei possa essere un tentativo di riequilibrare le posizioni sul tavolo diplomatico: la ‘pace attraverso la forza’ più volte invocata da Zelensky negli ultimi mesi.
Tuttavia, l’incertezza continua a prevalere sull’ottimismo, non solo per l’ormai crescente imprevedibilità di Trump sui temi di politica estera. Come scrive l’analista Dan Sabbagh sul Guardian, “Per chi cercava dettagli, la confusa conferenza stampa di mezz’ora tenuta da Donald Trump nello Studio Ovale insieme al segretario generale della Nato, Mark Rutte, ha offerto solo pochi indizi. [...] Non sono state menzionate cifre – rendendo difficile valutare quanto possa incidere davvero la fornitura proposta di armi a favore di Kyiv. I dettagli su quali munizioni saranno fornite erano vaghi, anche se Trump ha parlato di interi sistemi missilistici Patriot, mentre Rutte ha aggiunto che ci sarebbero anche ‘missili e munizioni’.
È difficile stabilire con precisione quale entità di forniture militari potrebbe fare davvero la differenza e magari spingere Vladimir Putin a considerare un cessate il fuoco”.
Alcuni media statunitensi, tra cui fonti del Washington Post, hanno fornito ulteriori dettagli su possibili trasferimenti di missili da crociera Tomahawk ai paesi europei e poi a Kyiv, che permetterebbero di colpire non solo Mosca ma anche San Pietroburgo. Secondo il giornalista del WP David Ignatius, Trump avrebbe persino suggerito a Zelensky di colpire con più frequenza le grandi città russe, in una conversazione della settimana scorsa.
Al di là delle voci e delle giravolte di Trump, per l’Europa quello attuale rimane il momento più buio dal 1945, come descritto dal presidente francese Emmanuel Macron, nel tradizionale discorso alle Forze armate alla vigilia della Festa nazionale del 14 luglio. Una caduta di Kyiv equivarrebbe a un fallimento della politica occidentale con conseguenze ancor più nefaste della ritirata in Afghanistan, poiché colpirebbero in maniera ancor più diretta i paesi europei.
“L’Europa ha molto entusiasmo per questa guerra” ha detto Trump di fronte a un compiaciuto e compiacente Rutte, lasciando intendere di essere rimasto sorpreso dal livello di impegno dimostrato dagli alleati europei al vertice Nato dell’Aia del mese scorso. “Il livello di spirito di corpo, di coesione, che hanno è incredibile”, ha aggiunto. “Avere un’Europa forte è una cosa molto positiva. È una cosa molto positiva. Quindi per me va bene”, ha concluso. Resta da vedere se i paesi europei e l’Ucraina possano fidarsi del nuovo approccio trumpiano, ma sul breve termine rimangono poche altre scelte.
In ogni caso, come scrive Simon Tisdall, “non tutto è perduto. Con o senza Trump, la NATO potrebbe adottare una linea più dura, imponendo zone di esclusione aerea sull’Ucraina non occupata e colpendo missili e droni in arrivo. La posizione militare è chiara, e le ragioni legali e umanitarie sono inoppugnabili”. Ma prima, bisogna identificare “il principale artefice di quest’orrore, l’autore primario della disgrazia della Russia, [che] deve essere neutralizzato, deposto e consegnato alla giustizia internazionale". È Putin, non l’Ucraina, che deve cadere, conclude Tisdall.
Immagine in anteprima via YouTube







