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Il capitalismo corrotto della presidenza Trump

27 Agosto 2025 10 min lettura

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Il capitalismo corrotto della presidenza Trump

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La politica commerciale dell’amministrazione Trump sta aprendo scenari inediti. I dazi imposti sulle importazioni, a partire dai paesi europei, costituiscono un netto cambiamento rispetto alle politiche di apertura al commercio e alla libera circolazione delle merci che hanno contraddistinto il mondo negli ultimi decenni. Allo stesso tempo, sul fronte economico domestico, l’amministrazione Trump ha imboccato una strada votata a un controllo sempre più opprimente su agenzie indipendenti. Un esempio è il licenziamento di Erika McEntarfer del Bureau of Labor Statistics (BLS), accusata senza prove di aver manipolato i dati per far apparire pessimi i risultati economici dell’amministrazione. 

Le indiscrezioni degli ultimi giorni sugli accordi che l’amministrazione è intenzionata a fare anche con il settore privato, a partire dal gigante dei chip Nvidia, rendono la situazione ancora più preoccupante per quel che riguarda la degenerazione degli Stati Uniti in uno stato in cui la commistione tra potere politico ed economico raggiunge livelli inesplorati. 

L’imposta sulle esportazioni e la giustizia secondo Trump

Nel mese di agosto, come riporta il Guardian, si sono svolti a porte chiuse colloqui tra i CEO delle Big Tech e l’Amministrazione Trump. Al centro della discussione la guerra commerciale con la Cina che rischia di mettere a dura prova le aziende americane del settore. 

Tra questi incontri, però, uno ha destato particolare attenzione. Riguarda gli accordi che l’amministrazione Trump avrebbe preso con due aziende come Nvidia e la rivale Advanced Micro Devices (AMD). Entrambe le aziende lavorano nel campo dei semiconduttori e quindi dell’Intelligenza artificiale (AI), con la produzione di processori e schede grafiche. Più in generale, sono legate alla produzione di chip, una piastrina di silicio che permette di svolgere le operazioni necessarie per l’elaborazione delle informazioni. Questi chip sono alla base della moderna elettronica e in particolare delle risorse computazionali necessarie per lo sviluppo dei modelli di AI. 

Durante il colloquio si sarebbe delineata una licenza per esportare verso la Cina. In particolare, per vendere alcuni chip, come l’H20 di Nvidia e l’MI308 di AMD, le aziende dovranno poi versare il 15 per cento dei ricavi ottenuti nelle casse federali. Il Segretario al Tesoro, Scott Bessent, ha poi dichiarato che questo tipo di accordo rappresenterebbe un modello replicabile anche in futuro. Il suo contenuto ha generato perplessità tra gli esperti, su vari fronti. 

C’è prima di tutto un aspetto giuridico da considerare. Di fatto si è delineata un’imposta sulle esportazioni. La Costituzione degli Stati Uniti, articolo I sezione 9 clausola 5, vieta di imporre tasse o tributi nei confronti delle esportazioni verso un qualunque altro paese. Il portale di informazione giuridica Justia ha recentemente chiarito se l’accordo raggiunto con Nvidia e AMD, di cui non sappiamo ancora precisamente ulteriori dettagli, rientri o meno nelle definizione, risultando quindi incostituzionale. 


L’analisi di Justia, scritta dal professore di Legge Michael Dorf, parte chiedendosi se si può classificare come tassa la richiesta del 15 per cento dei ricavi. La tradizione giuridica statunitense ha chiarito che se i pagamenti obbligatori hanno le caratteristiche di una tassa allora devono essere classificati come tali. Poiché si tratta di fatto di un’imposizione sui volumi esportati dalle due aziende, quindi ha tutte le caratteristiche di una tassa, l’accordo ricade nella definizione. 

Il secondo quesito da affrontare, più complesso, riguarda le tasse sulle esportazioni. Entrambe le aziende progettano i chip negli Stati Uniti, ma non li costruiscono direttamente. Questo passaggio è invece affidato alla Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) che come suggerisce il nome opera a Taiwan. Ma, recentemente, TSMC ha cominciato a produrre in Arizona. Come spiegato da Justia, non c’è la certezza che la fabbrica in Arizona si occupi dei chip H20 e MI308. Tuttavia, è verosimile che l’imposizione del 15 per cento sui ricavi non si applichi soltanto alla vendita di questi chip, ma anche ad altre tipologie. Se queste sono prodotte da TSMC in Arizona, allora si rientrerebbe appieno nel caso di tasse sulle esportazioni. 

Al di là degli aspetti sul piano del diritto, rimane la questione centrale: chi dovrebbe ricorrere alla Corte Suprema? Anche qualora i contenuti dell’accordo si rivelassero incostituzionali, le due aziende non avrebbero alcun incentivo a scontrarsi con il governo. Se l’accordo è stato raggiunto significa che l’imposta è più conveniente di non fare affari con la Cina. Dorf chiarisce che in questo caso non c’è da chiedersi se l’amministrazione Trump stia agendo nel perimetro della legalità. La vera domanda è se, come spesso accade, riuscirà a farla franca infrangendo la legge.  E la risposta, sottolinea Dorf, è “probabilmente sì”. 

Il pericolo del capitalismo trumpiano

Proprio sul ragionamento economico che ha spinto le due aziende ad accettare l'accordo vale la pena soffermarsi per comprendere le distorsioni economiche causate dal capitalismo della corruzione dell’amministrazione Trump.

L’accordo è un chiaro messaggio da parte dell’amministrazione: siamo noi a decidere chi commercia con chi, e lo decidiamo in base a chi è disposto a darci quello che vogliamo. Questo di fatto distorce il sistema economico. Da una parte, le imprese più grandi possono fare attività di lobbying per garantirsi fette di mercato interdette ai competitor; dall’altra, l’amministrazione controlla, attraverso questo potere decisionale, il comportamento delle imprese che devono quindi sottostare alle sue volontà. Ciò va a creare un sistema di coesione ancora più forte tra il potere politico e quello economico, a discapito della competizione. 

Inoltre, i segnali lanciati anche da altre aziende mostrano quanto la strategia protezionistica per rilanciare la produzione manifatturiera sia discutibile. In questo caso l’esempio è Apple: negli ultimi mesi ha intrapreso una serie di investimenti negli USA, regalando poi a Trump un manufatto di vetro e oro da 24 carati. Il gesto è stato letto come un tentativo da parte di Tim Cook, CEO di Apple, di appagare Trump e ridurre il peso economico che i dazi causeranno su Apple. 

A primo impatto, potrebbe sembrare che i dazi abbiano fatto leva sulle scelte economiche di Apple, spingendola a investire maggiormente negli Stati Uniti. Tuttavia, la strada è ancora lunga e pensare che i prossimi prodotti Apple siano prodotti interamente negli USA è irrealistico. Tuttavia, concentrandoci soltanto sugli investimenti di Apple in USA, viene da chiedersi se non ci fossero vie più efficaci per rilanciare la manifattura negli Stati Uniti, visti i costi sull’economia nazionale dei dazi. 

Un altro strumento potrebbe essere la politica industriale, dove il governo collabora con i privati in settori cruciali. Questa cooperazione può richiedere delle condizionalità, come ha scritto ampiamente l’economista di Harvard Dani Rodrik. Proprio gli investimenti in aree svantaggiate rappresentano un campo in cui la politica industriale può giocare un ruolo importante. In questo caso, le aziende riceverebbero ingenti fondi per investire in queste aree, ma allo stesso tempo dovrebbero sottostare a condizionalità riguardanti, ad esempio, l’impatto ambientale o la creazione di buoni posti di lavoro. Come sottolineano gli studi più recenti, questo tipo di politiche ha avuto dei buoni risultati su questo fronte. Si tratta comunque di una strategia che non è scevra da problemi: il rischio, anche in questo caso, è che si crei una collusione tra aziende e Stato. 

Al contrario, se la strategia di Trump avrà successo è da vedere, ma è molto improbabile: la nuova ondata protezionista negli Stati Uniti, unita alle eccezioni per le imprese vicine all’amministrazione, peggiorerà la vita della classe media americana, che vedrà il proprio potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Invece andrà a salvaguardare e proteggere gli interessi e i profitti di quelle imprese che si sono accodate a Trump.

La competizione con la Cina sull’AI

C’è un altro aspetto che vale la pena trattare: quello che riguarda la competizione con la Cina. Fin dalla sua prima amministrazione Trump ha individuato nella Cina un avversario contro cui scagliarsi. Anche l’amministrazione Biden ha seguito la stessa linea. Oltre a innalzare alcuni dazi imposti da Trump, Biden aveva imposto divieti e restrizioni all’esportazione di vari prodotti, in particolare quelli relativi ai chip necessari per lo sviluppo di modelli di AI. 

Questa sottile distinzione va evidenziata maggiormente, proprio perché le valutazioni sono pressoché opposte. C’è un fenomeno più macroscopico, cioè la guerra commerciale con la Cina portata avanti dall’amministrazione Trump. Secondo le idee spesso sconclusionate dei suoi consiglieri, serve un approccio muscolare fatto di dazi e altre restrizioni alle importazioni cinesi. Il fine dichiarato è il rilancio della manifattura statunitense. Questa guerra rischia di lasciare feriti sul campo e di non portare alcun vantaggio. 

All’interno di questo c’è poi la guerra per il predominio sull’AI. E si tratta di una questione più complessa. A oggi, gli Stati Uniti hanno sicuramente un vantaggio nel campo. A dimostrarlo ci sono i progressi fatti sui Large Language Models (LLMs) come ChatGPT di OpenAI. Non è un caso che l’amministrazione Trump abbia già investito in maniera massiccia su questo frangente. La Cina, però, sta tenendo il passo. A dimostrarlo c’è stato lo scorso gennaio il lancio del LLM cinese DeepSeek

Nonostante le politiche aggressive dell’amministrazione Trump, prima, e di quella Biden, poi, riguardo i chip Nvidia, la Cina è comunque riuscita a produrre il suo modello che aveva capacità di ragionamento simili a quelle delle versioni del tempo di ChatGPT. Non avendo il predominio sulla parte hardware, nonostante lo sviluppo di chip domestici, l’azienda cinese ha addestrato DeepSeek lavorando sull’algoritmo, puntando su un miglioramento dell’efficienza e dell’architettura sottostante. La pubblicazione di DeepSeek aveva provocato un certo tumulto negli Stati Uniti: non solo per gli investitori, con Nvidia che aveva avuto un netto calo nel prezzo delle azioni, ma anche sul fronte legislativo con l’amministrazione Biden che aveva ulteriormente incrementato i vincoli sul commercio di prodotti critici per lo sviluppo dell’AI.  

Per quanto i LLMs siano un esempio paradigmatico al giorno d’oggi, il predominio nel settore dell’AI va ben oltre. Le applicazioni dell’AI e dei modelli di Deep/Reinforcement learning riguardano settori critici come quello medico e soprattutto quello militare. Quindi lo sviluppo dell’AI porta con sé un vantaggio-teoricamente- anche in altri settori di vitale importanza per il benessere e la sicurezza nazionale. 

La sicurezza nazionale è a rischio?

Proprio su quest'ultimo aspetto vi sono state molte voci critiche rispetto alle scelte di Trump. In una lettera inviata al Segretario del commercio Lutnick, vari esperti di sicurezza nazionale hanno manifestato la loro contrarietà ad allentare le restrizioni per la vendita di chip Nvidia H20 alla Cina. Nella lettera si legge che i chip H20 non sarebbero affatto datati e che garantirebbero uno sviluppo ancora più rapido del settore dell’AI della Cina. Le applicazioni, sempre secondo gli autori, andrebbero anche a causare un rapido sviluppo della capacità militare di Pechino. Nonostante gli ordini relativi ai chip H20 siano prevalentemente di aziende private, queste lavorano a stretto contatto con il governo cinese, che quindi sfrutterebbe questa collaborazione per lo sviluppo di armamenti automatizzati, sistemi di sorveglianza e di decision making in scenari bellici. 

Sono arrivate critiche anche dall’interno dello stesso Partito Repubblicano. John Moolenaar, rappresentante per lo Stato del Michigan, ha sottolineato lo stesso rischio di garantire alla Cina maggior spazio per lo sviluppo del settore dell’AI. Mentre Raja Krishnamoorthi, rappresentante per i Democratici dello Stato dell’Illinois, ha attaccato l’amministrazione affermando che con questo tipo di accordi si dà l’idea che la sicurezza nazionale sia barattabile per il giusto prezzo. 

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La Cina, dal canto suo, ha invitato le aziende a non utilizzare i chip Nvidia. Anche in questo caso, la questione è estremamente delicata: da una parte la Cina, come si è visto, ha puntato sulla produzione domestica di chip, dall’altra ancora oggi dipende dall’estero. Colmare questa dipendenza richiederà ancora tempo e i chip Nvidia rappresentano un’opportunità notevole per il mercato cinese. 

I tentacoli dell’amministrazione sul resto dell’Economia

Quello che emerge dalle recenti decisioni e dalle dichiarazioni dei membri dell’amministrazione è l’ennesimo tassello del capitalismo corrotto dell’america trumpiana. Se anche in precedenza i principi di un mercato equo e competitivo erano stati intaccati dagli interessi lobbistici, con l’amministrazione Trump questa tendenza viene istituzionalizzata, con un governo federale pronto a infilare i tentacoli ovunque. Non ci sono solo gli accordi con le aziende come Nvidia e le parole di Bessent sulla replicabilità del modello: si pensi ad esempio agli attacchi continui di Trump nei confronti della FED e delle decisioni di politica monetaria assunte dal board dei governatori e da Jerome Powell. Anche la decisione da parte dell’amministrazione di acquistare il 10 per cento delle azioni di Intel, dopo averla ferocemente criticata, si pone su questa linea. 

Questo atteggiamento interventista di Trump in economia ha spinto certi osservatori a chiedersi se Trump stia diventando socialista. Come giustamente osserva Massimo Gaggi in un suo articolo su Il Corriere della Sera, l’interventismo non è una caratteristica riconducibile solo al socialismo, anzi. Il socialismo, almeno in teoria, coniuga l’interventismo statale con la giustizia sociale e una maggior uguaglianza, temi completamente assenti dalle politica di Trump come mostra il Bill passato alla camera. Al contrario, il sistema trumpiano somiglia più agli affari nel Real Estate fatti proprio da Trump a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80: cerca di portare a casa la miglior offerta possibile. Nel farlo, ovviamente, crea un sistema mafioso simile, per certi versi, a quello della Russia di Putin. 

Una strategia di questo tipo però, come abbiamo visto, potrebbe portare anche a conseguenze avverse di più ampia portata. Per portare a casa maggiori entrate, utili eventualmente per la propaganda sugli effetti dei dazi sul bilancio, si mette a rischio la sicurezza nazionale. Non possiamo sapere oggi quali saranno gli effetti sulla traiettoria dello sviluppo dell’AI in Cina delle mosse di Trump. Tuttavia, è possibile che questo permette a Pechino di ridurre le distanze con gli USA in quel campo. 

Le scelte economiche di Trump stanno portando gli Stati Uniti (e non solo) in un territorio inesplorato. I principi del libero mercato sono stati da tempo abbandonati e le regole che dovrebbero salvaguardare la concorrenza sono costantemente ignorate. Al loro posto c’è un capitalismo corrotto clientelare. C’è da chiedersi quanto questa strada verrà seguita anche da altri paesi, soprattutto quelli europei che si rifanno alle idee trumpiane. 

(Immagine anteprima via The Prospector)

 

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