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La scuola della destra: “Una visione conservatrice fondata sull’idea di dare di più a chi è già avvantaggiato”

5 Dicembre 2022 11 min lettura

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La scuola della destra: “Una visione conservatrice fondata sull’idea di dare di più a chi è già avvantaggiato”

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Lavori socialmente utili per gli studenti che non rispettano le regole. No al reddito di cittadinanza per i giovani che non hanno portato a termine gli studi. Divieto di utilizzare i cellulari in classe e guardare all’umiliazione come fattore di crescita della personalità. Sono solo alcune delle proposte lanciate da Giuseppe Valditara nelle prime settimane da ministro dell’Istruzione e del Merito, com’è stato rinominato il dicastero di Viale Trastevere. Dichiarazioni che lasciano trasparire un approccio conservatore al tema della formazione, in linea con il governo di destra guidato da Giorgia Meloni. 

L’ultimo ministro di centro-destra era stato Marco Bussetti nel governo Conte I, ma bisogna tornare a Maria Stella Gelmini (Berlusconi IV) per un ministro di destra come espressione di un governo conservatore. Il mondo della scuola, quindi, si sta interrogando su quale possa essere l’indirizzo del ministero dell’Istruzione con la gestione di Giuseppe Valditara, giurista e accademico. Valditara infatti è un avvocato milanese e professore universitario di Diritto Romano all'Università degli Studi di Torino. È stato presidente della Commissione Istruzione al Senato dal 2006 al 2008 e poi dal 2008 al 2013. Durante la reggenza di Maria Stella Gelmini, fu relatore della riforma dell’università, molto criticata nel mondo della formazione perché comportò un taglio del 7% di finanziamenti in ricerca e una razionalizzazione delle Facoltà. Nel 2018, con Bussetti al ministero, fu nominato capo dipartimento per la Formazione superiore e la ricerca. Valditara quindi è un tecnico, ma con una forte caratterizzazione politica: da sempre legato alle destre, ha aderito prima ad Alleanza Nazionale e poi alla Lega. Ad affiancarlo al ministero, c’è Paola Frassinetti, nominata sottosegretaria. Classe 1956, Frassinetti ha un passato nel Fronte della Gioventù e nel Movimento Sociale Italiano. Dopo l’esperienza in Alleanza Nazionale, ha contribuito a fondare Fratelli d’Italia, di cui è responsabile Istruzione. 

Rilanciare la scuola con il merito e la formazione tecnica

Nei primi giorni di formazione del nuovo esecutivo, ancora prima del profilo del ministro, a suscitare commenti e osservazioni è stata la nuova nomenclatura del ministero dell’Istruzione che ha affiancato il concetto di ‘merito’ a quello di ‘istruzione’. Il passaggio dal ‘ministero della Pubblica Istruzione’, poi a sola ‘Istruzione’, e infine a ‘Istruzione e Merito’, secondo alcune analisi, rappresenta “un enorme spostamento a destra del nostro paese sul tema dell’educazione”. 

Il programma elettorale di FdI si prefigge appunto di “rimettere il merito al centro del sistema scolastico e universitario, per alunni e corpo docente”. Un concetto che torna anche nel programma della Lega, in cui si parla di “rivedere in senso meritocratico il percorso scolastico”. Ma al di là del concetto di ‘merito’, sul quale si è aperto un acceso dibattito, resta da capire come si declineranno le idee del centrodestra sui temi della scuola e dell’istruzione. 

Nel documento della Lega, si parla anche di “valorizzare le scuole tecniche e professionali”. Non a caso, nelle sue prime interviste da ministro, Valditara ha indicato tra le priorità del suo dicastero la riforma degli istituti tecnici, già avviata dal suo predecessore Patrizio Bianchi. “Gli istituti tecnici sono l’asse portante per costruire una filiera che dia una prospettiva a chi sceglie la scuola professionale, che non può avere l’unico sbocco nel mondo del lavoro ma deve proseguire in un percorso identico rispetto al modello universitario, come avviene in Germania. Dobbiamo avviare una grande riforma dell’istruzione tecnica che sarà centrale per noi, una grande sfida”, ha detto Valditara a Radio1

Intervenuto alla presentazione del libro ‘Scuola. I numeri da cambiare’, Giuseppe Valditara ha detto che il ministero "punta a una formazione sempre più personalizzata, con un docente che sappia farsi carico dei ragazzi che hanno difficoltà e di quelli che hanno talenti eccezionali. Una formazione che faccia emergere talenti e abilità di ciascuno, e quindi una flessibilità del sistema". E poi che bisogna "puntare sull'orientamento. Non un orientamento canonico. Manderò una lettera a tutte le famiglie per far capire quali sono le potenzialità occupazionali del loro territorio, anche quelle retributive. Abbiamo la necessità, quindi, di una scuola che offra opportunità lavorative ai nostri giovani”. Un tema, quello del lavoro, che si collega a un’altra proposta delle destre: quella di un liceo del Made in Italy. 

Liceo del Made in Italy e diplomazia

A spiegare la proposta di un liceo del Made in Italy era stata la stessa Giorgia Meloni, durante la campagna elettorale. Nel corso di un evento a Termoli (Campobasso), parlando del prestigio del marchio italiano, Meloni aveva detto che bisogna “investire su questo, difendere il marchio, formare i nostri giovani. Voglio in Italia un liceo del made in Italy che formi i giovani per dare continuità a una serie di settori della nostra economia che rischiano di essere totalmente perduti". L’idea è stata subito ripresa da Paola Frassinetti, dopo la nomina a sottosegretaria all’Istruzione.

Tuttavia, scuole e indirizzi di studi che formano gli studenti sugli ambiti più caratteristici del made in Italy, esistono già. Oltre agli istituti turistici o alberghieri, ci sono gli istituti di moda e grafica, oltre ai licei artistici, musicali e coreutici. Tra gli istituti professionali, c’è anche l’indirizzo ‘Industria e artigianato per il Made in Italy’, con una didattica personalizzata e laboratori di innovazione. Frassinetti ha spiegato però che “il nuovo percorso è differente dagli indirizzi attuali. Nelle intenzioni di Fratelli d’Italia dovrebbe plasmare una classe dirigente in grado di promuovere i nostri prodotti all’estero”. Come si legge del programma di FdI, l’obiettivo è “formare gli studenti - anche con tirocini e scambi culturali all’estero, tramite le nostre rappresentanze diplomatiche – sia dal punto di vista della conoscenza della produzione italiana di alto livello sia della promozione delle attività di business orientate verso il mercato estero”. 

Le connessioni con l’estero sono state citate più volte anche dal ministro dell’Istruzione, anche nel suo primo intervento pubblico alla premiazione dei licei artistici: “Dobbiamo dare vita a una diplomazia della scuola- aveva detto il 3 novembre al Palazzo dell’Istruzione - La nostra scuola può avere un ruolo decisivo per trasmettere formazione, per cooperare con Paesi che hanno necessità. Un partenariato solidale. L'Italia all'interno dell'Europa deve e può essere protagonista".

Il bonus paritarie

Tra gli altri punti del programma, ci sono anche “l’eliminazione del precariato dei docenti” (da sempre bandiera del centrodestra), la messa in sicurezza degli edifici scolastici e il “riconoscimento della libertà di scelta educativa delle famiglie attraverso il buono scuola”. Per ‘buono scuola’, si intende un “voucher da poter spendere liberamente nelle diverse strutture scolastiche”, si legge nel programma di Fdi: un contributo economico che lo Stato eroga alle famiglie che vogliono iscrivere i propri figli a scuole private, paritarie o religiose. In alcune regioni, come Piemonte e Lombardia, il buono scuola è già attivo, ma il programma del governo è quello di estenderlo a tutta Italia e renderlo strutturale. Il principio alla base della proposta, è che “non è possibile pensare di avere un unico gestore del settore educativo nel 2022, dove la differenziazione valoriale prima ancora che educativa, merita attenzione”, come aveva spiegato Valentina Aprea, ex responsabile del settore Istruzione per Forza Italia (che ha poi lasciato il partito dopo la mancata nomina come sottosegretaria all’Istruzione). 

Nella legge di bilancio del 2023, l’unica misura che riguarda l’istruzione è il ripristino del contributo per le scuole paritarie, che ammonta a 70 milioni

Il diploma in quattro anni

Nel programma di Fratelli d’Italia, si parla anche di “più sport nelle scuole, con nuovi impianti, piscine e palestre”, e di incentivi per l’acquisto dei libri di testo in formato elettronico “per diminuire il costo sostenuto dalle famiglie”. Altra proposta riguarda l’avvio di un confronto con il mondo della scuola “al fine di verificare la praticabilità di ridurre di un anno il percorso di studio scolastico, a parità di monte ore totale, per consentire ai giovani italiani di diplomarsi a 17-18 anni, come già avviene in diversi Stati occidentali, e accedere così prima al percorso universitario o al mondo della formazione professionale e del lavoro”. Il ‘diploma in quattro anni’ è già previsto dal sistema scolastico italiano. Si tratta di una sperimentazione avviata con la ministra Valeria Fedeli per l’anno scolastico 2018-2019. Inizialmente riguardava cento classi, oggi è stata estesa a circa mille scuole. L’ampliamento della sperimentazione è avvenuto lo scorso anno, con il ministro Bianchi, “in coerenza con gli obiettivi del Pnrr”. Nelle scuole in cui è attiva la sperimentazione, orari e obiettivi da raggiungere sono gli stessi, ma distribuiti in un arco temporale di 4 anni e non 5. Le scuole che vogliono partecipare alla sperimentazione presentano dei progetti di innovazione metodologico-didattica finalizzati alla realizzazione dei percorsi quadriennali. 

Far terminare il ciclo di istruzione a 18 anni e non a 19, è un tema di dibattito già da molti anni all’interno del mondo della scuola. Il primo a parlarne fu Luigi Berlinguer, ministro dell’Istruzione tra il 1996 e il 2000 (Prodi I), ma la sua sperimentazione prevedeva una riduzione del primo ciclo di istruzione (che passava da 8 a 7 anni), mentre il secondo ciclo restava a 5 anni. La riforma venne abrogata dal successivo governo Berlusconi e sostituita dalla riforma Moratti. 

“Il tema di ridurre il ciclo di istruzione esiste, ma la soluzione non è il liceo in quattro anni”, spiega a Valigia Blu Domenico Squillace, dirigente del liceo scientifico ‘Alessandro Volta’ di Milano. “Anche per questo, le scuole che ne fanno richiesta non sono molte: i contenuti sono gli stessi, ma con un anno in meno a disposizione per apprenderli. È una formula che interessa solo ai genitori che aspirano a mandare i figli fuori, a fare le università all’estero, così che a 21 anni possano essere già laureati. Ma l’effetto che crea è velenoso. L'idea di tenere il primo ciclo intatto e ridurre invece la scuola adulta dove si studiano programmi più complessi, mi sembra un brutto segno. Il modello liceale italiano è quello di una scuola di formazione umana e civile. Qui si viene per diventare cittadini e capire il mondo, non si va a scuola per diventare dei geni, ma per affrontare la complessità del mondo”. 

L’indirizzo politico

Fin qui, dal giorno del giuramento del nuovo governo, il nuovo ministro ha fatto notizia più per le sue lettere indirizzate agli studenti che per le sue idee sulla scuola. Valditara, infatti, ha inviato agli studenti due messaggi, uno in occasione del 4 novembre, Giorno dell'Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate, e uno per il 9 novembre, il Giorno in cui si ricorda la caduta del muro di Berlino. Le lettere hanno alimentato polemiche e osservazioni sulle opinioni espresse dal ministro, spostando ancora una volta il focus dalla scuola, per quanto possano far intravedere il suo orientamento. Nell’intervista a ‘Mezz’ora in più’ di Lucia Annunziata, durata più di 20 minuti, non si è mai parlato di scuola. 

“Le lettere non costano nulla, le riforme strutturali sì, e vanno pensate con calma e progettate con attenzione”, commenta a Valigia Blu, Cristiano Corsini, professore di Pedagogia sperimentale e valutazione scolastica all’Università di Roma Tre. Le affermazioni del ministro non stupiscono, spiega Corsini, sono “un insieme di retorica conservatrice. Questo aspetto non mi preoccupa, perché scrivendo delle lettere si fanno meno danni che mettendo le mani nella scuola. Non so dove voglia andare a parare Valditara, mi pare che esprima una visione conservatrice del rapporto tra scuola e società, fondata sull’idea di dare di più a chi è già avvantaggiato”. 

Corsini si riferisce anche alla riforma dell’autonomia differenziata, cavallo di battaglia della Lega, che potrebbe riguardare anche la scuola, con insegnanti e retribuzioni differenziate a seconda delle regioni. “Mi aspetto riforme a costo zero, non credo che aumenteranno gli investimenti dove è necessario, dove si può incidere veramente. Anzi, quando ha governato, la destra ha fatto il contrario. Mi aspetto un disinvestimento complessivo che allarghi la già ampia forbice che c’è negli apprendimenti. Potrebbero riportare i voti alla scuola primaria, dando un'illusoria impressione di maggior rigore e controllo e annullando uno dei pochi cambiamenti pedagogicamente difendibili degli ultimi anni. Meritocrazia, sussidiarietà e regionalizzazione vanno verso questa direzione, in continuità con la riduzione dei finanziamenti per l’istruzione avviata proprio con Gelmini al governo”. 

Anche la docente Giorgia Antonelli, su Doppiozero, ha sottolineato che la scuola “ha bisogno di risorse, per essere radicalmente mutata: stipendi più alti per tutti certo, ma anche premialità e valorizzazione dei docenti a seguito di valutazioni il più possibile oggettive (anche se è molto difficile stabilire i criteri per farlo), in modo da evitare la trappola della dedizione e della vocazione all’insegnamento, parole troppo spesso strumentali a dequalificare il nostro lavoro ponendolo al pari di una missione umanitaria, una specie di volontariato che nulla ha a che fare con la professionalità e che spesso serve solo a giustificare i bassi stipendi e gli scarsissimi investimenti nella scuola pubblica”.

Tra le priorità individuate da Antonelli, la necessità di avere edifici più grandi e rinnovati, ridurre il numero di studenti per classe, rimodulare il calendario scolastico e orari flessibili fino al pomeriggio. “Per farlo però ci vuole una rivoluzione circadiana che ripensi la scuola dalle fondamenta e in ogni suo aspetto, dal sistema di valutazione ai programmi passando per gli adeguamenti strutturali, ci vogliono investimenti massicci, assunzioni che coprano sia la didattica mattutina che le attività pomeridiane in modo da evitare un sovraccarico di lavoro sempre sugli stessi docenti pronti a impegnarsi in attività collaterali e funzioni strumentali”, commenta la docente.  “Oggi invece finiamo sempre più spesso per somigliare agli edifici in cui andiamo a lavorare (fatte salve alcune eccezioni): prefabbricati angusti, freddi d’inverno e roventi d’estate, in cui spesso vi sono aule dove mancano computer, lim e laboratori, fondamentali per una didattica inclusiva e aggiornata, e ci sentiamo un po’ fatiscenti anche noi, condannati alla decadenza del nostro ruolo e della nostra autorevolezza agli occhi di studenti e opinione pubblica, che tendono a non riconoscere l’immenso lavoro che svolgiamo ogni giorno a scuola”. 

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Sotto questo aspetto, conclude Corsini, “il Covid è stata un’occasione persa. Avremmo potuto ripensare la scuola, le strutture, gli edifici, la remunerazione e la formazione del personale. Ma siamo tornati alle stesse condizioni del febbraio del 2020. Questo è stato un drammatico errore, e la responsabilità è di tutti i partiti. Bisognava eliminare il sovraffollamento nelle aule e puntare di più sulla formazione dei docenti. Ma tutto questo ha un costo. La qualità si paga, le lettere no”. 

Negli ultimi giorni, anche il mondo studentesco ha manifestato insofferenza per le idee e le parole del nuovo ministro, che è stato contestato nelle piazze di tutta Italia il 18 novembre. In un post pubblicato sulla loro pagina Instagram, la Rete degli studenti Medi ha raccolto tutte le dichiarazioni del ministro delle ultime settimane, invitando Valditara “a smettere di fare dichiarazioni senza senso e cominciare a lavorare”. 

Per i giovani, le idee del ministro, oltre ad essere fuori luogo, mostrano un’idea di scuola “escludente e punitiva, contraria alla scuola della Costituzione”: “Aspettiamo di sapere, a un mese dal suo insediamento, cosa vorrà fare il ministro nei prossimi anni: quali investimenti sul diritto allo studio? Come risolviamo le condizioni degli edifici scolastici?”, si legge nel post della Rete. “Che risposte darà la scuola al disagio psicologico che denunciamo da mesi? Esistono riflessioni sulla riforma della didattica e delle valutazioni, sui percorsi di educazione civica, all’ambiente, alla sessuo-affettività?”. Il post si conclude con una richiesta di convocazione: “Non è arrivata nessuna risposta. Gli strumenti per ascoltarci esistono. Valditara convocaci”.

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