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La morte di Sandrine e il centro di Conetta: cosa sappiamo

5 Gennaio 2017 10 min lettura

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La morte di Sandrine e il centro di Conetta: cosa sappiamo

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Migranti, rivolta nel cpa di Cona: 25 operatori bloccati per ore, poi liberati”, “Venezia, rivolta nel centro accoglienza di Cona”, “Rivolta nel centro accoglienza di Cona (Venezia). 25 operatori trattenuti e poi liberati”. Una donna muore al centro di accoglienza per migranti di Conetta, una frazione del Comune di Cona, in provincia di Venezia, ma a fare notizia è la protesta dei migranti iniziata dopo la sua morte.

I titoli sulle home page di diverse testate on line hanno dato risalto alla rivolta da parte dei tanti migranti presenti nella struttura che hanno bloccato per tutta la notte gli operatori che lavorano al centro di accoglienza, facendo pensare a una delle tante proteste da parte di richiedenti asilo in attesa di giudizio ospitati nei vari centri di accoglienza presenti in Italia. Il Giornale è andato oltre parlando di “Veneto sotto assedio dei migranti” dopo Cona.

Solo nel sommario dei singoli articoli vengono messi in correlazione i due episodi e forniti alcuni dettagli (la morte della giovane donna, i presunti ritardi nei soccorsi e la protesta) utili per iniziare a farsi un’idea più approfondita dell’accaduto. Quella che era la notizia centrale è diventata un soggetto di sfondo, un elemento che compare nel racconto dei fatti solo in un secondo momento. Un’alterazione della sequenza degli eventi che ha generato una distorsione della comprensione di cosa è successo a Cona e che ha portato a parlare più dei soliti cliché sull’accoglienza dei migranti (“dormono in hotel di lusso”, “arrivano e non se ne vanno”, “non è vero che scappano tutti dalla guerra”, “ci costano troppo, con quei soldi potremmo aiutare gli italiani”) che della tragica morte di una persona di 25 anni in un centro per migranti, che di accogliente aveva ben poco.

In questo articolo, proviamo a rimettere in ordine i fatti, o almeno quello che si sa fino a questo momento.

Cosa è successo a Conetta

Lunedì 2 gennaio, alle 12,30, Sandrine Bakayoko, una ragazza ivoriana di 25 anni, arrivata con il compagno in Italia dalla Costa d’Avorio lo scorso 30 agosto e ospite del centro di prima accoglienza (Cpa) per richiedenti protezione internazionale di Conetta (i CPA accolgono migranti, regolarmente soggiornanti in Italia, all'inizio del proprio percorso di inserimento: in particolare sono destinati ad accogliere donne, minori e richiedenti asilo), viene trovata svenuta in un bagno della struttura. Poco dopo, mentre viene trasportata all’ospedale di Piove di Sacco, muore.

Secondo la ricostruzione di Carlo Mion su La Nuova Venezia, intorno a mezzogiorno Bakayoko è andata in bagno. Dopo mezz’ora, non vedendola tornare, il compagno è andata a cercarla e ha chiesto a una dipendente della cooperativa Ecofficina, che gestisce il centro, di controllare se la donna avesse avuto un malore. Forzata la porta del bagno, l’operatrice ha trovato la giovane priva di sensi accasciata accanto alla tazza del water.

Il medico presente nel centro, chiamato a prestare soccorso, constata la gravità delle condizioni di Sandrine Bakayoko e chiede l’intervento del 118. Giungono sul posto il medico rianimatore del pronto soccorso dell’ospedale di Piove di Sacco e l’ambulanza di Cavarzere. I sanitari stabilizzano i parametri vitali della giovane ivoriana e partono verso l’ospedale di Piove di Sacco. Ma la ragazza muore durante il tragitto.

Per diverse incomprensioni, prosegue Mion, il magistrato di turno viene a sapere solo nel tardo pomeriggio della morte di Sandrine. Dopo essere stata avvisata, Lucia D’Alessandro, sostituto procuratore, chiede ai carabinieri di andare sul posto per appurare cosa fosse accaduto.

Arrivati al centro, i militari trovano una parte dei richiedenti asilo che stava protestando all’esterno della struttura, sostenendo che i soccorsi fossero arrivati in ritardo: alcuni di loro avevano staccato la corrente elettrica, acceso dei roghi e bloccato all’interno 25 operatori della cooperativa. Sul posto erano presenti anche il comandante provinciale dei carabinieri, Claudio Lunardo, e il questore, Angelo Sanna. Gli operatori sono stati fatti uscire intorno alle 2 e la situazione si è calmata solo nella mattinata del giorno successivo, quando un gruppo di migranti ha chiesto un incontro con il prefetto “per mostrargli le condizioni in cui sono sono costretti a vivere, definite ‘inumane’”. «È eccessivo parlare di sequestro» ha precisato al Fatto Quotidiano il commissario capo Luca Vincenzoni, riferendosi a quanto detto da alcuni media e politici. I migranti avrebbero dato fuoco a «quattro vecchie panche di legno» sul prato, senza provocare alcun serio danno.

Nel pomeriggio arriva l’esito dell’autopsia sul corpo della giovane ivoriana, eseguita su ordine della procura della Repubblica di Venezia. L’esame ha accertato che Sandrine Bakayoko è morta per “cause naturali”, in particolare per "tromboembolia massiva polmonare bilaterale", e ha escluso ipotesi di morte dolosa (come violenze o percosse) o a causa di malattie infettive.

Intanto il ministro dell’Interno Marco Minniti ha disposto per la giornata del 4 gennaio il trasferimento di circa cento migranti del centro di accoglienza di Cona in strutture dell’Emilia Romagna.

Le diverse versioni

La Procura della Repubblica di Venezia ha avviato un’indagine per fare luce sulle diverse versioni nella ricostruzione dei fatti e verificare eventuali sottovalutazioni e ritardi nelle cure e accertare possibili reati commessi nel corso della protesta: secondo alcuni ospiti del centro di accoglienza, Sandrine Bakayoko avrebbe manifestato già nei giorni precedenti segnali di malessere e si sarebbe sentita male verso le 8 di mattina, molte ore prima dell’arrivo dei soccorsi; secondo Simone Borile, direttore tecnico della cooperativa, il malore della ragazza si sarebbe verificato intorno alle 13 e i soccorsi sarebbero arrivati immediatamente.

In base ai dati messi a disposizione dal 118 e riportati da Carlo Mion nel suo articolo, i sanitari sembrerebbero giunti tempestivamente al centro. La richiesta di soccorso (agli atti dell'indagine) sarebbe arrivata alle 12,48, alle 13,09 sarebbe arrivata l’ambulanza da Cavarzere e alle 13,15 l’automedica con a bordo medico, infermiere professionale e autista soccorritore, proveniente dall’ospedale di Piove di Sacco. Dopo aver tentato di rianimare Sandrine Bakayoko, in stato di arresto cardiorespiratorio, l’ambulanza sarebbe ripartita alle 13,31 per l’ospedale di Piove di Sacco. Il decesso è stato constatato alle 13,46.

Le reazioni

I commenti a quanto accaduto a Conetta si sono concentrati su questioni differenti, tra speculazioni politiche, considerazioni sullo stato del sistema di accoglienza in Italia, il ricordo di Sandrine Bakayoko e la riflessione sulle condizioni di vita nel centro di prima accoglienza veneto.

Matteo Salvini ha puntato l’attenzione sulla protesta dei migranti, invitando alla chiusura dei centri e a espulsioni di massa.

Il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, in uno status su Facebook, ha segnalato che i soccorsi sono stati tempestivi e che “bisogna attuare la politica dei rimpatri iniziando da questi signori che fanno casino. I centri di accoglienza come quello di Cona devono chiudere. E vanno espulsi i facinorosi e a seguire tutti quelli che non sono profughi. Da questa circostanza emergono tutte le debolezze di questo sistema di accoglienza”. Posizione poi esplicitata in un’intervista all’Huffington Post, in cui Zaia ha proposto di fare campi di prima accoglienza in nord Africa e sottolineato lo scarso dialogo tra regioni, ministero dell’Interno, prefetture e cooperative che hanno in appalto i centri di accoglienza per poterne verificare la gestione.

A Sandrine Bakayoko è, invece, dedicato lo status della pagina Facebook dell’Ex Opg Occupato – Je so’ pazzo, collettivo di giovani e studenti universitari napoletani, che ha occupato nel 2015 l’ex ospedale psichiatrico “Materdei” di Napoli, per sottrarlo dallo stato di abbandono in cui si trovava dal 2008. Nel post, il collettivo denuncia le pessime condizioni igienico-sanitarie dei centri di accoglienza, dove “l'assistenza sanitaria è un lusso, l'igiene pure, di tutela della dignità personale dei migranti non se ne parla”, e scrive di sentirsi come quando “si perde una sorella. Nei centri per l'accoglienza si muore. Come Sandrine non vogliamo piangere più nessuno”.

«Non possiamo tollerare e non giustificheremo mai episodi come quelli accaduti nel Cpa di Cona in provincia di Venezia. È inaccettabile che occorra attendere fino a 8 ore per avere sul posto un’ambulanza che presti i dovuti soccorsi a una migrante, che poi purtroppo ha perso la vita. Ed è ancora più inaccettabile la reazione di coloro che hanno tenuto a lungo assediato i 25 addetti del centro liberati solo a tarda notte», ha dichiarato il presidente della Commissione di inchiesta sui migranti, Federico Gelli (Pd), che ha aggiunto che presto il ministero dell’Interno Marco Minniti sarà ascoltato dalla Commissione per capire «se predisporre i Cie, centri di identificazione ed espulsione, in ogni regione sia realmente la risposta giusta all’emergenza immigrazione».

Il centro di Conetta

L'ex base missilistica, isolata dal centro abitato, dove è situato il centro di Conetta
L'ex base missilistica, isolata dal centro abitato, dove è situato il centro di Conetta

Già in passato i richiedenti protezione internazionale presenti nella struttura, gestita dalla cooperativa Ecofficina, avevano protestato per chiedere migliori condizioni di vita: si erano lamentati del freddo durante la notte, dell’assenza di vestiti e acqua calda per lavarsi, della scarso numero di docce e servizi igienici, della carenza di medicine e assistenza medica.

Situazione segnalata anche sulla pagina Facebook Officiel Italie immigration dove i richiedenti asilo presenti nel centro di Conetta stanno documentando da tempo le condizioni della struttura che li accoglie. La pagina ospita fotografie e post dei migranti che transitano nella struttura: dai loro scatti si intuiscono degrado di condizioni igieniche e spazi, invivibili a causa dell'alto numero di persone ammassate.

Il centro si trova all’interno di una ex base missilistica di proprietà del ministero della Difesa nei pressi di Conetta, una frazione di quasi 200 abitanti, vicino Cona, in provincia di Venezia. È gestito dalla cooperativa Ecofficina, nata nel 2011 come gruppo dedicato alla gestione dei rifiuti e dalla fine di marzo del 2014 entrata nell’ambito dell’accoglienza. Oltre a quello di Conetta, in Veneto gestisce anche i centri di Bagnoli e della Prandina a Padova e alcuni centri Sprar per un totale che a giugno, secondo Melting Pot Europa, superava i 1200 richiedenti asilo. Proprio per l’assegnazione del bando Sprar 2016, scriveva a maggio il Corriere del Veneto, i vertici della cooperativa sono indagati dalla procura di Padova. Un’indagine che si aggiunge a un’altra inchiesta di pochi mesi prima per truffa aggravata, violenze e maltrattamenti per fatti avvenuti nel 2014 sempre nella gestione dell’accoglienza migranti.

L’ex base missilistica di Conetta ospita i richiedenti di protezione internazionale dal 2015. Nel giugno scorso una delegazione della campagna LasciateCIEntrare e di avvocati dell’associazione Giuristi Democratici aveva avuto accesso alla struttura ed espresso diverse perplessità sulle sue condizioni:

Il centro si trova a Conetta un piccolo borgo in cui non ci sono servizi né spazi sociali, una tendopoli nel nulla. Alle tende si alternano casolari con letti a castello in stanze stracolme. Il centro – che neanche la prefettura sa come inquadrare dato che i Comuni non accettano migranti – ospita attualmente 620 persone, 80 in più del numero massimo di quante previste, appartenenti ad oltre 25 diverse nazionalità. Molti gli eritrei che non hanno neanche un mediatore nella loro lingua.

(...)

Entriamo nelle tendostrutture e vediamo decine e decine di letto a castello dove ognuno cerca di ritagliarsi una propria minima intimità, utilizzando coperte per sottrarsi allo sguardo degli altri ed accatastando bagagli ed oggetti temporanei sotto o sopra il letto. Restiamo piuttosto sgomenti. Il sovraffollamento è evidente. Gli stessi letti a castello sono a gruppi di 4 (due letti sopra e due sotto tra di loro attaccati) e quindi la promiscuità e la mancanza di un minimo di privacy sono assolute. Le due tendostrutture ospitano circa la metà delle persone (160 in una e più di 100 nell’altra).

Già prima della sua apertura, il sindaco di Cona, Alberto Panfilio, si era detto preoccupato che la struttura diventasse come un centro di prigionia, perché situata in aperta campagna e priva di collegamenti e servizi.

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A novembre 2016, il parlamentare di Sel, Giovanni Paglia, aveva presentato un’interrogazione parlamentare rivolta all’allora ministro dell’interno Angelino Alfano, evidenziando le “condizioni di soggiorno difficilmente compatibili con la parola accoglienza” in un centro che all’epoca ospitava 1256 persone e avvertendo che “una simile situazione potrebbe degenerare in qualsiasi momento”.

Le denunce sono state, però, ignorate. Il centro ospita, attualmente, circa 1300 persone, quasi 800 in più delle 530 in più che potrebbe accogliere, scrive Internazionale. Il sovraffollamento della struttura è stato causato anche della mancata disponibilità da parte dei Comuni del Veneto di aprire centri di accoglienza per richiedenti asilo: meno del 50% dei Comuni in provincia di Venezia ha aderito al sistema di accoglienza Sprar, costringendo i prefetti a trasferire i migranti in edifici militari riconvertiti in centri di accoglienza straordinari. Un sistema che non crea le premesse per l’inclusione perché destina i migranti in luoghi distanti dai centri abitati. Come ha detto Gianfranco Schiavone dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) al programma Tutta la città ne parla, una strada potrebbe essere l’accoglienza diffusa del Sistema nazionale per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), ma solo il 14% dei richiedenti protezione internazionale è ospitato in un centro Sprar e appena un terzo dei 118 Comuni capoluogo li accoglie volontariamente.

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