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Rai: ma quale servizio pubblico?

18 Giugno 2014 15 min lettura

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Rai: ma quale servizio pubblico?

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Articolo in partnership con i quotidiani del gruppo Espresso
(hanno collaborato Arianna Ciccone, Vincenzo Marino

Aggiornamento 25 febbraio 2015: Mediaset lancia un'opa (un'offerta pubblica di acquisto) su Raiway. Tramite Ei Towers, società che controlla le antenne delle televisioni di Cologno Monzese, l'azienda della famiglia Berlusconi punta ad ottenere il 100% di Raiway "per costruire un'aggregazione nazionale dell'infrastruttura di trasmissione televisiva". Per farlo sono pronti oltre 1,2 miliardi di euro.

Aggiornamento 5 settembre 2014: "La rai sarebbe pronta a vendere  quote di minoranza di Raiway per 400 milioni. Molto più del doppio dei 150 milioni richiesti dal governo Renzi all'azienda di viale Mazzini. Cifre che hanno sollevato critiche da parte di politici e sindacalisti. "La decisione assunta oggi dal CdA della Rai è un errore grave", ha subito ribattuto l'Usigrai. Forti dubbi sull'operato della dirigenza Rai sono stati sollevati anche dopo che ieri Riccardo Iacona, conduttore del programma d'inchiesta Presa Diretta, ha denunciato il taglio lineare di risorse per i propri collaboratori. Il rischio, dice il giornalista, è la chiusura del programma.

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Una riforma della Rai in 6 mesi. Questa l’intenzione del governo Renzi, secondo le ultime indiscrezioni pubblicate da Repubblica. Un cambiamento che riguarderebbe il servizio pubblico nella «governance, il canone e la legge Gasparri». A oggi, però, nel dl Irpef approvato definitivamente alla Camera, per la Rai c’è il taglio da 150 milioni. Un provvedimento che ha finalmente riacceso la discussione sul ruolo della tv di Stato in Italia.

Cosa dice il decreto

«La Rai è chiamata a concorrere al risanamento (dei conti pubblici ndr) con un contributo di 150 milioni di euro». Provvedimento annunciato il 18 aprile scorso da Matteo Renzi durante la presentazione del decreto legge Iperf. Nella prima versione del dl - pubblicato in gazzetta ufficiale il 24 aprile - la Rai, all’articolo 21, veniva autorizzata a vendere quote di società partecipate, anche di maggioranza e a riorganizzare le proprie sedi regionali.

(S)Vendere Rai Way?

Nella conferenza stampa di presentazione del dl, Renzi aveva parlato di «vendita di Rai Way». Con le modifiche apportate al testo nelle commissioni Bilancio e Finanza del Senato è rimasta la possibilità di vendere quote di minoranza della società, mantenendone quindi il controllo. Per Anna Maria Tarantola, presidente Rai, questa operazione nel breve periodo è «l'unica soluzione percorribile, per fronteggiare la riduzione di 150 milioni di euro degli introiti da canone (...)». Conferma che arriva anche dal direttore Luigi Gubitosi, direttore generale Rai, che intervistato dal Corriere della sera, ha spiegato che la quotazione di Rai Way è già operativa: «Abbiamo selezionato un gruppo di banche, di advisor».

C’è chi però al riguardo ha un giudizio negativo. Roberto Fico (M5s), presidente della commissione di Vigilanza Rai, ha infatti detto che «Rai Way è un bene pubblico, non si svende».

> Ma quali compiti ha questa società nella galassia Rai e qual è il suo stato di salute?

Nata nel luglio 1999, diventa operativa da marzo 2000. Attualmente è controllata interamente dalla Rai. A Rai Way è stata trasferita la proprietà delle infrastrutture e degli impianti per la trasmissione e diffusione televisiva e radiofonica della Rai. Ci lavorano circa 600 ingegneri e tecnici ed è composta da 23 sedi territoriali e 2.300 siti dislocati in tutta Italia. Due le attività che svolge:

a) gestione e sviluppo delle reti di trasmissione e diffusione radiotelevisiva per la RAI

b) erogazioni servizi verso clienti business.

Dal bilancio 2013 emerge una società in piena salute. L’esercizio dell’anno scorso, infatti, si è chiuso con un utile netto di 11,8 milioni di euro, in aumento rispetto a quello del 2012 di 8,5 milioni di euro (+255%). I ricavi del 2013 sono stati pari a 219,2 milioni di euro, in diminuzione di 5,4 milioni di euro rispetto al 2012 (- 2,4%). Per i costi, il dato è  di 132,8 milioni di euro, con una contrazione di 3,2 milioni (-2,3%) rispetto all’anno scorso. La capitalizzazione del personale è pari a 0,9 milioni di euro, diminuita di 1,3 milioni di euro rispetto al 2012 grazie all’impiego di risorse interne per attività di progettazione e installazione. Al 31 dicembre 2013 l’organico di Rai Way era composto da 601 unità (14 dirigenti, 118 quadri, 434 tecnici o impiegati e 35 operai). Nel corso dell’anno, 42 persone hanno aderito al piano di incentivazione all’esodo volontario. Altra fonte di risparmio è stata quella dei costi per le trasferte, ridotti di 0,8 milioni di euro.

La polemica sulle sedi regionali 

Per risparmiare dalla riorganizzazione delle sedi regionali Rai, il governo ha fatto sua la proposta presente nel piano di spending review (“Proposte per la revisione della spesa pubblica 2014/2016”, pag .71) di Carlo Cottarelli, commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica. Con le ultime modifiche al decreto legge, al contrario, queste sedi vengono mantenute.

> Ma qual è il loro costo?

Domanda di non facile risposta. Abbiamo chiesto direttamente all'ufficio stampa della Rai, ma le cifre non ci sono state fornite perché si «tratterrebbe di un'informazione sensibile che favorirebbe la concorrenza». Antonella Piperno su Panorama, nel febbraio scorso, ha fatti i conti in tasca a queste strutture:

Sono oltre duemila i dipendenti insediati nelle 17 sedi e nei quattro centri di produzione Rai di Milano, Napoli, Torino e Roma. Cui si aggiungono  altre tre redazioni: quella in sloveno della sede triestina e quelle tedesca e ladina a Bolzano. Totale della spesa annua: circa 400 milioni di euro.

Oltre al costo, Piperno nel pezzo racconta anche di continui sprechi:

A Firenze ogni dipendente ha a disposizione 140 metri quadri, la sede di Bari ha otto piani per un centinaio di dipendenti in tutto, a Genova i piani sono addirittura 12  e a Venezia  si lavora tra gli affreschi del Tiepolo a palazzo Labia, che la Rai non riesce a vendere.

A questi sperperi, nell’articolo, si aggiungono anche interessi politici locali che condizionerebbero il servizio pubblico prodotto nelle sedi regionali. Al riguardo, Giancarlo Magni, ex vice capo redattore del tgr Toscana, in un articolo su Formiche.net, elencando le anomalie della Rai, scrive che «le sedi regionali sono, anche inconsciamente, una longa manus del potere politico locale».

Tutte criticità evidenziate anche da Milena Gabanelli in una lettera pubblicata a fine 2013 sulle pagine del Corriere della sera. La giornalista di Report si domandava quale fosse l’utilità di questi sedi, se i tre tg regionali producono al giorno “servizi su sagre”, “su assessori che inaugurano mostre” e “qualche fatto di cronaca”:  «Perché non cominciare a razionalizzare?». Ne era nato un botta e risposta con l’Usigrai, in cui il sindacato dei giornalisti Rai aveva sia contestato numeri e considerazioni riportate dalla Gabanelli, sia confermato che «alcuni immobili sono sovradimensionati».

Taglio di 150 milioni di euro: legittimo o no?

Nel decreto restano confermati i soldi che la Rai deve dare. Sulla regolarità del taglio ci sono però pareri discordanti. Per Vittorio Di Trapani, segretario nazionale dell’Usigrai, si tratta di un provvedimento che oltre «a mettere in grave difficoltà i conti economici della Rai», è anche illegittimo: «La stessa cosa è stata confermata di recente dall’Ebu (l’associazione dei servizi pubblici europei) che ha scritto al presidente della Repubblica Napolitano, dicendo che un taglio così fatto mette a repentaglio la libertà e l’indipendenza del Servizio Pubblico».

Illegittimità che Alessandro Pace, ex presidente dell’associazione italiana dei costituzionalisti, a cui il sindacato ha chiesto un parere tecnico, ha spiegato essere dovuta al fatto che si tratta di un “appropriazione indebita” perché i 150 milioni da versare arriverebbero dal canone che «ai sensi della legislazione vigente (...) «deve essere attribuito per intero alla concessionaria del servizio pubblico» e che «il titolo giuridico di trasferimento alla Rai è costituito da un’imposta di scopo».

In un’intervista al Fatto Quotidiano, Angelo Guglielmi, ex direttore di Raitre, ha definito invece «irrilevante» il taglio richiesto dal governo Renzi definendo ingiustificato lo sciopero dell’11 giugno scorso (con partecipazione al 75%, dati dei promotori) fatto dai dipendenti Rai: «si dimostra che la Rai teme di saper stare sul mercato».

Se si vuole partire dai tagli, bisogna ricordare che in questi anni sono comunque stati fatti. Nel 2012 la Rai ha chiuso il bilancio in rosso di 240 milioni di euro. Quello del 2013, grazie a notevoli riduzioni di costi, ha registrato un utile netto di 5 milioni di euro.

Sul tema è intervenuta anche la Presidente della Rai, Anna Maria Tarantola: «Abbiamo risparmiato 85 milioni in un anno. Ridotto i compensi delle star del 10-20% man mano che i contratti andavano in scadenza. Abbiamo avviato una procedura per razionalizzare le sedi regionali e per la vendita degli immobili». Tarantola ha inoltre sottolineato che la cifra chiesta dal governo Renzi inciderà pesantemente sul bilancio. Ecco perché per la presidente della Rai se si vuole lavorare a un «cambiamento radicale» della Rai «è necessario intervenire su missione, governance, canone».

Ma come funziona la Rai?

La Rai, concessionaria del servizio pubblico e radiotelevisivo, è una società per azioni (come stabilito nello Statuto) controllata per il 99,56% dal ministero dell’Economia e per il restante 0,44% dalla SIAE. La legge Gasparri (2004) e il testo unico della Radiotelevisione (2005) ne stabiliscono funzionamento e compiti.

> Finanziamento misto

> Governance

Il Consiglio di amministrazione è composto da 9 membri che durano in carica 3 anni. La nomina dei consiglieri, dopo la legge Gasparri, si svolge in questo modo: il Parlamento tramite la Commissione parlamentare di Vigilanza sceglie 7 membri. Il governo - tramite il ministero dell’Economia - ne sceglie un altro più il Presidente. Il direttore generale, in carica per 3 anni, viene votato dal consiglio di amministrazione dopo la nomina del ministero del Tesoro. Il cda decide anche i direttori di rete e i direttori dei telegiornali. Un meccanismo di lottizzazione che porta la politica al dominio degli organi direttivi della Rai, attraverso spartizioni (tra maggioranza e opposizione) e nomine.

> Contratto di servizio

È un accordo che la Rai e il ministero del Tesoro rinnovano ogni 3 anni. Individua i compiti necessari della società concessionaria per svolgere il servizio pubblico. Ma proprio sulle firma del Ministero del Tesoro sono nate delle riserve. Nel 1975, infatti, la legge n.103, sancì il passaggio del controllo del servizio pubblico dal governo al Parlamento in nome dell’indipendenza, l’obiettività e il pluralismo. Proprio per questo motivo, Gilberto Squizzato, ex giornalista Rai, nel suo libro La tv che non c’è. Come e perché riformare la Rai (2010) si domanda cosa c’entri la firma del ministro, espressione di controllo del governo.

«Se per caso - sottolinea Squizzato - il contratto di Servizio fosse disatteso dalla Rai anche per una sola delle voci (elencate dal contratto stesso) chi dovrebbe risponderne? Il suo presidente? Il consiglio di amministrazione? Il direttore generale? I direttori di testata? Oppure bisognerebbe rescinderlo e magari affidare il servizio pubblico radiotelevisivo a un'altra emittente?»

> Codice etico

Se il Contratto di Servizio stabilisce, come scrive sempre Squizzato, la varietà merceologica che la Rai deve fornire al pubblico pagante, è la Rai stessa, e qui siamo al paradosso, che con un proprio Codice Etico (Documento approvato dal Cda che rappresenta i valori in cui il gruppo Rai si riconosce), stabilisce da sé le proprie finalità.«Insomma la Rai si dà i compiti e si controlla se stessa».

Tra l'altro, e questo è uno dei punti deboli, il Codice afferma che il pluralismo «deve avere riscontro nei singoli programmi». «È facile verificare l'impraticabilità, e dunque l'assurdità, di questa prescrizione: com'è possibile, in tutti i singoli programmi applicare il pluralismo (dalla partita di calcio al settimanale giornalistico, alla fiction alla trasmissione scientifica). L'unico pluralismo effettivamente realizzabile è quello che si manifesta nell'articolazione di un palinsesto vario e completo e con la diversità di voci, culture, orientamenti che vi si esprimono», commenta Squizzato.

> Organico

Al 31 dicembre 2012 l’organico Rai in totale è di 13.158 persone. Con un costo per il lavoro subordinato pari a 1 miliardo di euro.

Dai dati forniti da Gubitosi nell'audizione in vigilanza Rai del giugno 2013 emergono le retribuzioni dei dirigenti e dei giornalisti dirigenti. Ai primi in media va un compenso lordo annuo di 155.000 euro, mentre ai secondi di 147 mila euro. Con i massimi che raggiungono i 500.000 euro e i minimi 100.000.

Ma quali sono i criteri di assunzione in Rai? Sempre secondo i dati di Squizzato solo il 20% del personale è assunto con concorso. La pratica della chiamata diretta continua a verificarsi: uno degli ultimi casi è quello delle 35 assunzioni dal bacino della scuola di Perugia fatte dalla Rai la scorsa estate. Come anche quella della segnalazione politica, definita come uno dei problemi maggiori della Rai da parte del dg Gubitosi, in una audizione in vigilanza Rai nel giugno scorso (pag. 10):

(...) i progressi di carriera non sono stati determinati, per troppi anni, da competenza e merito, ma, al contrario, hanno subìto spesso influenze esterne. (...) Per lunghissimo tempo (...) le nomine, non solo quelle apicali, ma spesso anche quelle intermedie, sono state, in molte occasioni, decise sulla base di criteri di appartenenza e fedeltà. Questo comporta che nel tempo sia stata minata una cultura aziendale basata sui valori comuni delle persone, valori di crescita, di competenza, di merito (...).

Anche la modalità dei contratti firmati dalla Rai ha creato negli anni continui problemi e spese legali. Nel 2010 Sergio Rizzo scriveva sul Corriere della sera che le cause di lavoro aperte dalla Rai «erano ben 1.309, a fronte di 13.313 dipendenti in tutto il gruppo». Un contenzioso legale che nel 2011 ebbe «un costo complessivo di 105 milioni di euro», scriveva Giovanni Florio, su Lettera43 un anno fa.

Il servizio pubblico in Europa: modelli a confronto

Anche se il canone italiano non è tra i più alti in Europa, molto cittadini non lo pagano. «Registriamo un'elevata evasione di oltre il 26% - spiegava in Vigilanza nel giugno scorso la presidente Rai, Tarantola - contro medie di altri Paesi che vanno dal 5% al massimo al 10%». Fenomeno che «determina un mancato introito di circa 500-600 milioni annui, riducendo le possibilità di investimento in prodotto e in tecnologia».

Partendo da un focus del 2010, intitolato Il servizio pubblico, pluralismo, democrazia, media a cura della “Fondazione  per la sussidarietà”, è possibile provare a comparare i sistemi di finanziamenti, nomine e controllo di alcune delle più importanti tv europee di servizio pubblico con il nostro:

 France Télévision - Francia

Finanziamento: Misto, canone + pubblicità.

Nomine: C’è un consiglio di amministrazione che dura in carica 5 anni ed è composto da un Presidente più 14 membri: due parlamentari designati da commissioni incaricate degli affari culturali dell’assemblea nazionale e del senato, cinque rappresentanti dello Stato, cinque indipendenti, nominati dal Conceil superieur de l’audiovisuel, due rappresentanti del personale.

Controllo: Lo Stato detiene la totalità del capitale. L’incarico di regolare e vigilare è affidato a una autorità amministrativa indipendente, i cui 9 membri sono nominati con decreto del presidente della Repubblica.

 ZDF - Germania

Finanziamento: Misto, canone + pubblicità.

Nomine: Il direttore generale è eletto dal consiglio la cui composizione deriva dai “gruppi socialmente rilevanti” menzionati nel trattato della ZDF.

Controllo: Il servizio pubblico è completamente indipendente e autonomo, tanto che nel 2007, il Cda delle emittenti pubbliche ha citato in giudizio gli Stati federati per indebita ingerenza. E il ricorso è stato accettato dalla Corte Suprema.

 RTVE - Spagna

Finanziamento: Misto, finanziamento pubblico e tassa sugli operatori privati di tv e telefonia (canone abolito poco dopo la fondazione nel 1956).

Nomine: Il consiglio di amministrazione che dura in carica 6 anni gestisce l’amministrazione della società. A capo c’è il presidente, affiancato da nove membri. Questi sono scelti dal Parlamento. Il Congreso de Los Disputados nomina tra i nove consiglieri un presidente che ricopre sia il ruolo di presidente della società che quello di presidente del Consiglio di amministrazione.

Controllo: Una legge del 2006 (la n.17) parla della creazione dei Consigli dei media: «organi interni con la partecipazione dei professionisti dei media della RTVE, progettati per salvaguardare l’indipendenza, l’obiettività, e la verità delle informazioni diffuse».

 BBC - Gran Bretagna

Finanziamento: Esclusivo, solo da canone. BBC World News solo da pubblicità.

Nomine: Il Bbc Trust  definisce le strategie dell'emittente, è un executive board ed è responsabile della gestione operativa. Per garantire i diritti dei telespettatori è stata creata la 'Royal Charter', che contiene le linee guida del servizio pubblico. Il documento viene rinnovato ogni dieci anni.

Controllo: Sono due le autorità a cui è soggetta la BBC. La BSC si occupa di vigilare sul trattamento della privacy. Ofcom è l’ente regolatorio per il settore delle comunicazioni nell’UK, il cui board definisce la direzione strategica della BBC.

Rai: quale servizio pubblico?

La richiesta del governo Renzi ha posto al centro del dibattito la questione della Rai e del servizio pubblico in generale (di riforma della tv di Stato si parlò anche durante il Governo Monti, ma poi non si fece nulla). Discussione segnata anche dal prossimo rinnovo della concessione di sevizio pubblico che scade nel 2016. «Riforma del canone, anticipazione del percorso della concessione, trasformazione e innovazione della Rai sono gli obiettivi da raggiungere entro il 2014», ha promesso Antonello Giacomelli, sottosegretario alla Comunicazioni.

Una riforma richiesta da più parti, sia interne che esterne all'azienda, che abbia la finalità di rinnovare missione e governance e che riesca a togliere il servizio pubblico dalle mani della politica. Uno dei modelli a cui ispirarsi, secondo alcuni, è quello della britannica BBC, uno dei servizi pubblici televisivi più grandi e noti al mondo. Un modello a cui guardare anche per quanto riguarda la trasparenza dei dati. «La Rai si è sempre rifiutata di rendere pubblici i compensi dei conduttori e dei propri giornalisti - scrive Roberto Perotti su Lavoce.info in un ebook in cui compara il servizio pubblico italiano con quello inglese - La BBC pubblica i compensi e i nomi del senior management più importante, e i  compensi di tutto il senior management per fasce di reddito di 5.000 sterline. Inoltre, (...) anche le remunerazioni dei conduttori e degli artisti, per fasce».

Proprio grazie alla trasparenza potrebbero essere rivisti appalti, consulenze, collaborazioni e produzioni esterne. Aspetti del servizio pubblico in cui il potere e l’influenza della politica son ben radicati e di soldi ne girano tanti. Lo scorso luglio Carlo Tecce, sul Fatto quotidiano, visionando «un documento segreto consegnato da Gubitosi alla Vigilanza Rai», riportava la cifra di 2 miliardi di euro all’anno per gli appalti concessi dal servizio pubblico. Una maggiore trasparenza aiuterebbe a comprendere meglio quali sono i criteri che guidano queste assegnazioni, come ad esempio il fenonemo dei «soldi per le fiction alle aziende dei "figli di"».

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Interessante al riguardo è il botta e risposta, nell’audizione del giugno 2013 in vigilanza, tra il dg Rai e Alberto Airola, parlamentare 5 stelle e membro della commissione. Nel suo intervento Airola domanda al manager di rendere pubblici tutta una serie di dati (albo fornitori RAI, l’ammontare degli appalti e le gare, i criteri di assegnazione, i bandi, ecc) «nel rispetto della trasparenza alla quale il servizio di Tv pubblico è tenuto». Nella risposta Gubitosi invita il senatore 5 stelle a mandare una mail «con il dettaglio delle domande» a cui la Rai avrebbe risposto. A un anno di distanza, abbiamo chiesto ad Airola se i dati fossero arrivati: «No, il direttore generale non ha mai risposto ai miei quesiti».

Il lavoro da fare, quindi, secondo Luigi De Siervo, alla guida dell’Adrai (Associazione dirigenti Rai) intervistato da Il Foglio è: «una progressiva indipendenza dalla politica, una riformulazione delle carriere, un’analisi della missione del servizio pubblico e una riqualificazione del personale». Questo per capire che tipo di servizio pubblico si vuole: «Come si può accettare - domanda infatti De Siervo - che una serie come Gomorra sia prodotta da Sky, e non da noi?».

 

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