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Non è il momento delle domande senza risposta

7 Agosto 2011 2 min lettura

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Non è il momento delle domande senza risposta

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Sono l'unico che, leggendo un'intervista a un politico o un amministratore pubblico, si incazza quando si imbatte nella frase "non rispondo"? 

E sono l'unico che non capisce per quale motivo il giornalista sembra non insistere, almeno restando alla ricostruzione pubblica del dibattito (cioè, a ciò che leggiamo)? 
In queste settimane ho notato un aumento impressionante dei 'non rispondo' senza ulteriore richiesta di risposta e approfondimento. Come se questo fosse un comportamento agevole, consentito, persino ovvio. Come se non rispondere a una domanda di un giornalista fosse un'opzione tra le tante. Come se i giornalisti, negli altri Paesi del primo mondo, si comportassero allo stesso modo. 
Quando la stampa estera intervista i nostri politici, facciamo spesso epiche figuracce. E la responsabilità è parimenti divisa tra i due attori del gesto comunicativo: il politico che si sottrae manca di rispetto nei confronti dei lettori/cittadini, ma esercita allo stesso tempo un diritto che, evidentemente, i giornalisti gli riconoscono con eccessiva reverenza.

Non è il momento delle domande senza risposta, non lo è almeno per tre ragioni. 

La prima ragione è antropologica: siamo tutti immersi in strumenti, metodi, azioni, atti di comunicazione che non prevedono l'assenza di bidirezionalità e, dunque, non prevedono che le risposte siano inevase. Non esiste uno scambio di battute, specie sui social media, in cui a domanda si possa non rispondere senza essere pubblicamente censurati o stigmatizzati. Se io, voi, fossimo direttamente interrogati dai nostri amici, reali o semplicemente di Facebook, su un nostro comportamento, pensiero, opinione, dovremmo dire qualcosa o altrimenti deluderemmo profondamente le attese degli interlocutori e del 'pubblico', di chi guarda le nostre bacheche. 
La seconda è politico/simbolica: il giornalista che fa domande è il rappresentante di un popolo che chiede informazioni e che delega i mezzi di comunicazione a indagare, ad approfondire, a raccontare. Il politico che risponde alle domande è il rappresentante dello stesso popolo rappresentato dai giornalisti, con la delega a essere alla guida della propria comunità per perseguire l'interesse generale della collettività. Politico e giornalista sono dunque nello stesso sistema di rappresentanza e delega, sono attori di una dialettica pubblica ed entrambi i ruoli sono allo stesso modo indispensabili per il buon funzionamento del sistema. 
La terza è storica: gli italiani attendono risposte dalla politica. Non è retorica, è la storia di questo periodo: c'è un sistema economico globale in crisi, la macchina economico/politica italiana non funziona e c'è bisogno di affermazioni chiare, di proposte, di scelte, anche impopolari. Meglio le lacrime e il sangue che l'inerzia. Gli italiani preferirebbero sapere che la sofferenza è necessaria ma porterà a un risultato, rispetto a rassicuranti dichiarazioni pubbliche che nascondono una china negativa oramai neanche tanto lenta.
Dino Amenduni
@valigia blu - riproduzione consigliata

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