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Naufragio di Crotone: una strage all’ombra dei rimpalli istituzionali sulle responsabilità

1 Marzo 2023 10 min lettura

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Naufragio di Crotone: una strage all’ombra dei rimpalli istituzionali sulle responsabilità

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Il 26 febbraio un’imbarcazione di legno si è spezzata ed è naufragata davanti alle coste calabresi, a Steccato di Cutro, vicino Crotone. I corpi finora recuperati sono 66, tra cui 14 minori, 21 donne e un neonato, ma potrebbero essere centinaia. Si presume che l’imbarcazione trasportasse 200 persone, per lo più afgani, e fosse partita quattro giorni prima da Izmir, in Turchia. Due scafisti sono stati fermati.

La dinamica del naufragio e perché non c’entra direttamente il decreto Piantedosi sulle ONG

“I naufraghi – ricostruisce Annalisa Camilli su Internazionale – hanno raccontato di essere partiti dalla Turchia, percorrendo una rotta che da qualche anno si è riattivata e rappresenta il 15% degli arrivi in Italia: la rotta che parte della Turchia e arriva in Calabria”. 

Non si può dire che l’imbarcazione non sia stata salvata perché a causa del decreto Piantedosi mancavano le ONG, osserva il giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura. Il naufragio è avvenuto infatti in un quadrante – il quadrante ionico e a sud-est della Sicilia – in cui non operano le ONG e in cui confluiscono spesso pescherecci che arrivano dalla Cirenaica, a volte anche con 400 persone, e barche a vela. Questa volta, purtroppo, si è trattato di un barcone in legno che si è schiantato quasi a bordo costa, posandosi violentemente su una secca. 

Questo quadrante andrà tenuto sotto osservazione in futuro perché potrebbe essere la tratta scelta da eventuali esodi di persone in fuga dopo il terremoto che ha colpito violentemente Turchia e Siria.

Le incongruenze nella ricostruzione delle operazioni di salvataggio

Ci sono alcuni elementi che non tornano. Ai cronisti sono arrivati immediatamente due comunicati stampa istituzionali, rispettivamente dalla guardia costiera italiana e dal reparto operativo aeronavale (ROAN) della guardia di ginanza. Come ricostruito da Sergio Scandura su Radio Radicale:

1) Dal comunicato della guardia costiera si evince che questa costiera è intervenuta soltanto sulla scena della tragedia, cioè al momento del rinvenimento dei cadaveri e successivamente con le operazioni di ricerca degli eventuali dispersi. Il comunicato della guardia costiera ha dato conto appena delle vittime accertate senza dare ulteriori dettagli.

2) Il comunicato del ROAN è molto più articolato e riprende la timeline operativa che però lascia molti interrogativi sulla tipologia dell’operazione compiuta. Dal comunicato sappiamo che sabato 25 febbraio alle 22,30 un veicolo Frontex ha individuato l’imbarcazione a 40 miglia a sud-est dell’isola di Capo Rizzuto. 

Va specificato che alle 5 del mattino, sempre di sabato 25 febbraio, circa 16 ore prima dell’avvistamento di Frontex, il Centro di Coordinamento per il. Salvataggio in Mare (MRCC) di Roma aveva già diramato un allarme, ma senza dare le coordinate dell’avvistamento.

Dopo la segnalazione di Frontex, la sera del 25 febbraio, partono due vedette della Guardia di finanza, uno scafo veloce V.5006 da Crotone, e il pattugliatore Barbarisi da Taranto. Entrambi gli assetti della GDF hanno però desistito dall’operazione di ricerca a causa delle condizioni meteorologiche fortemente ostili – si legge nel comunicato. 

Il comunicato, osserva Scandura, dà alcuni dettagli importanti. Al suo interno si legge che Frontex “ha avvistato una imbarcazione che presumibilmente poteva essere coinvolta nel traffico di migranti”. 

Tutto questo – il mancato intervento della Guardia costiera, il riferimento nel comunicato della Guardia di finanza che potesse trattarsi di una imbarcazione coinvolta nel traffico di migranti – fa pensare che i naufraghi fossero stati considerati dei migranti irregolari e che quindi che sia stata decisa un’operazione di polizia, invece che una vera e propria operazione di salvataggio, commenta Scandura a Radio Radicale. E questo approccio, sostiene il giornalista, farebbe capo a una linea di comando che viene da Roma, dal ministero degli Interni: “Lo abbiamo già visto con i decreti sicurezza di Salvini. Lo stiamo già vedendo nel processo Open Arms, dove l’ammiraglio Liardo ha chiaramente detto che questi casi non vengono trattati come casi SAR (ricerca e soccorso) ordinari e che in molti casi si valuta sulla galleggiabilità delle imbarcazioni”. 

È un approccio che va contro gli obblighi internazionali, aggiunge Scandura. “Le imbarcazioni che partono sovraccariche sono già da considerare in difficoltà non appena lasciano la costa, siano esse turca, libica, tunisina o algerina”. A oltre 48 ore dal naufragio sono arrivati altri due comunicati di Guardia costiera e Frontex che, però, non diradano i dubbi sulla catena dei soccorsi.

Secondo la versione della Guardia costiera, Frontex ha inviato un alert la sera del 25 febbraio che riportava la presenza di una barca in navigazione nel mar Jonio che “risultava navigare regolarmente, a 6 nodi e in buone condizioni di galleggiabilità, con solo una persona visibile sulla coperta della nave”. La segnalazione di Frontex è stata inviata alla Guardia di finanza (che fa capo al ministero degli Interni) per un’operazione di  ‘law enforcement’ – e quindi di polizia – e solo per conoscenza “anche alla centrale operativa della Guardia costiera di Roma” (che fa capo al ministero dei Trasporti e che si occupa delle operazioni di soccorso). Per questo motivo la Guardia costiera non sarebbe stata attivata immediatamente.

Dopo la segnalazione di Frontex, sono partiti come detto i due scafi della Guardia di finanza che poi sono tornati indietro per le condizioni del mare avverse. Solo alle 4,30 del mattino, prosegue la Guardia costiera, “sono giunte alcune segnalazioni telefoniche da terra relative a un’imbarcazione in pericolo a pochi metri dalla costa”. I carabinieri, precedentemente allertati dai finanzieri, “giunti in zona hanno riportato alla Guardia costiera l’avvenuto naufragio”. Questa – secondo quanto sostenuto dalla Guardia costiera – sarebbe stata “la prima informazione di emergenza” sull’imbarcazione avvistata nella notte di sabato da Frontex. Nessuna segnalazione telefonica, inoltre, sarebbe “mai pervenuta ad alcuna articolazione della Guardia costiera dai migranti, presenti a bordo della citata imbarcazione, o da altri soggetti come avviene in simili situazioni”.

Questa la versione della Guardia costiera. È arrivata poi la versione di Frontex che in alcune parti discorda da quella del corpo militare italiano. L’Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera afferma di aver “avvistato un’imbarcazione con 200 persone pesantemente sovraffollata” che “si dirigeva verso le coste italiane e non c’erano segni di pericolo” – e non di una barca che “viaggiava a 6 nodi e in buone condizioni di galleggiabilità, con solo una persona visibile sulla coperta della nave”, come dichiarato dalla Guardia Costiera. 

Frontex poi dice di aver “immediatamente informato tutte le autorità italiane” – e non di aver mandato la segnalazione alla Guardia di finanza e solo per conoscenza la Guardia costiera, come sostenuto nel comunicato del corpo militare italiano.

Frontex, infine, conferma che “l’operazione di salvataggio è stata dichiarata nelle prime ore di domenica, dopo che il naufragio è stato localizzato al largo di Crotone”. 

L’impressione – sottolineano diversi giornalisti che si occupano di soccorso in mare e accoglienza dei migranti – è che ci sia un rimpallo di responsabilità fra Guardia costiera, Guardia di finanza e Frontex sui ritardi nelle operazioni di soccorso. La Guardia di finanza sottolinea che Frontex ha parlato subito di “imbarcazione coinvolta in traffico migranti” e pertanto l’intervento si sarebbe configurato come una operazione di polizia e non di soccorso in mare, scaricando così le responsabilità su Frontex e ministero degli Interni. La Guardia costiera ha scaricato tutto su Frontex e Viminale sottolineando che si trattava di un’operazione di ‘law enforcement’ (e non di soccorso, dunque), che era stata interpellata “solo per conoscenza” e che non erano giunte richieste di aiuto dai naufraghi; Frontex ha chiamato in causa tutte le autorità italiane sostenendo di aver inviato “immediatamente una segnalazione” a tutti. 

Restano alcuni interrogativi ancora senza risposta. Se le condizioni erano così severe da impedire la navigazione anche a una nave di 35 metri come il pattugliatore partito da Taranto, perché si è pensato che una imbarcazione “pesantemente sovraffollata”, come descritta da Frontex, potesse continuare a navigare tranquillamente verso le coste calabresi? Perché la Guardia di Finanza, attiva in quel momento, non ha fatto monitorare l’imbarcazione da un proprio elicottero? Perché la segnalazione del MRCC di Roma, avvenuta già 16 ore prima dell'alert di Frontex, non ha avuto seguito e nessuno è intervenuto? Viste le condizioni di mare e dell'imbarcazione, perché non è scattato il “soccorso di ufficio” che fa capo alle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera? Secondo Scandura, ci troviamo di fronte a “una violazione delle leggi internazionali e dello stesso regolamento Frontex 656/2014 che impone regole precise sui soccorsi”.

Man mano che passano le ore dalla strage di Cutro, il quadro delle responsabilità politiche inizia a delinearsi. Il comandante della Guardia costiera di Crotone, Vittorio Aloi, ha detto che nel mare di domenica mattina si poteva intervenire, nonostante le condizioni pessime: «Quel giorno c'era mare forza quattro, non sei o sette. Le nostre motovedette avrebbero potuto navigare anche con mare forza otto». Ma la Guardia Costiera non può intervenire finché non viene proclamato l’evento SAR (Search and rescue). Come detto, dai comunicati, si evince che l’operazione è stata sin da subito di polizia e non di soccorso. L’indicazione da parte dello Stato di avviare le procedure di salvataggio e soccorso, tramite il proprio Rescue Coordination Center (Rcc), il coordinamento delle operazioni di soccorso con l’impiego di unità SAR, non è mai partita. Da Roma, nessuno si è preso la responsabilità di coordinare i soccorsi.

Premesso che, negli scorsi anni, la Guardia Costiera è intervenuta per salvare tantissimi migranti e fatte salve le catene di comando e le procedure delle operazioni di soccorso, alla luce anche delle parole del comandante di Crotone, Aloi, la Guardia Costiera è indifendibile nel sostenere di non aver ricevuto l'ordine di intervento. Da un punto di vista prima di tutto morale, è responsabile di aver fatto venir meno un principio che non dovrebbe mai essere negoziabile o messo in discussione: il dovere di salvare vite.

Intanto, è stata aperta un’inchiesta sul naufragio. «L’indagine è sul naufragio ma stiamo anche vedendo di ricostruire la catena dei soccorsi», ha detto il procuratore capo di Crotone, Giuseppe Capoccia. 

Le parole del ministro degli Interni Piantedosi e la richiesta di chiarimenti di Fratelli d’Italia

Intervenuto sul posto, il ministro dell’interno Matteo Piantedosi ha puntato l’attenzione più sulla necessità di bloccare le partenze che sui ritardi nei soccorsi, parlando nel corso di una conferenza stampa di “vocazione alla partenza” per definire la decisione dei migranti di mettersi in mare nonostante l’inverno e le cattive condizioni del mare e aggiungendo che una delle priorità del governo è proprio quella di fermare le partenze. 

L’unica cosa che va detta e affermata è: i migranti non devono partire. Io non partirei se fossi disperato perché sono stato educato alla responsabilità di non chiedermi cosa devo chiedere io al luogo in cui vivo, ma cosa posso fare io per il paese in cui vivo per il riscatto dello stesso. 

Queste le parole del ministro che successivamente ha aggiunto: «La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo le vita dei propri figli».

Le affermazioni hanno provocato rabbia e indignazione. Tuttavia, come ricordato da Lisa di Giuseppe su Domani, che ha raccolto analoghe dichiarazioni rilasciate dal ministro negli ultimi mesi, sono figlie di un approccio e di una cultura politica portate avanti con coerenza.

Piantedosi ha poi fatto un passo indietro nel suo intervento in Commissione Affari Costituzionali del Senato. Ha detto che quella di Cutro «è una tragedia che ci addolora profondamente e interpella le nostre coscienze ad agire per fermare traversate così pericolose e trovare risposte concrete alla questione migratoria. È evidente che questo si può fare solo con un’azione decisa dell’UE e una forte sinergia con i paesi di transito. Dobbiamo evitare che chi scappa dalle guerre si affidi a trafficanti di essere umani senza scrupoli, servono politiche responsabili e solidali dell’UE». «Bisogna proseguire sul rafforzamento dei canali legali di ingresso dei migranti» e dare loro questo messaggio: «Fermatevi, veniamo noi a prendervi». Sarebbe questo il senso delle sue affermazioni rilasciate nella conferenza stampa in Calabria.

Durante l’audizione, Piantedosi è stato incalzato dalla stessa maggioranza e, nello specifico, proprio dal presidente della Commissione, Alberto Balboni, di Fratelli d’Italia, che ha chiesto al ministro di chiarire «se ci sono state lacune nella catena di comando per un soccorso tempestivo. Noi lo dobbiamo sapere. Questa non è una richiesta che Fratelli d'Italia lascia all'opposizione. Se ci sono davvero delle responsabilità, noi siamo i primi a chiedere che sia fatta luce, perché non si può lasciare una nave piena di bambini in balìa delle onde».  

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La richiesta di chiarimento di Balboni è rimasta senza risposta. A queste domande Piantedosi dovrà rispondere in aula non appena sarà fissata la data per l’audizione chiesta dalle opposizioni. 

Aggiornamenti

Aggiornamento 2 marzo 2023: Abbiamo aggiornato l'articolo con le dichiarazioni del comandante della Guardia Costiera, Vittorio Aloi, e alcune riflessioni sulle responsabilità politiche e morali del mancato soccorso dei naufraghi al largo di Crotone. 

(Immagine in anteprima: grab via YouTube)

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