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Scioglimento Comune di Bari: tra fatti e diritto, i dubbi sul metodo del ministro Piantedosi

25 Marzo 2024 20 min lettura

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Scioglimento Comune di Bari: tra fatti e diritto, i dubbi sul metodo del ministro Piantedosi

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I fatti recenti li conosciamo tutti. Il 19 marzo il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha preannunciato al sindaco di Bari, Antonio Decaro, la nomina di una “Commissione di accesso” per valutare se ci sono i presupposti per sciogliere il Comune di Bari per infiltrazioni mafiose. La commissione dovrà fare una serie di accertamenti e riferire gli esiti al ministro che deciderà di conseguenza se procedere o meno con la proposta di scioglimento e la conseguente nomina di un commissario.

La decisione di Piantedosi è arrivata dopo una serie di arresti, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia locale, a fine febbraio nei confronti di 130 persone per associazione mafiosa, estorsione, porto e detenzione di armi da sparo, commercio di droga e turbativa d’asta. L’inchiesta “Codice Interno”, che ha poi portato alle ordinanze di custodia cautelare, ipotizza l’ingerenza elettorale politico-mafiosa nelle elezioni comunali del 26 maggio 2019 e l’infiltrazione dei clan cittadini nell’Amtab, la municipalizzata del trasporto urbano, sottoposta ad amministrazione giudiziaria per un anno, e la cui delega è in mano al sindaco di Bari, Decaro. Tra gli arrestati c’erano anche l’avvocato Giacomo Olivieri, ex consigliere regionale, e la moglie Maria Carmen Lorusso, consigliera comunale di una lista civica inizialmente eletta dall’opposizione e poi passata alla maggioranza.

È stato proprio il sindaco Decaro a dare notizia di quanto comunicatogli da Piantedosi parlando in un post sulla sua pagina Facebook di “atto di guerra nei confronti della città di Bari” e facendosi corpo sacrificale tutt’uno con la cittadinanza con l’effetto di spostare su un piano squisitamente politico una questione che è innanzitutto giuridica (seppure con implicazioni evidentemente politiche, come vedremo). Si tratta, ha scritto Decaro, di un atto gravissimo, che mira a sabotare il corso regolare della vita democratica della città di Bari, proprio (guarda caso) alla vigilia delle elezioni”. Il prossimo 8 e 9 giugno Bari è infatti chiamata a eleggere il suo nuovo sindaco. “A questa aggressione io mi opporrò con tutto me stesso, come mi sono opposto ai mafiosi di questa città. Fosse l’ultimo atto della mia esperienza politica. Non starò zitto. Non assisterò in silenzio a questa operazione di inversione della verità e di distruzione della reputazione di una amministrazione sana e di una intera città”, ha concluso Decaro.

Nei giorni successivi è arrivata la solidarietà di altri sindaci e di rappresentanti della società civile e sabato scorso è stata organizzata una partecipata manifestazione “Giù le mani da Bari. Io sto con Decaro”. A loro volta, parlamentari e ministri della maggioranza hanno accusato il sindaco di Bari di aver voluto strumentalizzare politicamente l’iniziativa di Piantedosi. Alcuni di loro hanno parlato di atto dovuto da parte del ministro. Ma le cose sono un po’ più complicate. Come spiega la giurista Vitalba Azzollini su Domani, “non c'è alcun automatismo normativo che impone di far scattare la nomina in caso di arresto di due consiglieri o infiltrazione in una municipalizzata”. In altre parole, l’atto non è dovuto, “ma è il risultato di valutazioni discrezionali. E ogni atto discrezionale di un'autorità va adeguatamente motivato”. 

E dunque: c’erano i presupposti giuridici per la nomina della “Commissione di accesso”? Sì, in base al Testo Unico sullo scioglimento dei consigli comunali. Ma destano più d’una perplessità alcune questioni di metodo: perché il ministro Piantedosi ha avviato la procedura mentre le indagini sono ancora in una fase per certi versi embrionale e andando addirittura nella direzione opposta a quanto affermato alcune settimane prima dal procuratore di Bari, Roberto Rossi, che ci aveva tenuto a precisare che l’estraneità dell’amministrazione comunale e il suo impegno nella lotta alla mafia? Su quali motivazioni si è basata la decisione del prefetto, quindi del ministro dell'Interno di cui il prefetto è emanazione? C’era un ragionevole sospetto che influenze mafiose inficiassero l'attività dell'amministrazione? Inoltre, secondo l'articolo 143 del Testo Unico degli Enti Locali (ultime tre righe del terzo comma), ai fini degli accertamenti, quindi anche quelli per arrivare alla nomina della commissione, il prefetto poteva sentire il Procuratore della Repubblica: perché non l'ha fatto? Infine, nei giorni precedenti alla nomina della commissione, il sindaco Decaro aveva inviato al prefetto un corposo dossier sulle azioni antimafia da parte del Comune di Bari: perché il ministero degli Interni non ha esaminato i documenti inviati prima di avviare la procedura? 

Le tappe del caso

Tutto parte lo scorso 26 febbraio quando le indagini della Direzione distrettuale antimafia portano all’iscrizione nel registro degli indagati 130 persone sospettate di essere legate ai clan. 

Le persone coinvolte sono ritenute responsabili, a vario titolo di associazione di tipo mafioso, estorsioni, porto e detenzioni di armi da sparo, illecita commercializzazione di sostanze stupefacenti, turbata libertà degli incanti, frode in competizioni sportive, tutti reati aggravati dal metodo mafioso, nonché del reato di cui all’articolo 416 ter del codice penale (scambio elettorale politico-mafioso). In base alle indagini della Dda sarebbe stata documentata una presunta ingerenza elettorale politico-mafiosa, in particolare di consorterie criminali di stampo mafioso come i Parisi-Palermiti e gli Strisciuglio, nelle Elezioni Comunali di Bari del 26 maggio 2019.

In particolare finiscono agli arresti domiciliari Maria Carmen Lorusso, una consigliera comunale eletta nel centrodestra (e poi passato in una lista della maggioranza di centrosinistra), e di suo marito (in carcere a Lanciano), l’avvocato Giacomo Olivieri, ex consigliere regionale e anche ex-presidente della Multiservizi (su nomina dell’allora sindaco Michele Emiliano), la municipalizzata che si occupa della manutenzione del verde (per i presunti sprechi nella gestione della società in-house Olivieri fu rinviato a giudizio). Tra gli arrestati anche Tommaso “Tommy” Parisi, cantante neomelodico e figlio del boss Savino (detto Savinuccio), del quartiere Japigia, già condannato in primo grado a otto anni per associazione mafiosa.

Olivieri sarebbe stato dietro gli accordi con i clan mafiosi Parisi, Montani e Strisciuglio per far eleggere nelle elezioni comunali del maggio 2019 la moglie grazie alla compravendita di voti. Un anno e mezzo prima, nell’ottobre del 2022, era stata arrestata un’altra consigliera comunale di Bari, Francesca Ferri, sempre eletta nel centrodestra, e attualmente a processo insieme al compagno, Filippo Dentamaro, e all’ex consigliere regionale, imprenditore e presidente del Foggia calcio, Nicola Canonico, sempre per presunto voto di scambio nella tornata elettorale del maggio 2019. I tre sono accusati di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione elettorale per le elezioni di Bari e di scambio elettorale politico-mafioso quelle di Valenzano.

Secondo l’accusa, Olivieri avrebbe versato denaro a esponenti dei clan mafiosi, promesso posti di lavoro e buoni benzina. Per favorire l’elezione di Maria Carmen Lorusso si sarebbe mosso anche il padre, l’oncologo Vito Lorusso, già indagato per concussione e peculato e nuovamente arrestato in questa inchiesta. Vito Lorusso avrebbe stretto un accordo con Massimo Parisi, fratello del boss ‘Savinuccio’: in cambio dei voti alla figlia avrebbe curato un nipote del capoclan, poi deceduto. Inoltre, in tandem con Maria Carmen Lorusso correva il candidato Michele Nacci (risultato il primo dei non eletti della lista di centrodestra ‘Di Rella sindaco’), che avrebbe legami familiari con pregiudicati ed esponenti di spicco del clan di Andrea Montani. In cambio di denaro e di un posto di lavoro, anche il clan Strisciuglio si sarebbe mobilitato per Olivieri. 

Le indagini riguardano inoltre le possibili infiltrazioni del clan Parisi del quartiere Japigia nell’Amtab, l’azienda municipalizzata dei trasporti. Tra i dipendenti dell’azienda, da oltre 20 anni, c’erano anche Massimo Parisi (fratello del boss “Savinuccio”) e Tommaso Lovreglio, nipote e braccio destro del boss. Parisi, secondo i pm, avrebbe avuto un ruolo importante nella gestione di alcune beghe sindacali tra i dipendenti dell’Amtab. Lovreglio, invece, avrebbe pilotato alcune assunzioni per piazzare nell’azienda (a tempo determinato) alcune persone a lui vicine. L’Amtab spa e la Maldarizzi automotive spa, società sulle quali i clan avrebbero dunque esercitato la propria forza criminale ottenendo posti di lavoro, sono state sottoposte ad amministrazione controllata. L’indagine parla anche delle presunte combine ordinate dai clan sulle partite di calcio Corato-Fortis Altamura del 30 aprile 2017 e del 7 ottobre 2018.

Contestualmente sono stati eseguiti sequestri patrimoniali d’urgenza, disposti dalla Dda, “di beni e patrimoni riconducibili alle attività delittuose in contestazione o costituenti patrimoni di ingiustificata provenienza, sproporzionati rispetto alle reali capacità reddituali, nei confronti di 16 persone indagate, alcune delle quali già destinatarie delle su indicate misure cautelari personali, per un ammontare approssimativo” di 20 milioni di euro, e “comprendenti diversi immobili, tra appartamenti e capannoni industriali, quote di società commerciali, industriali e di servizi, conti correnti bancari e postali, autovetture e beni di lusso”.

Quello che emerge è “un quadro estremamente allarmante dell'operatività del clan Parisi e della sua vocazione universalista, tipica delle associazioni mafiose, di occupare ogni spazio della vita economica e sociale che consenta di ricavare vantaggi e utilità”, commenta a caldo il procuratore nazionale Antimafia, Giovanni Melillo. “I fenomeni mafiosi in Puglia presentano delle situazioni di complessità che impongono indagini estremamente difficili, per le quali sono necessari strumenti sempre più sofisticati”.

Durante la conferenza stampa sull’indagine, il procuratore di Bari, Roberto Rossi, esclude il coinvolgimento dell’amministrazione Decaro. Rossi parla di inquinamento del voto parziale e circoscritto e di insussistenza del coinvolgimento del sindaco: «Quando si parla di condizionamento elettorale si rischia di pensare che tutto sia inquinato. C’è stata una parziale e circoscritta attività di inquinamento del voto all’interno delle comunali su cui l’amministrazione ha saputo rispondere. Abbiamo accertato l’insussistenza del coinvolgimento del sindaco Decaro”. 

Il giorno successivo, il 27 febbraio, un gruppo di parlamentari pugliesi – il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, il sottosegretario alla Sanità Marcello Gemmato, il senatore Filippo Melchiorre e altri tre parlamentari, tutti legati ai partiti dell’attuale maggioranza di governo di destra e tutti eletti in Puglia – chiede un incontro con Piantedosi. Il capogruppo al Senato di Forza Italia, Maurizio Gasparri, parla per primo di ipotesi di scioglimento del Comune. In un’intervista, infatti, afferma: “Su Bari la notizia è che i nostri coordinatori regionali si sono recati al ministero dell'Interno per ipotizzare lo scioglimento del Comune. Centotrenta arresti, che sfiorano anche l'amministrazione locale. Un fatto molto preoccupante. Non abbiamo preso decisioni per Bari, vogliamo capire bene che succede: probabilmente c'è un Comune da sciogliere”. 

Intanto, la Commissione parlamentare antimafia, guidata da Chiara Colosimo (Fratelli d’Italia), apre a sua volta un fascicolo e chiede tutti gli atti riguardanti l’inchiesta “Codice Interno”. “Gli oltre 130 indagati, gli oltre 110 tradotti in carcere, l'amministrazione giudiziaria disposta per l'Amtab e quello che emerge in queste ore riguardo il Comune di Bari ha e richiede una necessità di un approfondimento. Un approfondimento dei rapporti tra mafia e politica, cosa che faremo senza tentennamenti nel pieno rispetto del lavoro degli inquirenti», spiega la presidente Colosimo.

Il 28 febbraio viene fuori la notizia che due vigilesse della Polizia locale di Bari si erano rivolte a un fedelissimo del clan Parisi dopo essere state insultate da un automobilista, a testimonianza del “comportamento di assoluta 'riverenza'” assunto dalle due vigilesse, “che avrebbero dovuto reagire segnalando l'accaduto all'autorità giudiziaria”. Sempre dagli atti dell’indagine emerge che nel 2018 una funzionaria della prefettura si era rivolta a un indagato ritenuto vicino al clan Parisi per riavere l'auto che le era stata rubata. La vettura alla fine era stata recuperata e la donna aveva versato 700 euro per ottenerla. Le due vigilesse, e altri 4 dipendenti dell’Amtab, l’azienda municipalizzata che gestisce il trasporto pubblico barese, sarebbero stati sospesi dal servizio. Nel frattempo, dopo l’ingresso dell’amministratore giudiziario, nominato dal Tribunale di Bari, arrivano le dimissioni del direttore generale di Amtab, Domenico Mariani, e della consigliera di amministrazione, Lorena Costantini. Le dimissioni vengono congelate dall’amministratore giudiziario, Luca D’Amore, in attesa della riunione del Consiglio di Amministrazione.

Col passare dei giorni, la questione diventa sempre più terreno di scontro politico. Gasparri torna sul caso e continua a non escludere l’ipotesi dello scioglimento del Comune mentre il deputato della Lega, Davide Bellomo, parla di responsabilità politiche da parte del sindaco di Bari Decaro. 

Il 17 marzo inizia a circolare la notizia dell’istituzione di una commissione di indagine guidata dalla prefettura e dell’avvio della procedura per valutare lo scioglimento del Comune per mafia. 

Il resto è cronaca di questi giorni. Il 19 marzo in un post su Facebook, il sindaco di Bari, Antonio Decaro, annuncia l’intenzione del ministro degli Interni di attivare la commissione. “Oggi è stato firmato un atto di guerra nei confronti della città di Bari. Il ministro Piantedosi mi ha comunicato telefonicamente che è stata nominata la commissione di accesso finalizzata a verificare una ipotesi di scioglimento del Comune”, afferma Decaro. Secondo il sindaco, il carattere dell’iniziativa di Piantedosi è eminentemente politico. Decaro parla di “meccanismo a orologeria” e di un atto che “segue la richiesta di un gruppo di parlamentari di centrodestra pugliese, tra i quali due viceministri del Governo e si riferisce all’indagine per voto di scambio in cui sono stati arrestati tra gli altri l’avv. Giacomo Olivieri e la moglie, consigliera comunale eletta proprio nelle file di centrodestra”. 

Decaro sottolinea anche che Piantedosi ha avviato la procedura di valutazione di scioglimento del Comune senza aver preso in considerazione le parole del Procuratore distrettuale antimafia Rossi e un dossier di 23 fascicoli inviato su richiesta del Prefetto. “È giusto che si sappia che negli scorsi giorni mi è stato richiesto di raccogliere tutte le attività svolte dal Comune di Bari contro la criminalità organizzata. Bene, è stato consegnato al Prefetto alle 12.00 di ieri, un voluminoso dossier, composto da 23 fascicoli e migliaia di pagine, contenente le attività svolte dal Comune contro la criminalità organizzata in questi anni. È evidente, vista la rapidità con cui è giunta la notizia della nomina della Commissione, che nessuno si è curato di leggere quelle carte. Ha avuto dunque più valore la pressione politica del centrodestra barese che fatti, denunce, documenti, testimonianze. Si tratta di una vicenda vergognosa e gravissima, che va contro la città, contro i cittadini perbene, contro il sindaco”, ha aggiunto il sindaco facendo riferimento all’incontro voluto dai parlamentari baresi della maggioranza con il ministro Piantedosi all’indomani degli arresti di fine febbraio.

“Gli stessi soggetti che nel 2019 hanno portato in Consiglio Comunale due consiglieri arrestati per voto di scambio, ora spingono per lo scioglimento di un grande capoluogo di regione, evento mai successo in Italia, nemmeno ai tempi dell’inchiesta su Mafia Capitale”, conclude Decaro. “È un atto gravissimo, che mira a sabotare il corso regolare della vita democratica della città di Bari, proprio (guarda caso) alla vigilia delle elezioni. Elezioni che il centrodestra a Bari perde da vent’anni consecutivamente. Per le quali stenta a trovare un candidato e che stavolta vuole vincere truccando la partita”.

Il giorno successivo il sindaco di Bari ha espresso gli stessi concetti in un’infervorata conferenza stampa di tre quarti d’ora. Decaro ha ricordato il suo impegno di sindaco antimafia, da nove anni sotto scorta: la lotta contro le fornacelle abusive per la festa di San Nicola, le denunce che hanno fatto arrestare esponenti dei clan, i concerti vietati al figlio del boss “Savinuccio”, il cantante neo melodico Tommy Parisi. 

La reazione di Decaro avrebbe sorpreso il ministro Piantedosi, riporta un articolo del Corriere della Sera del 20 marzo. Il sindaco di Bari avrebbe avuto due contatti con il ministro dell’Interno nell’ultima settimana nel tentativo di evitare proprio la nomina della Commissione, come gli era stato ipotizzato da Piantedosi. Decaro era stato ricevuto al Viminale dopo che i parlamentari pugliesi del centrodestra avevano sollecitato lo scioglimento del suo Comune e aveva chiesto a Piantedosi di non prendere alcuna iniziativa. Nei giorni successivi, però, riporta ancora il Corriere, “il ministro ha dato incarico agli uffici di studiare le carte processuali che hanno portato agli arresti di fine febbraio. E quando ha scoperto, tra l’altro, che nel 2018 una funzionaria comunale aveva versato soldi a un indagato vicino al clan per farsi restituire un’auto, ha ritenuto opportuno istituire la commissione”.

Due sere dopo Piantedosi avrebbe chiamato Decaro per comunicargli l’avvio della procedura e il sindaco avrebbe chiesto di potersi occupare in prima persona della diffusione della notizia. Ma le modalità e i toni hanno sorpreso il ministro che, a quel punto, ci ha tenuto a sottolineare di capire l’amarezza del sindaco di Bari, ma di ritenerla esagerata. Piantedosi ha ricordato che si tratta di una iniziativa che “ha solo fini ispettivi ed è proprio per questo motivo finalizzata a verificare se ci siano gli estremi di un’ipotesi di scioglimento del Comune” e che “si è resa necessaria a seguito di un'indagine giudiziaria molto importante, che ha portato a 130 arresti tra cui anche un consigliere comunale e soprattutto al commissariamento, ai sensi della normativa antimafia, di un'azienda municipalizzata totalmente controllata dal Comune di Bari”. Poi Piantedosi ha specificato che non si tratta di una iniziativa contro il Comune di Bari e ha ricordato che da quando si è insediato il governo ha sciolto 15 Comuni in prevalenza di centrodestra e che ci sono stati accessi ispettivi in altri comuni di grandi dimensioni come Reggio Calabria, Roma e Foggia. Pertanto dietro la sua decisione non ci sarebbe una finalità politica, come affermato da Decaro.

Il 23 marzo c’è stata la manifestazione a difesa di Bari e del sindaco Decaro. Nel suo intervento, il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, facendo riferimento agli anni in cui era sindaco, ha raccontato di quando l’allora assessore ai Trasporti, Antonio Decaro, fu minacciato da esponenti del clan Capriati. Ma nel ricordare l’episodio ha affermato di aver portato Decaro “a casa della sorella di Antonio Capriati, che era il boss di quel quartiere, e andai a dirle che questo ingegnere è assessore mio e deve lavorare perché c'è il pericolo che qui i bambini possano essere investiti dalle macchine. Quindi, se ha bisogno di bere, se ha bisogno di assistenza, te lo affido”. Le affermazioni di Emiliano hanno contribuito a inasprire i toni dello scontro politico. Decaro ha smentito dicendo che “Emiliano non ricorda bene. È certamente vero che lui mi diede tutto il suo sostegno, davanti alle proteste di buona parte del quartiere, quando iniziammo a chiudere Bari Vecchia alle auto, ma non sono mai andato in nessuna casa di nessuna sorella”. Il Giornale e La Verità hanno pubblicato uno scatto che ritrae Decaro proprio con la sorella di Capriati, ma la foto non risalirebbe all’epoca dei fatti raccontati da Emiliano.

Il vicepresidente della Commissione antimafia, Mauro D’Attis, ha annunciato: “Dopo le parole di Emiliano chiederò approfondimento della Commissione Antimafia”. Mentre i parlamentari pugliesi di Forza Italia Dario Damiani, Rita Dalla Chiesa, Andrea Caroppo, Giandiego Gatta e Vito De Palma si sono detti perplessi della difesa del sindaco di Bari: “Oggi Decaro cerca di smentire, ma le immagini sono eloquenti: il sindaco di Bari mimava in diretta con sincerità l’incontro che oggi smentisce. Il video parla da sé e non racconta una pagina lusinghiera. Emiliano, Decaro e la sorella del boss: la verità prenderà forma, e noi siamo in prima linea per difendere le comunità anche oltre gli slogan, anche oltre il politicamente corretto. Se ne occupi l’Antimafia”.

La reazione di questi giorni del sindaco di Bari ha ovviamente suscitato la reazione di rappresentanti politici di entrambi gli schieramenti. I parlamentari di centrodestra hanno voluto sottolineare la rilevanza giuridica dell’iniziativa del ministro Piantedosi resasi necessaria per appurare i livelli di infiltrazione mafiosa in alcuni rami dell’amministrazione. “Se mettiamo insieme tutti i procedimenti per scioglimento dei consigli comunali che ci sono stati finora, questi contengono un decimo dei fatti gravi che sostengono l'inchiesta di Bari. Siamo di fronte ad arresti, intercettazioni che provano collegamenti con la malavita, coinvolgimento di società. Il quadro è serio. Per molto meno, si sono avviate verifiche che hanno portato allo scioglimento degli organi interessati”, ha commentato Raffaele Fitto, ministro pugliese per gli Affari europei, sostiene l'iniziativa del governo, di competenza del collega Piantedosi, e rincara la dose. 

Se strumentalizzazione politica c’è stata, l’ha fatta Decaro, è in altre parole il pensiero dei parlamentari di centrodestra. “Non ho mai detto che il comune di Bari andrebbe sciolto. Decaro è stato bravo a personalizzare quello che sta accadendo. Ci sono state centinaia di procedure come quella di Bari per altri comuni, per i quali si è agito in quanto strutture amministrative, in quanto enti locali e territoriali. Si è arrivato a scioglimento di Comuni nei quali i sindaci non c'entravano nulla. Addirittura alcuni sindaci sono stati dichiarati incandidabili, hanno fatto ricorso, sono stati riammessi alla candidatura e in un caso un sindaco è anche stato rieletto”, ha commentato ancora D'Attis.

Solidarietà a Decaro è arrivata da parlamentari e sindaci di centrosinistra e da rappresentanti della società civile. Il sindaco di Milano Beppe Sala ha voluto evidenziare gli impatti politici dell’ispezione a ridosso delle elezioni: “Proviamo a essere pratici. La commissione che valuterà il possibile scioglimento del Consiglio Comunale avrà 90 giorni di tempo per esprimersi (prorogabili di altri 90). E poi si dibatterà. Ad andar bene (si fa per dire!) la Commissione si esprimerà nella finestra temporale dedicata a un eventuale ballottaggio”. 

Sulla politicizzazione della vicenda è intervenuto anche Emiliano, che ha chiesto prudenza al Governo: “Siamo a tre mesi dalle elezioni amministrative. Una materia così delicata come la lotta alla mafia deve vedere unita la Repubblica e le sue istituzioni in tutte le sue parti e non può diventare oggetto di polemica elettorale o di scontro. Invece sta accadendo l’opposto. E quindi confido nel senso dello Stato di tutti, perché il nostro avversario è la mafia”.

Il Sindaco Cosenza, Franz Caruso, ha infine invitato a rivedere “l’impianto normativo che fa da genesi allo strumento dell'avvio delle procedure di accertamento e scioglimento antimafia. Non è più tollerabile che indistinti indizi probatori preliminari, confusi e generici, finiscano senza contraddittorio in una richiesta di commissione d'accesso e da qui, sempre senza contraddittorio e conoscenza stratificata di atti completi e acclarati, in un comitato per l'ordine e la sicurezza che quasi sempre chiede e decreta di fatto lo scioglimento dei Comuni per mafia. È accaduto e accade sempre più spesso in Calabria, con destini giudicanti che poi smentiscono quasi sempre lo stesso scioglimento, e stavolta accade e mette a rischio una grande città del Mezzogiorno come Bari. Un faro per tutto il Sud”.

Il piano politico e il piano giuridico del caso

Sono proprio le parole del sindaco di Cosenza a porre alcune questioni importanti di metodo sollevate anche da alcuni giuristi e giornalisti che stanno analizzando la vicenda. Troppo spesso – ha sottolineato il sindaco Franz Caruso – si ricorre alla commissione di accesso a partire da “indistinti indizi probatori preliminari, confusi e generici” che portano allo scioglimento di Comuni per mafia, smentiti poi dalle sentenze della magistratura che però arrivano sempre dopo. In questo senso, sì, il ricorso alla commissione d’accesso ha implicazioni politiche.

È questo anche il caso di Bari? Alcuni elementi sollevano delle perplessità. Nell’articolo sopra citato, su Domani, la giurista Vitalba Azzollini ne indica alcuni

L’articolo 143 del Testo unico degli enti locali (TUEL) prevede che la commissione sia nominata dal prefetto al fine di verificare la sussistenza di elementi che possono condurre allo scioglimento del Comune. Questi elementi devono essere “concreti, univoci e rilevanti” su “collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori”, “ovvero su forme di condizionamento degli stessi”, che alterano la formazione della volontà degli organi collegiali e compromettono “il buon andamento o l'imparzialità delle amministrazioni”, “il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati” e altro. 

Nel comunicato del ministero degli Interni che accompagna l’annuncio della procedura di valutazione per stabilire se ci sono gli elementi per lo scioglimento del Comune di Bari per mafia, il Viminale precisa che “il provvedimento di accesso ispettivo” si è reso necessario a seguito di un primo monitoraggio “circa i fatti emersi a seguito dell'indagine giudiziaria che ha portato a più di 100 arresti nel capoluogo pugliese e alla nomina, da parte del Tribunale, ai sensi dell'art. 34 del codice antimafia, di un amministratore giudiziario per l'azienda Mobilità e Trasporti Bari spa, interamente partecipata dallo stesso Comune» (Amtab)”. Inoltre, l'accesso ispettivo “non è pregiudizialmente finalizzato allo scioglimento del Comune bensì ad un'approfondita verifica dell'attività amministrativa”.

Dunque, spiega Azzollini, “la nomina della commissione non scatta in automatico al verificarsi di certi eventi, ma discende dalla necessità di un approfondimento”. Ed è quindi discrezionale. E ogni atto discrezionale di un'autorità va adeguatamente motivato.

Da questo discendono altre due questioni, una di merito e una di metodo. Nel merito: gli elementi individuati dal Ministero degli Interni sono “concreti, univoci e rilevanti” come espresso nell’articolo 143 del TUEL alla luce anche delle affermazioni del Procuratore di Bari, Roberto Rossi, che aveva parlato di un fenomeno circoscritto e dell’insussistenza del coinvolgimento del sindaco Decaro? Dalle parole del Procuratore l'amministrazione pare lambita in modo parziale e circoscritto da tali fatti. Ma su questo saranno le indagini a chiarire tutto. Nel metodo: sono stati accertati che ci fossero tutti gli elementi per poter avviare la procedura? E sotto questo aspetto, perché il ministro Piantedosi non ha atteso di valutare il dossier di 23 fascicoli inviato dal sindaco Decaro al prefetto? “L’esame avrebbe forse potuto fornire elementi utili a valutare la necessità o meno della nomina stessa. Ma la fretta di Piantedosi ha evidentemente prevalso”, spiega ancora Azzollini.

In sintesi, ci sono almeno tre aspetti che destano perplessità: 1) Di norma è il prefetto che chiede al ministero la nomina della commissione di accesso. E invece è accaduto il contrario, il ministro ha attivato il prefetto, e per di più dopo la riunione nel suo ufficio con i parlamentari del centrodestra pugliesi. I parlamentari avrebbero potuto rivolgersi direttamente al prefetto o addirittura al Procuratore della Repubblica, se avevano prove fondate; 2) Le commissioni di accesso entrano in campo mesi dopo che le inchieste della magistratura hanno aperto la strada con indagini sull’amministrazione comunale e il sindaco. Qui invece avviene tutto in pochi giorni; 3) E comunque “normalmente” la Commissione è nominata dopo che il prefetto abbia raccolto il parere della Procura della Repubblica (mentre qui il procuratore aveva proprio escluso compromissioni e anzi ha enfatizzato il ruolo dell’amministrazione contro le mafie locali), come previsto dal terzo comma dell'art. 143 del TUEL.

“La sola idea di avviare una procedura di scioglimento per mafia di Bari è un azzardo, tanto più se la motivazione è l’arresto di un paio di politici locali e l’infiltrazione di una municipalizzata”, aggiunge Alessandro Barbano su Il Riformista. “L’invio a Bari della commissione d’accesso non è un ‘atto dovuto’, come sostiene Piantedosi, ma un atto politico, incauto e sgrammaticato”, prosegue Barbano che ricorda come neanche per Mafia Capitale (con la Corte di Cassazione che ribaltò la sentenza del verdetto di appello e stabilì che l’organizzazione a delinquere capeggiata da Massimo Carminati e Salvatore Buzzi non era stata un’associazione di stampo mafioso ma un’associazione a delinquere ‘semplice’) si arrivò allo scioglimento del Comune di Roma.

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Infine, c’è la speculazione politica. In un articolo su Domani, Nello Trocchia ricorda due casi in particolare: Fondi e Reggio Calabria. A Fondi, nonostante la valutazione dell’allora commissario, il prefetto Bruno Frattasi, e alcuni elementi certi e univoci convergessero verso l’infiltrazione mafiosa (“A Fondi c’era di tutto: auto che saltavano in aria, appalti in mano ai clan, favori, concessioni, le mani e i piedi della mala nel mercato ortofrutticolo. Una vera occupazione”, scrive Trocchia) il Comune non è stato sciolto dal governo all’epoca guidato da Berlusconi; a Reggio Calabria è andata diversamente. Nel 2012 l’allora ministra dell’Interno, Annamaria Cancellieri, ha ottenuto l’ok dal Consiglio dei ministri, presieduto da Mario Monti, allo scioglimento del comune per infiltrazioni mafiose. Ma all’epoca, nonostante dalla relazione prefettizia fossero emersi elementi particolarmente rilevanti (“Appalti pubblici affidati a ditte in odor di mafia; infiltrazioni delle cosche nelle società miste; assessori, consiglieri comunali e funzionari legati da amicizia o vincoli di parentela a boss e pregiudicati; inefficienze, se non gravi irregolarità, nel funzionamento della stragrande maggioranza degli uffici”, ricorda ancora Trocchia), i parlamentari Sisto e Gasparri, gli stessi che oggi invitano Decaro a non strumentalizzare politicamente l’avvio della commissione d’accesso parlavano di errori, strumentalizzazioni e complotti. “Sciogliere un consiglio comunale per contiguità con la criminalità organizzata è scelta che deve essere lontana anni luce dal giudizio di probabilità o da ambiti di opinabilità”, affermava all’epoca Sisto. Mentre il senatore Maurizio Gasparri parlava di “speculazione politica”, salvo poi essere smentito persino dalle sentenze definitive. Oggi le posizioni si sono ribaltate.

In conclusione, bisognerebbe essere cauti nel ricorrere a un istituto che, come detto, parte da una commissione di accesso spesso in base a indizi probatori confusi e generici e può portare allo scioglimento di Comuni per mafia, talora smentiti da sentenze della magistratura, che arrivano quando il danno politico e reputazionale è già fatto. Si tratta di un profilo che non sempre è stato sottolineato in questi giorni, caratterizzati da una certa animosità da ogni parte, e che invece meriterebbe una adeguata valutazione.

Immagine in anteprima: frame video Rainews

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