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Ultraliberista, negazionista, cospirazionista, fan di Trump: perché Milei ha vinto le elezioni in Argentina

20 Novembre 2023 5 min lettura

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Ultraliberista, negazionista, cospirazionista, fan di Trump: perché Milei ha vinto le elezioni in Argentina

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Il prossimo presidente dell’Argentina sarà il neoliberista Javier Milei, etichettato a livello internazionale come “il pazzo” per i suoi scatti d’ira e la personalità eccentrica, che ha fatto campagna elettorale con una sega elettrica in mano, minacciando di eliminare gran parte dei ministeri, chiudere la Banca Centrale, adottare il dollaro come moneta, liberalizzare il porto d’armi e perfino il commercio d’organi, tra altri numerosi e deliranti proclami.

Nonostante i principali sondaggi sul ballottaggio di questa domenica 19 novembre prevedessero una battaglia fino all’ultimo voto con Sergio Massa, candidato della coalizione peronista, in realtà Milei ha vinto con un vantaggio di oltre 11 punti sull’avversario, ha conquistato quasi tutte le province del paese, in alcuni casi superando il 70% delle preferenze, come nelle città di Cordoba e Mendoza. 

Il percorso elettorale iniziato il 13 agosto scorso con le primarie obbligatorie di tutti i partiti aveva mostrato un primo successo de La Libertad Avanza, il partito fondato da Milei nel 2021 insieme alla sua vice, Victoria Villarruel, eletta deputata in quell’occasione. Ma al primo turno delle elezioni presidenziali, il 22 ottobre, l’ago della bilancia si era spostato sul candidato dell’Unión por la Patria, Sergio Massa, attuale ministro dell’economia, sostenuto dal presidente uscente Alberto Fernandez e dalla sua vice, Cristina Kirchner, la figura di maggior peso politico del progressismo argentino. 

In quel momento Milei sembrava aver raggiunto il suo tetto massimo di sostenitori, mentre Massa raccoglieva 4 milioni di nuovi voti. Ieri invece lo scenario si è invertito e tutto l’elettorato della coalizione di destra Juntos por el Cambio, che aveva scelto Patricia Bullrich a ottobre, si è diretto verso Milei grazie a un’alleanza stretta in vista del ballottaggio con l’ex presidente Mauricio Macri.

Nel suo discorso di ringraziamento, dopo la vittoria elettorale, Milei ha ribadito che realizzerà “alla lettera gli impegni presi: rispetto della proprietà privata e del libero commercio.” Ha parlato di ricostruire l’Argentina perché possa tornare a essere una potenza mondiale, applicando le ricette liberiste che sono il cuore della sua proposta politica. Non ha però fatto nessun riferimento esplicito al programma di governo che pensa di mettere in atto, in particolare alle promesse della campagna elettorale come la conversione della moneta nazionale al dollaro, la chiusura della Banca Centrale, il taglio ai sussidi e alle tasse, lo smantellamento di uno Stato che dipinge come decadente, corrotto e al servizio dei privilegi di una casta politica identificata con il peronismo. 

Milei è emerso come personaggio politico in pochi anni, spinto dai dibattiti televisivi e senza alcuna esperienza di governo. Il suo partito La Libertad Avanza non ha forti tradizioni e peso politico alle spalle, non è a capo di nessuna provincia del paese e sebbene abbia aumentato i suoi deputati, non ha numeri significativi in parlamento. Si può quindi intuire che l’azione dell’esecutivo sarà guidata dagli accordi con la coalizione dell’ex presidente Mauricio Macri, che da dietro le quinte può tornare a giocare un ruolo rilevante nella politica argentina dei prossimi anni.

Le ragioni del successo di Milei, rispetto agli altri candidati, si possono però cercare nella sua ideologia di estrema destra che si è presentata come un’alternativa al bipolarismo che negli ultimi due cicli politici ha visto alternarsi in Argentina la destra conservatrice e il peronismo con un costante peggioramento delle condizioni di vita della popolazione: l’iper inflazione, l’enorme debito con il Fondo Monetario Internazionale, la crescita della disoccupazione e della povertà, acuita durante e dopo la pandemia sono la realtà quotidiana degli e delle argentine negli ultimi anni. La frattura sociale che ne deriva è visibile in molti ambiti, dal degrado del sistema sanitario ed educativo all’emigrazione delle migliori figure professionali, fino alla precarizzazione dell’accesso a una casa e a un impiego che non sia nel sottobosco dell’economia informale.

Nel quadro di una crisi con queste caratteristiche, che si acuisce come una spirale sempre più profonda, ha fatto breccia in particolare sull’elettorato maschile giovane l’idea del cambiamento tout court promossa da Milei, di un’alternativa alla classe politica percepita sempre più come una élite, una casta che usa gli strumenti di governo per mantenere i propri privilegi e abbandona la popolazione. Gli studi e i sondaggi del Laboratorio para el Estudio de la Democracia y el Autoritarismo (LEDA) mostrano questa correlazione che è stata sicuramente rafforzata dal fallimento del governo uscente di Alberto Fernandez nel proporre anche la minima alternativa allo status quo esistente nel paese. 

Su un versante di analisi più ampio, il fenomeno politico di Milei si avvicina al modello dell’ultra destra sempre più diffuso a livello globale, da Trump a Bolsonaro passando per Giorgia Meloni ed esibisce legami espliciti con il partito spagnolo Vox e con il cileno Kast. Sebbene si possano osservare differenze nell’uso dell’ideologia fascista o del protezionismo nazionalista, il programma economico neoliberista si ritrova in tutte le proposte dell’estrema destra in America Latina, così come la retorica dell’“antipolitica”, il vessillo individualista e autoritario della libertà e l’agenda negazionista.

Non sono stati 30mila i desaparecidos, sono 8.753”, ha dichiarato Milei nel dibattito presidenziale dello scorso 2 ottobre, riferendosi alla dittatura di Videla come a una guerra in cui le forze statali si sono confrontate con “i terroristi dei Montoneros e dell’ERP.” La sua vice Victoria Villarruel, figlia di militari, valorizza il ruolo delle forze armate e rivendica politiche punitive fatte di aumento delle pene per delitti comuni, uso della repressione e liberalizzazione del porto d’armi, sul modello bolsonarista.

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Si tratta di uno scenario inedito in Argentina, dove la rivendicazione della memoria, verità e giustizia dei detenuti e desaparecidos durante la sanguinaria dittatura di Videla dal 1976 al 1983 è legata a una lunga tradizione di lotta che viene dalle Madres de Plaza de Mayo, che si tramanda da quarant’anni alle nuove generazioni e che è costantemente attiva nel portare avanti i processi per lesa umanità in corso, nel vigilare sulle effettive pene carcerarie dei militari condannati, nella ricerca dei nipoti rubati dalla dittatura così come nei percorsi politici attuali, dalle conquiste femministe alla difesa ambientale e territoriale. 

Durante il governo di Alberto Fernández i livelli di mobilitazione non hanno mostrato grande forza rispetto al ritmo della precarizzazione della vita a cui sono stati sottoposti i settori popolari, ma il ciclo di proteste nella regione di Jujuy a partire dallo scorso giugno fa pensare che possano emergere nuove esplosioni sociali, forti di una lunga tradizione sindacale e di organizzazioni politiche di base, soprattutto se il governo di Milei non riuscirà a dare risposte rapide e concrete alla crisi politica e sociale che ha promesso di risolvere.

Immagine in anteprima: frame video Rainews.it

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