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Migranti e il Cara di Castelnuovo: le criticità del centro, il decreto sicurezza, la situazione dei bambini e delle vittime di tortura

25 Gennaio 2019 18 min lettura

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Migranti e il Cara di Castelnuovo: le criticità del centro, il decreto sicurezza, la situazione dei bambini e delle vittime di tortura

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di Andrea Zitelli e Angelo Romano

Aggiornamenti

Aggiornamento 26 gennaio 2019: Abbiamo aggiornato l'articolo con l'accordo tra Comune di Castelnuovo di Porto e Prefettura per l'accoglienza di famiglie con bambini nelle zone di Castelnuovo

Sta facendo molto discutere la chiusura del Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA) di Castelnuovo di Porto – una struttura di oltre 12mila metri quadrati in cemento armato che sorge nella campagna romana, a poco meno di 60 km da Roma – per le modalità e per l’atto stesso, che si sono caricati di giorno in giorno di significati simbolici che sono andati oltre la vicenda stessa.

Per quale motivo è stata presa questa decisione? È davvero l’effetto del decreto sicurezza come è stato ipotizzato da alcuni? Che fine faranno le centinaia di persone presenti nel CARA? Sono stati mandati via senza che fosse nota la loro destinazione? Che accadrà ai bambini e alle persone più vulnerabili come le vittime di tortura e tratta: verranno mandati via come sostenuto a caldo da alcuni? Il CARA di Castelnuovo di Porto era davvero un esempio di accoglienza come indicato da sindaco e direttore dell'ente gestore? 

Abbiamo ricostruito la vicenda, provando a chiarire le questioni sollevate in questi giorni.

"Come pacchi postali"

Due giorni fa, il 23 gennaio, sono stati vissuti i momenti topici di questa storia. In seguito alla notifica di chiusura del centro da parte della Prefettura di Roma, sono partiti 75 ospiti della struttura gestita (sui circa 500 migranti presenti all'interno) dalla Cooperativa Auxilium a bordo di tre autobus. Il giorno precedente erano già andate vie le prime 35 persone.

La chiusura era stata annunciata alcuni giorni prima. “Dopo 11 anni sembrano gli ultimi giorni” per il CARA di Castelnuovo di Porto, attivo dal 2008, scriveva già il 20 gennaio Mauro Favale su Repubblica. Il giornalista riportava che la comunicazione era partita “improvvisa” due giorni prima (ndr, il 18 gennaio) dagli uffici della Prefettura di Roma ed era stata confermata dal prefetto Paola Basilone che spiegava al quotidiano romano: «Quel centro va adeguato o va chiuso». Favale aggiungeva alcuni dettagli: la prima trentina di uomini a essere trasferiti sarebbe finita in Basilicata e Campania (come effettivamente è stato), il giorno successivo sarebbe poi toccato ad altre 75 persone, dirette verso le Marche, l’Abruzzo e il Molise. Entro il 31 gennaio sarebbero andati via in tutto 300 migranti dislocati in circa 10 regioni. Con la chiusura del centro il ministero dell’Interno si sarebbe liberato del fitto di una struttura che in tutti questi anni era costata allo Stato oltre 12 milioni di euro, pagati all’Inail, proprietaria dell’immobile.

Sempre a Favale, il direttore del CARA, Akram Zubayadi, affermava di aver ricevuto dalla Prefettura di Roma la comunicazione dei trasferimenti dei migranti in altre Regioni solo venerdì scorso ma di non sapere se la struttura sarebbe stata chiusa o meno.

«Non potranno nemmeno salutare i loro compagni, verranno semplicemente portati via e dovranno ricominciare una vita in un'altra Regione», aveva dichiarato sempre a Repubblica domenica scorsa il sindaco di Castelnuovo di Porto, Riccardo Travaglini.

Già da giorni, dunque, si sapeva che le persone presenti nel CARA di Castelnuovo di Porto sarebbero state trasferite altrove ed erano state stabilite le Regioni di destinazione. Il 23 mattina Rossella Muroni, deputata di LeU, si è messa davanti agli autobus con a bordo i 75 migranti diretti verso Abruzzo, Molise e Marche impedendone la partenza.

«Quando gli operatori di Auxilium mi hanno spiegato che avevano ricevuto una comunicazione da parte della prefettura che imponeva loro di far salire sui pullman un certo numero di persone, senza che fosse stato spiegato né dove fossero dirette, né in che tipo di centri, senza che fossero valutate caso per caso le storie di queste persone, lì mi sono arrabbiata e ho bloccato il pullman e ho chiesto che almeno questi tre pullman fossero informati sulla destinazione», racconta a Internazionale Muroni. I pullman sono partiti regolarmente nel momento in cui la Prefettura ha comunicato alla deputata dove sarebbero stati trasferiti i 75 migranti. «Stiamo parlando di persone e non di animali. Persone che hanno diritto di sapere dove vanno e madri che devono sapere se stasera potranno dare da mangiare ai propri figli. Il piano è già stato scritto e l'obiettivo è di svuotare il centro. Non metto in discussione l'atto ma il metodo», ha aggiunto Muroni ai giornalisti presenti.

A non sapere dove sarebbero andate erano infatti proprio le persone ospitate nella struttura, messe sui pullman e mandate altrove come dei pacchi, scrive Annalisa Camilli su Internazionale. A loro era stato detto che sarebbero andate via solo lunedì pomeriggio. «Mi hanno detto che sarei partito, ma nessuno sapeva dirmi per dove», racconta Abou a Il Manifesto, trasferito a Calvinazzo, una piccola località in provincia di Napoli dove sono presenti due Centri di accoglienza straordinaria (CAS). Abou aveva appuntamento per febbraio con la commissione che deve esaminare la sua richiesta di asilo ma ora non sa più se potrà andarci. «Gli ospiti chiedono rassicurazioni, non sanno dove andranno, hanno paura di dover ricominciare tutto da capo», racconta a Internazionale Francesca Maurizi, una delle psicologhe del CARA.

Alcuni hanno abbandonato la struttura ancora prima di essere messi sui pullman per evitare di essere trasferiti. Stephan, continua Annalisa Camilli, proveniente dalla Repubblica Centrafricana, dopo aver ottenuto la protezione sussidiaria e trovato un lavoro, è andato via insieme a un amico e al fratello pur di non dover ricominciare tutto da capo altrove. Kombala Gbona, ivoriano, meditava la stessa scelta: «Sono molto preoccupato, perché devo essere trasferito domani, ma io voglio rimanere a Roma, perché se vado fuori rischio di perdere il lavoro». Gbona però non ha nessuno che possa ospitarlo e probabilmente dovrà accettare il trasferimento, aggiunge Camilli.

Molti bambini e ragazzi non sono andati più a scuola, almeno nei primi giorni. Una maestra, Flora De Vivo, portavoce dell'Istituto Comprensivo Pitocco di Castelnuovo, presente tra le persone che il 23 gennaio si sono radunate fuori dai cancelli del centro d’accoglienza ha dichiarato che «in questi anni sono stati centinaia i ragazzi che hanno frequentato la nostra scuola, adesso sono soltanto quattro, ma dall’inizio della settimana i genitori non li hanno più mandati», sottolineando di non averli potuti ancora salutare fino ad ora.

Tra le storie sospese anche quella di Ansou Cissé, 19 anni, che dopo aver superato il deserto libico, in due anni a Castelnuovo di Porto, ha imparato l’italiano e coltivato la passione per lo sport fino a essere convocato nell’Athletica vaticana, il team agonistico che rappresenterà la Santa Sede nelle competizioni internazionali: «È come se mi chiedessero di ricominciare tutto da zero. Sentire discutere di migranti generalizzando mi fa male: io sono qui da due anni e non ho mai fatto nulla di male», dice Cissé a Repubblica.

«Quello che lascia senza parole è che le persone siano state trasferite senza preavviso e senza che si sia tenuto conto delle loro diverse situazioni personali: qui ci sono persone che hanno fatto domanda di asilo, persone che sono in attesa, persone che sono in fase di ricorso e anche chi ha già il permesso di soggiorno», racconta a Internazionale Tareke Brhane, mediatore culturale di origine eritrea che collabora con il centro.

“Qui si chiude un modello di accoglienza”: le reazioni del sindaco di Castelnuovo di Porto e della cooperativa Auxilium

«Qui, così, si sta dicendo no all’integrazione. Non sono un disobbediente. Eravamo d’accordo con il superamento del CARA ma con un tavolo di concertazione, non con un saccheggio», ha dichiarato a caldo il sindaco di Castelnuovo di Porto, Riccardo Travaglini. Per il sindaco la chiusura sarebbe legata al ridimensionamento del sistema di accoglienza dopo l’approvazione del cosiddetto decreto sicurezza: «Ora è cambiato un po’ tutto perché i centri Sprar vengono ridimensionati, i CARA vengono chiusi e i migranti con protezione umanitaria vengono sbattuti per strada e quindi non c’è alcuna soluzione».

Inoltre, ha aggiunto il sindaco, «con questa operazione abbiamo già i primi migranti, al momento una ventina, che non sanno dove andare. Si tratta di titolari di protezione umanitaria, ormai senza più diritto all'integrazione prevista dalla seconda accoglienza con l'entrata in vigore del decreto sicurezza». Secondo quanto riportato da alcuni quotidiani, diversi cittadini si sarebbero offerti di ospitare per alcuni i giorni queste persone. Altri hanno donato giacconi e maglioni invernali ai migranti pronti per partire. 

Già domenica scorsa, quando si era diffusa la notizia del trasferimento dei migranti presenti nella struttura, Travaglini non riusciva a trovare altra spiegazione: «È una decisione molto strana, sembra quasi una punizione perché a Castelnuovo l'accoglienza funziona».

Concetto ribadito anche in altre interviste: «In 10 anni, 8mila migranti sono passati a Castelnuovo di Porto e 4mila sono stati ricollocati in tutta Europa, fino al settembre 2017. Ora qui fanno una prima accoglienza e poi sono destinati ai centri Sprar nel momento in cui viene riconosciuto loro lo status. Castelnuovo assolveva a questa funzione, ovvero una funzione iniziale. Qui rimanevano circa un anno e mezzo e poi definite le procedure venivano destinati nei vari centri Sprar». 

Il 22 gennaio c'è stato un sit-in di solidarietà contro la chiusura del CARA.

A Radio Radicale, Angelo Chiorazzo, fondatore della cooperativa che gestisce il centro, ha dichiarato di aver saputo da un articolo pubblicato da Repubblica della decisione del Prefetto di Roma di chiudere il centro e di trasferire 305 persone presenti all’interno. Chiorazzo ha sottolineato come questa decisione tronchi un processo di integrazione avviato da anni a Castelnuovo di Porto e che coinvolgeva 120 dipendenti qualificati («Medici, psicologi, operatori legali, assistenti sociali, addetti alle pulizie e alla cucina, 12 laureati in lingua»), da lui definito «un miracolo in un contesto non bello» perché la struttura affidata non è delle migliori. «Castelnuovo era considerato uno dei centri migliori al mondo per i servizi che offre e in città non c’è mai stata intolleranza nei confronti dei migranti».

La situazione dei lavoratori

La chiusura del centro ha effetti anche sui dipendenti della Auxilium. In tutto, ha spiegato Giuseppe Asprella, responsabile del personale della cooperativa, «120 persone rischiano di rimanere senza stipendio a casa dal primo febbraio». Secondo i dati della cooperativa che gestisce il CARA di Castelnuovo di Porto, riporta Giornalettismo, l’85-90% dei lavoratori impiegati sono italiani, in gran parte provenienti dai Comuni vicini.

I lavoratori e le lavoratrici del centro hanno iniziato una forma di protesta, ieri i sindacati hanno organizzato un presidio al ministero dello Sviluppo Economico. Cgil Fp, Cisl Fiscascat e Uil Fpl Roma e Lazio hanno dichiarato lo stato di agitazione di tutto il personale delle Cooperative Auxilium, Siar e azienda Itaca impiegati nella struttura.

«Qui ci sono persone monoreddito oppure intere famiglie che lavorano al Cara, dal 1 febbraio rimarranno senza stipendio, senza che ci sia stato prospettato nessun piano di ricollocamento», ha dichiarato Marilena Bartoli, addetta alla mensa e poi alle pulizie all’interno del CARA. «Non abbiamo ricevuto indicazioni, non sappiamo che fine faremo», racconta ad Huffington Post il direttore della struttura Zubaudi. «È il Ministero del Lavoro che deve darcele».

Cosa ha portato alla chiusura: le motivazioni del ministro dell'Interno

Tuttavia, come spiegato dal Prefetto di Roma Paola Basilone, la decisione, comunicata con sole 48 ore di anticipo alla struttura, era già programmata. «Il Ministero ha dato ordine di trasferire trecento migranti. Il contratto di gestione, che è già stato prorogato cinque volte, scade il 31 gennaio. Il centro andava chiuso e non c’era possibilità di continuare».

In una conferenza stampa, il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha respinto ogni legame tra decreto sicurezza e chiusura del CARA di Castelnuovo di Porto: «Mi ero impegnato a chiudere le megastrutture dell’accoglienza, dove ci sono sprechi e reati, come a Bagnoli, a Castelnuovo di Porto, a Mineo. E lo stiamo facendo».

A motivare la chiusura del centro, ha spiegato Salvini in un video su Facebook, gli eccessivi costi della struttura a fronte del numero di persone ospitate: «Il CARA di Castelnuovo di Porto era un grande centro di accoglienza, il secondo più grande d’Italia, che è arrivato a ospitare anche mille persone, per il quale lo Stato pagava 1 milione di euro l’anno e 5 milioni per le spese di gestione. Con la riduzione degli sbarchi, si sono dimezzati gli ospiti del CARA e si sono liberati posti in altre strutture e così ci siamo trovati di fronte a una strada: rinnovare il contratto di affitto o chiudere una struttura sovradimensionata e usare i soldi risparmiati per altro?».

Inoltre il ministro ha definito «balle spaziali» le accuse di togliere i bambini dalle scuole e mettere i migranti in mezzo a una strada: «Tutti gli ospiti che erano dentro con diritto saranno spostati in altre strutture. (...) Chi ha diritto non perderà nulla. Non mettiamo in mezzo a una strada nessuno». Antonello Ciervo, avvocato dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), ha però detto che «ci sono diverse persone titolari di protezione umanitaria che rischiano di finire per strada e per loro si può fare molto poco, perché la legge è cambiata e non sono previste forme di accoglienza per chi ha una protezione umanitaria». 

Ieri il Viminale ha diffuso una nota in cui ha dichiarato che “nessun bambino sarà strappato agli amici o alla scuola, e non ci sarà nessun 'caso umanitario' tra i trasferiti”. Famiglie con bambini e casi vulnerabili, secondo le indicazioni fornite dal ministero dell’Interno all’ente gestore, sono stati espressamente esclusi dal novero di coloro che sarebbero stati trasferiti. Inoltre, la Prefettura di Roma, sentita da Valigia Blu, ha dichiarato che per prassi bambini e vittime di tratta vengono tenuti nei territori per non sradicarli dalle comunità in cui sono stati accolti. Su questo aspetto della vicenda continueremo a vigilare.

Il 26 gennaio, dopo un incontro tra Comune e Prefettura, si è trovato un accordo per far andare le famiglie con i bambini che erano presenti nel CARA nella zona di Castelnuovo di Porto. Si tratta di iniziative di «accoglienza diffusa per consentire ai bambini di continuare a frequentare la scuola. È la prima volta che succede in Italia. Siamo molto soddisfatti», ha dichiarato il sindaco Travaglini. In base a quanto è stato riferito, saranno accolte 4 famiglie a cui si aggiungono 4 o 5 richiedenti asilo. Inoltre, Comune, Regione Lazio e Asl Rm4 hanno messo in campo una task force per trovare una soluzione per i titolari di protezione umanitaria che si trovano ancora nel centro e, per effetto del decreto Sicurezza dovranno trovarsi da soli una sistemazione alternativa o rischiano di finire in strada.

La storia e la situazione del CARA

Il CARA di Castelnuovo di Porto è un grande centro di accoglienza ed è arrivato a ospitare, in alcuni casi, anche più di mille persone. I CARA, cioè i centri per l’accoglienza dei richiedenti asilo, nascono nel 2008 e sostituiscono i Centri di identificazione (CID). Per questo motivo, si legge nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema di accoglienza, questi centri non si presentano più “come luoghi di trattenimento, bensì come strutture di accoglienza” e “a differenza dei CID, i CARA sono aperti e gli ospiti hanno la facoltà di uscire nelle ore diurne, indipendentemente dal motivo che ha reso necessaria l’accoglienza”.

 

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Nel tempo di questa struttura di proprietà dell’Inail (l’Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) – che prima di diventare nel luglio 2008 un centro di accoglienza per migranti ospitava la Protezione civile – si è parlato più volte nelle cronache dei giornali. Cinque anni fa, nel 2014, in base a quanto emerso dall’inchiesta “Mondo di Mezzo”, su questo CARA era partita un’attività lobbistica, poi fallita, di Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, che, in base a quanto stabilito dalla sentenza di appello del processo su “Mafia Capitale”, erano a capo di un’organizzazione mafiosa romana dedita al controllo di appalti e finanziamenti pubblici del Comune di Roma e delle municipalizzate nell’ambito, tra le varie cose, della realizzazione di campi di accoglienza per i migranti. Alla fine la gara per la gestione del centro era stata vinta da Auxilium – cooperativa che dal 2007 gestisce diversi centri di accoglienza in Puglia e nel Lazio –, che all’epoca aveva specificato con forza di non c’entrare nulla con le cooperative invischiate in “Mafia Capitale”.

Nel 2014, la struttura presentava comunque forti criticità, ricordano i lavoratori del centro sentiti da Repubblica: «Era in condizioni disastrose, grande promiscuità e sporcizia ovunque». A febbraio di quell’anno, dopo un’esondazione del Tevere, che scorre lì vicino, la struttura si era allagata e, riportano le cronache del tempo, i circa 650 migranti ospitati erano dovuti fuggire sul tetto, con la fase acuta dell’emergenza in cui erano state sgomberate famiglie, non erano arrivati pasti caldi e la struttura era rimasta isolata per molte ore. Il CARA sorge infatti in una piana considerata a rischio inondazione.  

A maggio e giugno dello stesso anno, poi, si erano registrate forti proteste da parte degli ospiti della struttura: “Oltre alle condizioni di vita all'interno del centro (ndr come la denuncia di stanze sovraffollate e sporche e la mancanza di servizi fondamentali) i migranti criticano le modalità di consegna del pocket money, ‘ovvero quei 2,5 euro al giorno necessari a garantire la possibilità di comprare del cibo, di acquistare il materiale scolastico per i tanti bambini che vivono nella struttura, di raggiungere Roma con i mezzi’, precisano in una nota le associazioni di migranti”, riportava RaiNews. In quei giorni di tensione si registrarono anche blocchi stradali, cariche delle forze dell’ordine nei confronti dei manifestanti e fermi. A settembre poi le proteste erano rientrate e Angelo Chiorazzo, fondatore di Auxilium,  presentava una situazione di normalità con servizi sanitari, legali, psicologici, scolastici offerti e previsti nel centro: «Oggi è un centro che funziona come i migliori centri che ci sono in Italia».

Nel 2015 un reportage nel CARA realizzato da Goffredo Buccini per il Corriere della Sera documentava diverse criticità nella vita all’interno del centro e nella gestione burocratica dell’accoglienza in Italia, come la lunga permanenza nella struttura in attesa di una risposta per la richiesta di asilo, la qualità del cibo della mensa, i problemi di connessione tramite i mezzi pubblici tra la struttura e la città: “Il «vecchio» Paul, 52 anni, congolese, l’hanno dovuto togliere dalla stanza comune (a cinque letti), ora sta solo. Si picchia sulla tempia: «Sono iperteso, sì. Non è normale aspettare tutto questo tempo!». Mohamed ha la metà dei suoi anni, ma quasi gli stessi sintomi: «Ho sempre mal di testa e ho fatto anche iniezioni per lo stomaco. Qui la vita è nasty, amico, è cattiva». La frustrazione si sfoga sulla mensa (tanti si lamentano, i pasti sono mediamente cattivi). E sul pocket money: i due euro e mezzo che i migranti vorrebbero in tasca e che qui si traducono in buoni da spendere solo allo spaccio. I mediatori culturali - una decina, veri leader di diverse etnie - fanno miracoli. Il primo è scongiurare le rivolte (un anno fa finì con cariche sulla Tiberina)”.

Nel 2016 nel centro Papa Francesco, in occasione del giovedì santo, lavò i piedi di 12 ospiti. I media riportavano che all’interno della struttura erano presenti circa 900 persone, tra cui 7 minori, con 117 operatori presenti. Pochi mesi dopo, a giugno, si svolgono visite organizzate dalla campagna LasciateCIEntrare, con lo scopo di monitorare le condizioni dei migranti nelle varie strutture presenti sul territorio italiano. Da chi vi partecipa viene innanzitutto raccontato l’isolamento del CARA: “All’esterno di questo edificio recintato non c’è nulla: non un bar, un’abitazione, o alcun tipo di servizio. L’impressione che si ha appena arrivati è di alienazione: sensazione che spesso accompagna la vista dei centri in cui sono “ospitati” (o meglio trattenuti) i migranti”. Per gli spostamenti, la cooperativa “gestisce un servizio di navette che trasporta le persone alla stazione più vicina: è questo l’unico modo per spostarsi dalla zona industriale in cui è stato posizionato il CARA. In alternativa, chi ha una bicicletta usa quella. Chi non ce l’ha, va a piedi”. All’interno del centro,  in base alle testimonianze di queste visite, viene descritto un ambiente “disadorno, alienante, sconfortante”. La struttura, inoltre, su indicazione del ministero dell’Interno, stava diventando ufficiosamente “un Hub, ossia un centro nazionale per i trasferimenti e le relocation. A confermarlo è lo stesso viceprefetto Leone, presente durante la visita. L’ordine dal ministero è infatti quello di liberare posti per “ospitare” nel Cara quanti accettino di essere ‘ricollocati’ in Europa”.

Sempre nel 2016, ad agosto, l’Anticorruzione guidata da Raffaele Cantone, invia una delibera di 17 pagine alla procura di Tivoli, competente per territorio, e alla Corte dei Conti, in cui, dopo accertamenti svolti un anno prima, emergono “«significativi inadempimenti contrattuali» del gestore (ndr come la “carenza di controlli all’ingresso e all’uscita dal centro di accoglienza”), somme versate dallo Stato sulla base di informazioni «non attendibili, sia nella forma sia nel contenuto», fornite dalla stessa cooperativa (...) che gestisce il CARA, e «carente attività di monitoraggio e controllo» da parte della Prefettura”, riassumeva Rinaldo Frignani sul Corriere della Sera. Inoltre, l’Anac elencava nel documento anche una serie di criticità nella gestione dei pasti e nella pulizia e nell'igiene ambientale. Riguardo quest’ultimo aspetto, la Prefettura di Roma, “durante l’ispezione del 7 aprile 2016”, aveva rilevato “un netto miglioramento degli standard di servizio relativamente agli spazi comuni del centro”, ma “di contro, sono state riscontrate pessime condizioni igieniche e di pulizia sia all'interno degli alloggi che nelle anticamere”.

Infine, l’Anac affermava che era emerso che l’Inail (proprietaria dello stabile) e il Ministero dell’Interno non avevano mai sottoscritto un contratto che disciplinava il centro di accoglienza: “Ciò sarebbe conseguenza – si legge – dell’originaria situazione emergenziale (ndr si doveva far fronte all'incremento delle domande di asilo conseguente all'eccezionale afflusso di stranieri nel 2008 in Italia) in cui è sorto il rapporto e che ha comportato la necessità di intervenire a posteriori per la regolarizzazione di alcuni aspetti, resa ancora più complessa dal fatto che vi sarebbe incertezza sia sull’effettiva permanenza del CARA nell’immobile a Castelnuovo sia «in relazione al grado di utilizzo/occupazione dello stesso in termini numerici»”. Ancora, non risultava chiaro se “il Ministero dell’Interno, al momento dell’individuazione del centro, abbia effettuato o meno le necessarie verifiche sull’idoneità della struttura all’accoglienza in relazione all’osservanza delle norme edilizio-urbanistiche, di abbattimento delle barriere architettoniche, di sicurezza degli impianti e antincendio, nonché allo smaltimento dei rifiuti e dei liquami, che devono comunque essere acquisite prima dell’avvio in esercizio di qualsiasi immobile utilizzato da persone”. Situazioni di criticità ripetute da Cantone, un anno dopo, durante un’audizione presso la Commissione Migranti della Camera dei Deputati.

Nel 2017, poi, viene eletto sindaco di Castelnuovo di Porto, Riccardo Travaglini. Il nuovo sindaco firma un protocollo d’intesa con la Prefettura di Roma, guidata da Paola Basilone,  per il coinvolgimento in attività di volontariato delle persone ospitate nel CARA. Le attività previste si inseriscono in un contesto di carattere civile e di servizi della collettività. A un anno dall’avvio dell’iniziativa, Roma Today scrive che una cinquantina di migranti hanno partecipato a questo progetto di volontariato promosso dal Comune occupandosi del “verde pubblico, del decoro urbano, delle rotonde, dei giardini delle scuole”. Repubblica riporta inoltre che erano stati attivati anche corsi di fotografia, laboratori di sartoria, panificazione, giardinaggio, attività teatrali e, tramite un protocollo di intesa tra Auxilium, il Comune e la scuola, era stato avviato un capitolato d’appalto che prevedeva vari servizi come “la mediazione linguistica, l’assistenza legale, il presidio medico h24, il servizio psico-sociale, l’insegnamento di lingua”. Per questi motivi il sindaco Travaglini, in questi giorni, ha dichiarato che «dopo ‘Mafia Capitale’ questo CARA è stato un’eccellenza: abbiamo fatto tantissima attività di integrazione, i ragazzi erano parte della nostra comunità, quindi non possiamo dire che il Castelnuovo di Porto erano uno di quei CARA che andavano chiusi perché non funzionavano».  

In base però a un reportage pubblicato a metà gennaio da Il Manifesto, la situazione, all’interno del centro, al di là dei percorsi di integrazione, presentava comunque delle criticità. Il giornalista Roberto Persia scrive ad esempio: “Superata una doppia rampa di scale si apre uno spazio dove confluiscono le varie corsie attraverso le quali è difficile muoversi: accumulati fuori dalle stanze, mucchi di indumenti e qualche valigia fanno da intralci. Le pareti, alcune di colore bianco, altre gialle, mostrano ancora i resti della alluvione che allagò nel 2014 il centro. A poca distanza l’una dall’altra sulle porte delle stanze, per chi ha la fortuna di averle ancora, si legge: «4 letti». All’interno la realtà è un’altra, sono almeno in 8, i più sfortunati sono costretti a dormire in terra su materassi. Nemmeno un armadietto a disposizione, tutto sparso sul pavimento. Le finestre che danno sull’atrio interno non hanno più vetri, scotch e plastica ne hanno preso il posto. (...) Chi non trova posto nelle stanze si stende in dormitori improvvisati: una branda, qualche coperta e quello che resta di vecchie biciclette trasformano il tetto in stanza”.

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Secondo poi il racconto di alcuni ospiti raccolto da Persia, “l’assenza di un impianto vero e proprio di aerazione si fa sentire: «Battiamo i denti dal freddo, non c’è altro da fare», racconta Abou. Di notte, i nemici principali diventano le cimici che infestano i letti. «Le lenzuola sono sempre le stesse da un anno e mezzo», denunciano due ragazzi, «al CARA è difficile anche dormire»”. Una situazione che si riscontra anche nelle testimonianze dei richiedenti asilo riportate da Annalisa Camilli su Internazionale: “Il centro è lontano da tutto, viviamo in condizioni pessime, siamo agitati perché non sappiamo dove finiremo, ma il centro non va bene così”.

Altre criticità sono state avanzate anche dal prefetto Mario Morcone, direttore del Cir (Centro italiano rifugiati) ed ex capo del Dipartimento Libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno: «In realtà il CARA di Castelnuovo di Porto era da tempo nella modalità di essere sgomberato, perché si trova in una zona alluvionale. Al di là dei costi di affitto, non sarebbe stato possibile rinnovare il contratto, perché gli organi di controllo non lo avrebbero fatto passare come centro adatto all’accoglienza di persone, proprio per il rischio ambientale». Il problema per Morcone, invece, sono le modalità con cui si è deciso di gestire lo sgombero.

Foto in anteprima via Ansa

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