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L’Europa delle barriere digitali in nome del profitto

6 Maggio 2015 5 min lettura

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L’Europa delle barriere digitali in nome del profitto

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Digital single market

Oggi, 6 maggio, il vicepresidente della Commissione europea, Andrus Ansip, e il Commissario Günther Oettinger, presentano il piano per il Digital Single Market europeo. È l'ambizioso progetto della Commissione europea, il vero e proprio cuore pulsante dell'Unione, la realizzazione di un mercato digitale unico per tutta l'Europa in cui le merci, le persone, i servizi e i capitali potranno circolare liberamente senza incontrare barriere o limitazioni, un mercato unico dove i cittadini e le imprese potranno esercitare le loro attività in condizioni di concorrenza leale (senza protezionismi nazionali).

Sarà una lotta in salita. Dobbiamo essere ambiziosi, altrimenti l'Europa attenderà molti anni ancora prima di godere di queste libertà digitali fondamentali”, ha sostenuto Ansip.

Secondo il factsheet della Commissione, il DSM europeo potrà creare più di 340 milioni di crescita aggiuntiva, centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro, e una “vibrant knowledge-based society”. I consumatori potrebbero risparmiare fino a 11 milioni ogni anno potendo scegliere l'acquisto di beni e servizi in tutti i paesi dell'Unione.

La Commissione evidenzia che ormai non ha più alcun senso l'esistenza di confini per le tecnologie digitali, di barriere per l'accesso ai contenuti per gli oltre 315 milioni di europei che ogni giorno usano Internet, non ha più senso che ogni paese abbia le proprie regole per i servizi di telecomunicazione, per la protezione dei dati personali, o per i diritti d'autore.

La Commissione illustra i vantaggi della modernizzazione delle regole sul diritto d'autore, evidenziando che il geo-blocking riduce i possibili clienti e quindi i profitti per i produttori, e che l'eliminazione delle barriere geografiche per i contenuti digitali è un'opportunità da non perdere:

Enjoying the same online content and services regardless of the EU country we are in.

Geo-blocking
Geo-blocking

Geo-blocking

Il geo-blocking è la pratica utilizzata dai fornitori di servizi online che limitano l'accesso ai contenuti digitali a seconda del paese di residenza. Quante volte avete incontrato la dicitura “questo video non è disponibile nel tuo paese”? Con la pratica del geo-blocking un cittadino europeo non può accedere ad un contenuto, un prodotto oppure un servizio. Il consumatore sarà quindi dirottato su un altro sito web, con prezzi differenti.

Alcune tecniche similari (geo-allocazione) sono utilizzate per praticare prezzi diversi a seconda del paese di residenza, senza nemmeno la necessità di dirottare il consumatore ad un diverso sito. In tal modo, ad esempio, i clienti di un paese pagheranno di più rispetto a quelli di altro paese, per il noleggio di un auto per la medesima destinazione.

Al di là della tecniche di geo-blocking giustificate per rispettare specifici obblighi di legge, tali pratiche sono il risultato di accordi tra gli operatori del mercato, al fine di suddividere artificialmente il mercato e così massimizzare i profitti a scapito dei consumatori (price discrimination). È questo il motivo per il quale il servizio Netflix non è accessibile in tutti i paesi e la sua programmazione può variare da paese a paese. Ovviamente violare gli accordi commerciali saltando le barriere digitali è un illecito in quasi tutti i paesi.

Digital Market europeo
Digital Market europeo

L'idea originaria di eliminare tali barriere nazionali, e le tante dichiarazioni riguardo al geo-blocking come qualcosa di assurdo nel 2015, hanno, però, gradualmente lasciato il posto, in Commissione europea, a timidi mercanteggiamenti politici. Invece di una armonizzazione delle regole avremo sanzioni più dure per le violazioni.

Pane finlandese

Come ci riporta il parlamentare europeo Julia Reda, la cui proposta di riforma della normativa sul copyright prevede, appunto, l'eliminazione del geo-blocking, i membri del Parlamento europeo giustificano la necessità di mantenere, e tutelare, le pratiche di geo-blocking perché ritenute essenziali per “proteggere la diversità culturale europea”.

Dopo tutto non posso comprare il pane finlandese in un qualsiasi supermercato tedesco. Poche persone lo comprerebbero e quindi il mercato non me lo offre. E non per questo chiedo alla Commissione europea di rendere il prodotto disponibile dappertutto.

L'argomentazione risibile mostra l'evidenza della differente regolamentazione tra i prodotti fisici e quelli soggetti a copyright. Il vantaggio della rete Internet è che consente la distribuzione dei prodotti digitali in tutto il mondo al medesimo costo, un paragone con i beni fisici non ha alcun senso, poiché per vendere altrove il pane finlandese devo o produrlo sul posto oppure trasportarlo fisicamente. E comunque è possibile vendere ovunque (grazie ad Internet) il pane finnico se il mercato lo richiede, perché non esiste alcuna licenza che impedisce l'acquisto di pane finlandese al di fuori della Finlandia. Di contro non posso distribuire e vendere i film finlandesi in tutta l'Unione, nonostante il fatto che il costo della distribuzione digitale sia esattamente lo stesso per tutti i paesi.

Insomma, la Commissione intende proteggere la diversità culturale non condividendo la cultura con gli altri.

Frontiere artificiali

In realtà le barriere tecnologiche e il geo-blocking sono una delle chiavi del finanziamento dell'industria del copyright.

La frammentazione delle licenze tra i vari Stati europei costituisce anche una formidabile barriera per i produttori americani e quindi di fatto protegge l'industria dei contenuti europea. Ma è sempre una forma di protezionismo, sia a livello locale (tra i vari Stati europei) sia a livello continentale. In ogni caso finisce per incidere sui consumatori che devono pagare costi di licenza superiori, e non possono accedere a molti contenuti.
Immaginiamo, infatti, i migranti, che si ritrovano in paesi dove spesso non sono accessibili i contenuti della loro madre patria. In tali casi il geo-blocking finisce per incidere sulla loro diversità culturale, costringendoli ad uniformarsi alla cultura del luogo dove risiedono. Per fare un esempio pratico possiamo considerare i francesi che vivono sull'isola di Reunion, che connettendosi ad Internet hanno un indirizzo IP che li identificano come residenti in Africa (vedi interrogazione del deputato francese Attard). Tale IP impedisce loro di accedere a numerosi contenuti francesi, pregiudicando la loro “diversità culturale”.

L'Europa, ci ricorda Julia Reda, è un mercato culturale con molte lingue e culture diverse, occorrerebbe celebrare tali diversità condividendole e coltivandole, e non rinchiuderle in un recinto territoriale, così ricreando anche su Internet delle frontiere artificiali per tutelare interessi meramente economici.

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