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“Rosatellum bis”, guida alla nuova (contestatissima) legge elettorale

12 Ottobre 2017 10 min lettura

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“Rosatellum bis”, guida alla nuova (contestatissima) legge elettorale

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9 min lettura

di Salvatore Borghese

Aggiornamento 26 ottobre 2017 > Il Senato ha approvato in via definitiva (con 214 sì, 61 no e 2 astenuti) la legge elettorale ribattezzata "Rosatellum Bis". Il voto finale è arrivato dopo che il governo aveva posto in aula 5 voti di fiducia. Tra Camera e Senato sono stati 8 i voti di fiducia posti per l'approvazione della nuova legge elettorale.

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Con una scelta che ha fatto molto discutere, il governo ha posto la questione di fiducia sulla proposta di legge elettorale Fiano et al, già ribattezzata “Rosatellum bis” (da Ettore Rosato, capogruppo alla Camera del Partito Democratico) in votazione alla Camera dei deputati. Ieri, 11 ottobre, è stata votata la fiducia sui primi due articoli. Oggi, dopo l'approvazione della terza questione di fiducia, c'è stato il via libera definitivo della Camera. Ora la proposta di legge passa al Senato. È la seconda volta, in questa legislatura, che una legge elettorale viene votata con la fiducia e la cosa ha comprensibilmente suscitato molte proteste.

Vediamo, punto per punto, di cosa tratta questa proposta di legge.

Come funziona

Il "Rosatellum bis" prevede un sistema misto, sia per la Camera che per il Senato. In entrambe le Camere, il 64% dei seggi è eletto con metodo proporzionale e il 36% in collegi uninominali maggioritari a turno unico. È quindi una sorta di "Mattarellum" “a rovescio” per così dire: nella legge Mattarella infatti (con cui si votò nel 1994, 1996 e 2001) era la quota maggioritaria a prevalere su quella proporzionale, in un rapporto 75-25.

Per accedere ai seggi nella parte proporzionale bisogna superare una soglia di sbarramento del 3% che si applica su scala nazionale, alla Camera e al Senato. Nei collegi uninominali maggioritari, invece, sarà eletto il candidato con un voto in più degli altri.

La scheda elettorale

Gli elettori voteranno su una scheda piuttosto simile a quella con cui si vota per le elezioni comunali: il nome di ciascun candidato di collegio sarà stampato su un rettangolo orizzontale, sotto al quale vi saranno dei riquadri contenenti i simboli delle liste che lo sostengono e i relativi candidati (da due a quattro nomi per ciascuna lista) che saranno eletti nella parte proporzionale. Le liste infatti potranno coalizzarsi per sostenere dei candidati comuni nei collegi, per massimizzare le possibilità di vittoria. Le coalizioni dovranno essere uniformi sul piano nazionale (niente alleanze “a macchia di leopardo” quindi).

Fac-simile scheda "Rosatellum bis".

Si potrà votare in tre modi: con una croce sul solo candidato di collegio; con una croce solo su una lista; con una croce sia su un candidato di collegio sia su una delle liste che lo sostengono. Non sarà quindi possibile il cosiddetto “voto disgiunto”, cioè votare sia un candidato di collegio che una lista diversa da quelle che lo sostengono (cosa che invece si può fare alle Comunali e alle Regionali). Né si potranno esprimere preferenze per i candidati al proporzionale: le liste sono “bloccate”, un po’ come nel "Porcellum". Ma, a differenza che nella legge Calderoli, le liste saranno corte e i candidati “riconoscibili” dagli elettori (questo per venire incontro alla sentenza 1/2014 della Consulta che dichiarò incostituzionali le lunghe liste bloccate del "Porcellum").

Un punto importante riguarda le pluricandidature: i candidati si potranno presentare in un solo collegio uninominale, ma oltre a questo potranno candidarsi anche nel listino proporzionale, in più circoscrizioni (fino a cinque). Finora può sembrare semplice, ma non lo è così tanto. La ripartizione dei seggi tra maggioritario e proporzionale infatti non è “indipendente”: le due quote si influenzano a vicenda in un modo un po’ complicato.

Spieghiamo: prima di tutto si contano i voti dei candidati di collegio e si proclamano eletti quelli con più voti. La questione si complica quando si passa a dover stabilire quanti seggi spettano a ciascuna lista nel proporzionale. Se si vota sia un candidato di collegio sia una delle sue liste, o se si vota anche soltanto una lista, il voto concorre sia al “bottino” della lista valido per la ripartizione proporzionale, sia, ovviamente, al risultato personale del candidato di collegio.

E se si vota solo il candidato di collegio, senza votare una delle sue liste? In questo caso, il "Rosatellum" bis prevede un meccanismo “diabolico”: i voti dati solo al candidato vanno ad accrescere il “bottino” della coalizione di liste; successivamente, quando si determina quanti seggi spettano a ciascuna coalizione, i seggi vengono ripartiti tra le liste che ne fanno parte in base alla percentuale conseguita da ciascuna lista. Già questo basta a dare un “aiutino” alle liste coalizzate rispetto a quelle che non lo sono (in cui il numero di voti di lista equivale matematicamente a quello dei candidati di collegio).

Ma c’è dell’altro: il “bottino” delle coalizioni è calcolato tenendo conto anche di quelle liste che non prendono seggi perché non arrivano al 3%, ma ottengono comunque più dell’1% dei voti. Quindi, stare in una coalizione conviene doppiamente: sia perché aiuta a vincere nei collegi uninominali, sia perché con questi meccanismi appena descritti si viene “premiati” anche nel riparto proporzionale.

Chi la sostiene

Il "Rosatellum bis" ha, sulla carta, un appoggio parlamentare molto ampio: il relatore è Emanuele Fiano (PD, già relatore della proposta precedentemente affossata con il voto segreto e rimandata in Commissione) e la proposta è frutto di un accordo tra PD, Forza Italia, Lega Nord e AP (Alfano). A questi si aggiungono molti altri piccoli gruppi parlamentari, perlopiù centristi. Tutti questi soggetti sono accomunati dal “fattore convenienza”: tutti cioè hanno interesse che si abbia una legge elettorale in cui è consentita, e anzi incentivata, la formazione di coalizioni alla Camera (vietate dalla legge in vigore, l’Italicum “azzoppato” dalla Consulta).

Ai partiti grandi questo conviene perché accresce le loro possibilità di vincere nei collegi uninominali, a discapito di chi non vuole o non può coalizzarsi (come il Movimento 5 stelle). Ai partiti piccoli o piccolissimi conviene ugualmente perché allearsi con i partiti più grandi, in cambio di alcune candidature nei collegi uninominali, consente loro di non dover superare necessariamente la soglia del 3% per eleggere dei propri rappresentanti in Parlamento (e anzi, come abbiamo visto, è sufficiente superare l’1% perché il proprio risultato elettorale sia utile per i partiti maggiori della coalizione).

Chi la critica

Così come a sostegno della legge ci sono sia partiti di maggioranza (PD, AP) che di opposizione (Forza Italia, Lega Nord), a opporsi troviamo sia partiti di opposizione (come il M5S, Fratelli d’Italia, Sinistra Italiana) che quelli che attualmente sostengono il governo Gentiloni, almeno formalmente (è il caso di Art. 1 – MDP).

I cinque stelle sono contrari a questa legge per due ragioni: innanzitutto perché il sistema dei collegi uninominali tende a penalizzare chi – come loro – non ha una classe politica locale radicata in grado di esprimere candidature competitive su tutto il territorio nazionale; in secondo luogo perché il meccanismo sopra descritto, che “gonfia” il risultato di lista dei partiti coalizzati, sottrae seggi a chi – come loro – non formerà coalizioni con altre liste. Sinistra Italiana è contraria perché sa di non poter vincere (realisticamente) in nessun collegio uninominale, e riducendosi il numero di seggi assegnati col proporzionale (non più la totalità come oggi ma solo il 64%) si riduce parimenti la quota di seggi che potrebbe ottenere a parità di risultato elettorale. MDP è contraria perché il sistema delle coalizioni così congegnato consente al PD di tenerli fuori della coalizione riducendo (come per SI) il numero di seggi che potrebbero ottenere, a questo punto, solo nel proporzionale.

Più difficile da spiegare è la contrarietà di Fratelli d’Italia: in teoria il partito della Meloni avrebbe tutto da guadagnare da un sistema che “costringe” Berlusconi e Salvini a formare una coalizione quanto più ampia e competitiva possibile. FDI potrebbe ottenere agevolmente seggi anche senza coalizzarsi (secondo i sondaggi il partito oscilla tra il 4 e il 5%, ben sopra la soglia di sbarramento), ma il rischio è di non riuscire a strappare molte candidature nei collegi uninominali, finendo “schiacciati” tra i due partiti di maggioranza della coalizione, cioè Forza Italia e Lega Nord.

I pro

Al netto delle convenienze dei partiti, quali sono i pro e i contro di questa legge? Come sempre, il diavolo si nasconde nei dettagli. Partendo da uno sguardo più generale, si possono elencare diversi pregi di questa legge, almeno rispetto alla situazione vigente. Il primo e più evidente è che con questa legge si uniformano – come mai prima d’ora – i sistemi elettorali di Camera e Senato. Attualmente i due rami del Parlamento sarebbero eletti con due sistemi radicalmente diversi tra loro, figli di due leggi distinte nate in contesti molto diversi (a 10 anni di distanza l’una dall’altra) e aventi due filosofie di fondo altrettanto differenti. Vengono quindi accolti i richiami del Capo dello Stato su un punto di non secondaria importanza. Altro elemento positivo (almeno a giudizio di chi scrive) è il ritorno dei collegi uninominali, un meccanismo con il quale gli elettori scelgono direttamente un rappresentante con un forte legame (anche in termini di accountability) con il territorio che lo ha eletto.

Infine, altri elementi positivi sono di natura più “tecnica”, ma comunque non secondaria: a oggi le circoscrizioni per il Senato coincidono con i confini delle Regioni e l’attuale legge (così come “ritagliata” dalla Consulta) costringerebbe a raccogliere preferenze entro un ambito territoriale talvolta enorme (si pensi ai milioni di abitanti delle regioni più grosse). Il ridisegno delle circoscrizioni al Senato, consentirà ai candidati di fare campagna elettorale a costi contenuti.

I contro

Scendendo più in dettaglio emergono però anche i non pochi difetti di questa legge. Il più evidente è forse quello maggiormente contestato dagli oppositori della riforma, e cioè la possibilità di candidature multiple, fino a 5 circoscrizioni diverse oltre a quella, eventualmente, nel collegio uninominale. In questo modo, anche se un candidato dovesse essere sconfitto nel suo collegio, potrebbe comunque risultare eletto in una delle cinque circoscrizioni proporzionali. È vero che anche in Germania ci si può candidare sia in un collegio che nel listino proporzionale, ma lì il listino è unico: se non “scatta” un numero di seggi sufficiente, il candidato sconfitto nel collegio non ha alcuna garanzia di essere comunque eletto. Il sistema previsto dal "Rosatellum bis" sembra ideato espressamente per far sì che i partiti sappiano in anticipo, al momento di decidere candidature, la composizione dei loro futuri gruppi parlamentari.

Attenzione però: se si esagera con il sistema delle pluricandidature, si rischia di eleggere più parlamentari di quanti ne siano stati candidati, col rischio che vi siano dei seggi vacanti (successe una cosa simile nel 2001 al centrodestra, che sbagliò a utilizzare le liste civetta per aggirare la norma sullo scorporo). È vero che il 36% dei parlamentari formalmente sarà eletto in collegi uninominali, ma qui si nasconde un altro difetto della legge: questi collegi, di fatto, serviranno più come incentivo a creare coalizioni pre-elettorali che a selezionare un candidato rappresentativo del territorio.

Infine, un dubbio molto grosso viene dalle modalità di voto previste: in particolare l’impossibilità di voto disgiunto (esprimendo al contempo una preferenza per un candidato di collegio e per una lista che non rientra tra quelle che lo sostengono) può essere vissuta come una limitazione dagli elettori, abituati da molti anni ad avere questa possibilità nelle elezioni amministrative. Lo stesso sistema con cui il “bottino” delle liste coalizzate viene “gonfiato” dai voti dati al solo candidato di collegio (oltre che dalle liste tra l’1 e il 3% che non prendono seggi) appare più giustificato da un fine utilitaristico che non da una coerente visione di fondo nell’impianto della legge.

Gli scenari

Veniamo infine alla domanda da 100 milioni, quella che tutti non possono fare a meno di chiedersi ogni volta che un nuovo sistema elettorale entra nel novero delle cose possibili: chi vincerebbe con questo sistema?

Abbiamo provato a rispondere con una serie di simulazioni, pubblicate su YouTrend, in cui abbiamo preso in considerazione diversi scenari. Il primo – il cosiddetto “scenario base” – tiene conto della media dei sondaggi ufficiali pubblicati in questo periodo: da questa simulazione (tutt’ora valida, dal momento che i sondaggi non sono cambiati di molto nell’ultimo periodo) non verrebbe fuori alcun vincitore: nessuno dei tre poli principali – PD e alleati minori, M5S e centrodestra FI-Lega-FDI – raggiungerebbe alla Camera la maggioranza necessaria di 316 seggi.

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La simulazione va presa con le proverbiali molle, soprattutto per un motivo ben noto agli studiosi di sistemi elettorali e agli addetti ai lavori: con i collegi uninominali non è possibile stimare con precisione una ripartizione di seggi sulla base di una percentuale di voto nazionale. Si possono fare solo delle stime, basate possibilmente sulle tendenze di voto emerse nei diversi territori in occasione di elezioni precedenti. È quello che abbiamo fatto nella nostra simulazione, scegliendo il valore intermedio all’interno di una “forchetta” minimo-massimo per ottenere un dato puntuale. Nel caso del centrodestra, non essendo possibile sapere in anticipo di quale partito saranno i candidati vincitori nei vari collegi, abbiamo inserito una quota di seggi che la coalizione nel suo complesso si potrebbe aggiudicare nel maggioritario. Idealmente questa quota di seggi andrebbe sommata a quelli ottenuti nel proporzionale dai tre partiti (FI-Lega-FDI).

Ma una domanda rimane, sia nello scenario base sia negli altri scenari (in cui uno dei tre poli riesce a prevalere sugli altri ottenendo il 35% dei voti), ed è questa: che succede se nessuno dei tre poli riesce ad avere da solo la maggioranza assoluta dei seggi? Quali alleanze post-elettorali si potranno formare per sostenere un governo? A questa domanda il "Rosatellum bis" non ci consente di rispondere. Né potrebbe farlo – va precisato – alcun sistema elettorale, in presenza di un bicameralismo paritario in cui le due Camere sono elette mediante due voti distinti, financo da corpi elettorali diversi (fino a 25 anni non si può votare per il Senato). E questo prescinde da quanto il sistema elettorale per i due rami del Parlamento sia omogeneo – appunto l’obiettivo principale di questa riforma.

Foto in anteprima via La Presse

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