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L’accordo commerciale Usa-Europa favorirà davvero lavoro e sviluppo? #TTIP

19 Ottobre 2014 8 min lettura

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L’accordo commerciale Usa-Europa favorirà davvero lavoro e sviluppo? #TTIP

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Scelta strategica
Il Trattato Transatlantico è una “scelta strategica”, di più, “culturale”. Queste le parole del premier Renzi a dimostrazione che il TTIP è nella lista delle priorità del semestre di Presidenza italiano.
Stiamo parlando del Transatlantic trade and investiment partnership, cioè il trattato commerciale che mira a realizzare un mercato unico comune tra Usa ed Unione Europea.
Il 15 ottobre si sono incontrati a Roma i ministri del commercio dell'UE per il settimo round dei negoziati (iniziato il 29 settembre), laddove il negoziatore esclusivo per l'Unione è la Commissione europea, che però ha l'obbligo di informare regolarmente il Parlamento sull'avanzamento dei negoziati.

Non è l'unico trattato i cui negoziati sono in corso. La UE sta trattando CETA con il Canada, e ha aperto negoziati con alcuni paesi asiatici. Gli Usa per conto loro sono impegnati nei negoziati del Trans Pacific Partnership (TPP), che vedono coinvolti anche Canada e Messico, con Giappone ed Australia, nel tentativo di realizzare un'area di libero scambio nel Pacifico. Un accordo del genere sposterebbe l'asse geopolitico del commercio mondiale dall'Atlantico al Pacifico, ed è questo uno dei motivi che spinge l'Europa all'approvazione del TTIP.
Se approvati tutti questi trattati, in particolare CETA, TPP e TTIP, si avrebbe un'area di libero scambio mondiale, con esclusione solo dei cosiddetti paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina).

Area di libero scambio
Per quanto riguarda il TTIP, i dati di questo nascente mercato sono impressionanti.
Al 2011 il totale degli scambi bilaterali di merci tra UE e Usa è stato pari a 455 miliardi di euro. Gli Usa erano il terzo fornitore dell'UE (11% di importazioni), e principale mercato di esportazione dell'UE (17% delle esportazioni).
Sempre nel 2011, gli scambi di servizi valevano 282 miliardi di euro. Gli Usa erano primo partner dell'UE per gli scambi di servizi commerciali (29% di importazioni e 24% di esportazioni).
Nel 2011 le aziende americane hanno investito circa 150 miliardi di euro nelle imprese UE, e la UE 123 miliardi negli Usa.

Secondo i dati della Commissione europea, il TTIP porterà 120 miliardi di guadagni all'anno per l'UE (circa 545 euro a famiglia), e un aumento dello 0,5% (in Italia equivale all'incirca alla copertura degli 80 euro in busta paga) dei salari dei lavoratori (qualificati e non) in media, a fronte di un guadagno di 95 miliardi di euro per gli Usa (655 euro per famiglia).
Il TTIP porterebbe, inoltre, un aumento delle esportazioni in quasi tutti i settori, con picchi del 42% per quello degli autoveicoli.

In realtà la situazione non è così rosea come appare.
Dal punto di vista pratico occorre ricordare che il TTIP è al momento l'unico strumento a crescita zero che i governi europei hanno a disposizione.
La realizzazione di un'area di trattamento preferenziale per beni e servizi può favorire l'economia, specialmente per i paesi con forte vocazione all'export (come l'Italia), ma le previsioni diffuse dalla Commissione europea sono basate su una serie  di assunzioni talvolta anche fin troppo ottimistiche.

Ed è sintomatico che il trattato sia criticato da più parti, sulla considerazione che è una carta dei diritti per le imprese multinazionali in grado di conferire loro poteri senza precedenti e minando gli standard ambientali e di sicurezza alimentare, in nome del libero commercio.

Il Presidente Obama non ha (ancora) ottenuto la cosiddetta Fast Track, una legge che di fatto delega la Trade Promotion Authority alla firma dell'accordo in modo da sottoporlo a scatola chiusa al Congresso senza possibilità di emendarlo. Sia i repubblicani che i democratici hanno avuto da ridire.
In Europa le cose non vanno meglio, e nonostante una specifica strategia di comunicazione della Commissione europea al fine di superare lo scetticismo dell'opinione pubblica, molti punti dell'accordo sono oggetto di pressanti critiche, in special modo le clausole investitore-Stato.

Una consultazione sulle clausole ISDS ha ricevuto, infatti, circa 150mila risposte che evidenziano le preoccupazioni espresse dalla società civile, per questo motivo al momento le ISDS sembrano accantonate, ma ciò non le neutralizza in quanto un carattere essenziale delle ISDS è il principio del forum shopping. Cioè un'azienda può citare uno Stato dinanzi ad un arbitro internazionale anche se non esistono accordi specifici tra lo stato dell'azienda e quello citato, è sufficiente che l'azienda abbia una sede “sostanziale” in altro paese che ha accordi con clausole ISDS con la UE. E la UE ha in corso i negoziati col Canada relativi al trattato CETA che prevede clausole ISDS. Inoltre di recente ha stretto accordi con Singapore (trattato EUSFTA) che prevedono clausole ISDS.
Un bel modo per scavalcare le 150mila critiche della consultazione pubblica.

Il TTIP fa crescere il PIL?
Lo studio della Commissione europea precisa che il TTIP porterà crescita e occupazione. L'aumento del PIL è stimato tra i 68 e 120 miliardi di euro per l'UE e tra i 50 e i 95 miliardi per gli Usa. Se invece l'accordo fosse limitato alla sola liberalizzazione tariffaria, si avrebbe un aumento di 24 miliardi per l'UE e 10 per gli Usa.

C'è una differenza enorme, quindi, tra lo scenario più ambizioso e quello meno ambizioso, laddove il primo include l'eliminazione del 25% degli “NTB related costs and 100 per cent of tariffs” (mentre invece i normali dazi sono già molto ridotti, intorno al 2,2% negli Usa e al 3,3% nell'UE).
NTB vuol dire “barriere non tariffarie”, cioè le misure commerciali non fiscali volte al controllo delle importazioni e delle esportazioni sulla base di svariati interessi, come la sicurezza alimentare, le regole per la sicurezza sul lavoro, le norme ambientali e sanitarie, cioè tutte quelle norme che caratterizzano l'Europa rispetto agli Usa come un luogo che pone maggiore attenzione alla vivibilità e alla sicurezza e ai cittadini. Se non vengono cancellati questi NTB related costs, l'aumento del PIL previsto è di soli 24 miliardi.

Se consideriamo che nel 2013 il PIL della UE era di 13.070 miliardi di euro, per l'improbabile  aumento di 120 miliardi, cioè circa l'1% del PIL, dovremmo annacquare le norme sanitarie, sulla sicurezza ambientale, sul lavoro, ecc... Ma siccome la Commissione europea ha in più occasioni ribadito che gli standard europei non saranno compromessi, e noi crediamo alla Commissione europea, vuol dire che col TTIP al massimo potremmo ottenere un aumento del PIL di 24 miliardi, cioè una misera crescita dello 0,2%.

Per comprendere l'impatto sulla vita di tutti i giorni della riduzione degli NTB possiamo ricordare che negli Usa è ammessa la sterilizzazione dei polli morti in acqua di cloro, procedimento che non è considerato sicuro in Europa. Altra preoccupazione riguarda il vasto uso di ormoni nella carne bovina e suina, oppure la clonazione di animali da macello e l'utilizzo di prodotti agricoli geneticamente modificati.

Sound science
Quello che le aziende chiedono, nella loro incessante attività di lobbying, è che le norme siano basate sulla cosiddetta “sound science, che potremo tradurre con “scienza riconosciuta”. Cosa vuol dire esattamente?

L'industria sostiene che le attuali valutazioni di rischio dell'UE sono troppo esigenti (e quindi comportano costi). Infatti nell'UE esiste una politica in cui ogni parte della catena alimentare è monitorata, e in molte aree si applica il principio di precauzione, riassunto dall'aforisma “prevenire è meglio che curare”. Cioè di fronte a un possibile pericolo per la salute umana, animale o vegetale, ovvero per la protezione dell'ambiente, si può reagire prontamente anche nel caso in cui i dati scientifici non consentano una valutazione completa del rischio, e il ricorso a questo principio consente di impedire la distribuzione dei prodotti che possano essere pericolosi ovvero di ritirare tali prodotti dal mercato.

Negli Usa, invece, ci si concentra sul prodotto finale, il quale può essere vietato o permesso solo quando c'è un consenso scientifico sulla sua pericolosità o tossicità (sound science). Ma il concetto scientifico di pericolosità è variabile nel tempo, basti pensare al tabacco, e non dimentichiamo che talvolta le aziende nascondono i risultati degli studi interni quando emergono pericolosità dei loro prodotti, per cui il relativo accertamento potrebbe verificarsi con anni di ritardo.
Significativo che una delle richieste dell'industria riguarda proprio il rafforzamento delle regole sulla riservatezza delle informazioni aziendali, al fine di evitare fuoriuscite di informazioni chiave. Inoltre c'è una forte opposizione alle iniziative dell'EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) per facilitare l'accesso del pubblico ai dati provenienti da studi di sicurezza effettuati dall'industria.

Armonizzazione degli standard
L'apertura del mercato agroalimentare UE ai prodotti americani è in cima all'agenda di Washington, che spinge sull'armonizzazione degli standard al fine di creare opportunità per promuovere il commercio con l'UE.
Il problema non si pone solo in un senso, infatti l'industria automobilistica europea beneficerà di una notevole riduzione dei costi dall'armonizzazione degli standard di sicurezza, considerato che quelli europei sono decisamente più elevati rispetto a quelli statunitensi.

L'implementazione del TTIP comporterà il riconoscimento reciproco delle regole e l'armonizzazione delle norme, con ciò determinando un ovvio abbassamento degli standard di sicurezza in tutti i settori. È pacifico che vi sarà un miglioramento degli scambi commerciali, anche se inferiore rispetto a quanto asserito negli studi della Commissione, perché molte imprese potranno risparmiare denaro abbattendo i costi dovuti al rispetto dei regolamenti di sicurezza sanitaria, ambientale, ecc..., ma tutto ciò avverrà a scapito dei cittadini.

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Nel TTIP i diritti umani non sono affatto menzionati, essendo delle mere eccezioni a regole commerciali, e la regolamentazione di tutto ciò che non entra nel PIL, cittadini, cibo, salute, ambiente, diverrà secondaria rispetto alla tutela degli interessi economici.
E, per completare il quadro, non è affatto detto che il “risparmio” delle aziende finirà per favorire i cittadini come aumento dei posti di lavoro, secondo i principi della Reaganomics (laissez faire), causticamente definita dall'umorista Will Rogers “economia del trickle down” (sgocciolamento). Secondo tale principio i benefici economici alla aziende (riduzioni di tasse, di costi o incentivi diretti) finiscono, prima o poi, per “sgocciolare” verso i cittadini.
In realtà una conseguenza accertata dei trattati commerciali è che le aziende tendono a spostare la loro produzione nel paese con i costi più bassi, come spiega lo studio di EPI (Economic Politic Institute) sulle conseguenze dei trattati di libero scambio degli Usa (con un paragrafo dedicato al TTIP).

Outsourcing
Gli accordi di libero scambio sono molto vantaggiosi per esternalizzare la produzione, specialmente verso quei paesi che utilizzano pratiche commerciali sleali come la Corea del Sud e la Cina. È così che le multinazionali statunitensi (Apple, Dell, Intel, General Electric, General Motors) hanno approfittato dell'outsourcing in Messico e Cina, aumentando enormemente i loro profitti grazie ai salari bassi e alla corsa al ribasso per le condizioni di lavoro.
Nel caso specifico il TTIP aprirebbe agli Usa i paesi più poveri dell'Europa dell'est.

È vero che i negoziatori della Commissione europea in più occasioni hanno ribadito che non cederanno di un millimetro sugli standard europei, ma in tal caso si aprirebbe la strada alle cause delle aziende contro i paesi UE per pratiche protezionistiche e distorsive del mercato, sulla base delle clausole ISDS.
A questo proposito possiamo ricordare la causa intentata dalla Vattenfall contro la Germania per la politica di progressivo spegnimento delle centrali nucleari, dove l'azienda svedese chiede un risarcimento di 4,7 miliardi di euro.
Iniziative di questo tipo sono in grado di impensierire anche potenze commerciali come la Germania, come potrebbero resistere i paesi più poveri dell'UE?

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