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La storia fantozziana del referendum contro la ‘Casta’

14 Luglio 2012 5 min lettura

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La storia fantozziana del referendum contro la ‘Casta’

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Andrea Zitelli @andreazitelli_
@valigiablu - riproduzione consigliata

Qui di lato potete leggere la denuncia che da un po' sta girando sulle bacheche di Facebook. Oggetto della presunta censura sarebbe un referendum popolare che ha l'intento di “tagliare gli stipendi d'oro dei partiti”. Promotore dell'iniziativa è il partito Unione popolare che nel proprio sito, non a caso, rimarca con forza l'oscurantismo operato dai “media” nei lori confronti:

“Seguiteci su facebook nel GRUPPO UP FIRMA

Quello che in pochi giorni è successo nel gruppo facebook UP FIRMA  è pazzesco! Siamo più di 17.000!!!! E le richieste di adesione aumentano ogni giorno. Aiutateci a crescere, iscrivete i vostri amici al gruppo UP FIRMA su facebook.

I MEDIA CI BOICOTTANO... MA SE IL GRUPPO CRESCE LA CASTA TREMA!!”

Incuriosito da questo referendum e dalla relativa attenzione che si è creata in giro per il Web - specialmente su Facebook –, ho voluto approfondire la questione. I fatti emersi, però, m'hanno portato a classificare l'intera vicenda come un'operazione politica ascrivibile in quella sfera confusionaria e priva di concretezza politica che oltre alla corroborazione dell'ormai nota indignazione virale non va.

Il manifesto recita che un'eventuale riuscita porterebbe al taglio degli “stipendi d'oro dei parlamentari”. Ma una volta nel sito di Unione Popolare, cercando informazioni, ci si imbatte in una  precisazione secondo cui ad essere abrogata sarebbe in realtà la “diaria a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma”. Il segretario Maria di Prato, sentita da Linkiesta, ha così spiegato tale scelta

Abbiamo preferito andare sul sicuro dopo la delusione del referendum sul Porcellum non vogliamo rischiare. Verrano tagliati i 3.500 euro mensili che ogni parlamentare riceve per il soggiorno a Roma. La cosa ridicola è che a incassare questa somma sono anche quegli eletti che nella Capitale ci vivono. Abbiamo calcolato che lo Stato potrebbe risparmiare circa 50 milioni di euro l’anno (…) Di certo non abbatterà il debito pubblico ma questa iniziativa ha un forte significato politico: in tempi di crisi chi comanda deve dare l’esempio.

 Ma in questo modo non si corre il rischio di mischiare le carte e di far prevalere nel voto dei cittadini più la comune rabbia contro la classe politica italiana che la questione di merito dei costi della politica - non a caso il manifesto recita “REFERENDUM CONTRO LA CASTA” -?

Tra i vari siti e blog che sponsorizzavano l'evento, mi sono imbattuto nel tumeblog di Salvatore Grizzanti - blogger e segretario dell'Associazione radicale Adelaide Aglietta -. In esso vengono presentate critiche nei confronti di questa iniziativa referendaria. Valutazioni sia contro la presunta censura subita dal partito di Maria di Prato, sia su questioni di incostituzionalità e conformità normativa del referendum stesso. Tra quest'ultime, spicca il richiamo all'articolo 31 della legge n. 352 del 25 maggio 1970 per cui “ Non può essere depositata richiesta di referendum nell'anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l'elezione di una delle Camere medesime”.

Legge che è stata posta anche all'attenzione dei promotori del referendum nel gruppo UP FIRMA PER ABROGARE STIPENDI D'ORO DEI DEPUTATI. Il risultato prodottosi è uno dei paradossi più esplicativi di tutta la faccenda. Ma andiamo con ordine.
Maria di Prato in risposta a quanto scritto nell'articolo 31 della legge n.352 aveva inizialmente ostentato sicurezza, dichiarando di stare tranquilli perché il suo partito aveva presentato “la proposta referendaria” in Cassazione il 19 aprile, “un anno prima delle elezioni”, rientrando, quindi, a suo parere, nei tempi stabiliti dalla legge.

L'ostentata tranquillità del segretario di Unione Popolare, però, è venuta meno quando uno degli iscritti al gruppo le ha fatto notare che per

“deposito della richiesta in cassazione" si intende il deposito delle firme che state ancora raccogliendo, non la pubblicazione del quesito sulla Gazzetta” e che “là dove la legge afferma "Non può essere depositata richiesta di referendum nell'anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere" è ormai abbastanza definitivo che non si intendono "i 365 giorni precedenti", ma proprio l'anno di calendario precedente.

La logica conseguenza è che le firme finora raccolte risulteranno non valide in quanto, sulla base di quanto stabilito dall'articolo 31 delle legge 352/1970, non è possibile depositare richiesta di referendum nel 2012, essendo prevista la scadenza dell'attuale legislatura nel marzo del 2013. La signora di Prato a queste rilievi, non sapendo rispondere nel merito, ha successivamente dichiarato – sempre tra i commenti nel gruppo - di avere “un appuntamento in Cassazione domani (martedì 10 luglio ndr) per avere un ultimo parere”.

Comunicazione che ha scatenato la rabbia di diversi sostenitori dell'iniziativa, in quanto, nonostante l'esito dell'incontro, in tale modo di operare da parte dei promotori è stato riscontrata una scarsa professionalità: si lancia una raccolta firme per un referendum abrogativo e ci si accorge, dopo i rilievi di alcuni cittadini, che non si sa neanche, a poco meno di un mese dalla scadenza dei tempi per raccogliere le necessarie 500.000 firme, se normativamente sono valide oppure no.

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Alcuni giorni di silenzio da parte di Maria di Prato e d'attesa da parte degli utenti nel gruppo “UP FIRMA”. Viene poi pubblicato un video accompagnato dalla scritta “Il referendum di Unione Popolare è valido! E la raccolta firme andrà avanti!!!!”. In esso, però, il segretario di Unione Popolare non menziona il famoso incontro chiarificatore in Cassazione, ma, accennando ad una presunta incostituzionalità dell'articolo 31 (della legge 352/1970), conferma la validità del referendum, specificando però, che vista la lacunosità di tale legge, “per non incappare in nessuno errore”, si è presa la decisone di raccogliere le firme anche nella tornata di ottobre, per poi presentarle in Cassazione a gennaio. Insomma, visto l'altissima probabilità di vedersi annullate le firme raccolta finora, per via dei rilievi evidenziati sopra, gli italiani che condividono il taglio agli “stipendi d'oro della CASTA” - che poi, in realtà, come si è visto l'oggetto del referendum è la diaria dei parlamentari – devono ripresentarsi a firmare da ottobre.

Le reazioni di chi cercava risposte ai dubbi sulla validità delle firme sono state caratterizzate da delusione e rammarico. Perché, infatti, da parte dei promotori l'eventualità di un possibile rischio di annullamento non è stata presentata subito ai cittadini firmatari? Chi, tra gli utenti, parla di “errore marchiano”, chi di ignoranza delle legge, chi presenta l'iniziativa referendaria di Unione Popolare come un modo per fare pubblicità al proprio movimento, sfruttando l'odio anti-casta presente nella pubblica opinione.

Qualunque sia la risposta resta il fatto che 200.000 firme sono già state raccolte. Dimostrazione che in Italia l'attenzione pubblica verso la distanza tra cittadini e politica è sempre un tema centrale, ma che se non ci sono forze politiche a convogliarla razionalmente, rischia di rimanere preda ingenua di soluzioni non all'altezza.

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