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Ius scholae: l’ultima occasione per approvare una riforma sulla cittadinanza

29 Giugno 2022 10 min lettura

Ius scholae: l’ultima occasione per approvare una riforma sulla cittadinanza

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Dopo mesi di rinvii, ritardi e tentativi di ostruzionismo, arriva in aula lo ius scholae. Prende il via oggi la discussione alla Camera sul testo di riforma della legge 91/92, che regola l’acquisizione della cittadinanza italiana. Prevede che possa chiedere di diventare cittadino italiano il minore nato in Italia da genitori stranieri purché abbia frequentato per 5 anni uno o più cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione. La possibilità è estesa anche ai minori non nati in Italia ma che abbiano fatto ingresso nel paese entro i 12 anni di età. La cittadinanza si potrà acquisire con una dichiarazione di volontà entro il compimento della maggiore età. Dovrà essere uno dei genitori a farne richiesta. Il testo è stato chiuso nella serata di ieri, con l’introduzione di qualche novità: in particolare, se il ciclo scolastico di cinque anni è quello delle elementari non si richiede solo la frequenza ma anche il superamento con esito positivo, quindi la promozione. Inoltre, i percorsi di formazione professionale dovranno avere alcuni requisiti essenziali per essere considerati idonei al rilascio della cittadinanza.

Nei fatti quella che la Camera si appresta a discutere è una riforma che interessa solo i minori, o meglio gli 877mila alunni (il 10% di tutta la popolazione scolastica) con background migratorio che frequentano le scuole italiane ma che sono ancora considerati “stranieri”, anche se il 65% di loro è nato nel nostro paese. Sintesi di tre diverse proposte di legge, depositate da Renata Polverini, Matteo Orfini e Laura Boldrini, il testo è anche il risultato della mediazione tra i partiti per assicurare il più ampio consenso possibile alla riforma. Per questo è stato abbandonato qualsiasi riferimento allo ius soli anche temperato, come era stato formulato nella proposta approvata alla Camera nel 2015 e mai discussa in Senato. 

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Ad eccezione della Lega, infatti, le forze che compongono l’attuale maggioranza di governo hanno espresso parere favorevole. Anche se ieri sera, in sede di votazione finale, Forza Italia che inizialmente appoggiava il testo si è spaccata: Renata Polverini ha votato a favore, Annagrazia Calabria contro. La posizione dei forzisti potrebbe diventare determinante nei prossimi mesi. In generale, tutte le posizioni rimangono tiepide. Al netto di qualche dichiarazione e della posizione dei singoli parlamentari, nessun partito in questi mesi si è realmente battuto perché il provvedimento avanzasse. La riforma della cittadinanza non è nel programma del Governo Draghi mentre rimane uno dei temi su cui si basa la propaganda della destra, che ha spesso parlato di un rischio di “sostituzione etnica” legato alla “cittadinanza facile”. Sullo ius scholae è infatti netta l’opposizione di Fratelli d’Italia che ritiene la riforma non necessaria né tantomeno prioritaria. 

Non è un caso che sul testo, composto di soli due articoli, siano stati presentati una valanga di emendamenti: oltre 728 (di cui 484 dalla  Lega, 167 da Fratelli d’Italia). In particolare, la Lega ha puntato a inserire dei test di “italianità”, esami sugli usi e costumi del paese attraverso la conoscenza delle sagre e feste popolari. Diversi emendamenti si concentravano poi sulla condotta dei ragazzi a scuola, come non aver commesso atti di bullismo o atti violenti durante l’orario scolastico, e sul rendimento: una valutazione media non inferiore all’8 o per le qualifiche professionali a 90/100. Gli emendamenti del gruppo di Fratelli d’Italia, invece, vertevano principalmente sulla durata del percorso scolastico per la richiesta di cittadinanza: per Fdl il periodo minimo dovrebbe essere almeno di otto anni. Nell’unico emendamento a firma della leader, Giorgia Meloni, si chiede che i bambini arrivati entro i 12 anni di età frequentino almeno due cicli scolastici (elementari/medie e superiori) presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione e che al compimento del diciottesimo anno di età possano” acquistare” la cittadinanza italiana. A testimonianza della volontà da parte del partito di non cambiare nulla rispetto alla normativa vigente. 

Dopo settimane di discussione nella Commissione Affari Costituzionali gli emendamenti che prevedevano test sulle sagre sono stati respinti e il testo base non è stato cambiato molto rispetto alla sua versione originale. Sono state accolte le modifiche di chi chiedeva che non fosse previsto l’assenso di entrambi i genitori, per venire incontro alle famiglie monoparentali. È stato tolto anche il criterio della permanenza y del minore richiedente sul territorio italiano, mentre rimane il requisito della residenza legale dei genitori. Nel progetto di riforma non è stata prevista la norma transitoria che consentirebbe di rendere il provvedimento retroattivo per chi abbia già concluso un ciclo di studi nel nostro paese. Se il testo passasse, dunque, i potenziali beneficiari sarebbero meno del milione e mezzo di nati e cresciuti in Italia ma ancora senza cittadinanza, stimati dal centro e ricerche Idos. 

“Abbiamo discusso centinaia di emendamenti, superando le venti ore di seduta - afferma a Valigia Blu il relatore della legge Giuseppe Brescia (M5S) -.  In questi mesi diversi sono stati i contributi e gli impulsi della società civile, ho particolarmente apprezzato il sostegno qualificato di pedagogisti e pediatri. È molto difficile dire che chi studia con i nostri figli non è italiano. Con questa legge il Parlamento fa qualcosa che troppo spesso non fa: prendere semplicemente atto della realtà”. Il deputato cinquestelle sottolinea che ora è necessario “saldare un debito con migliaia di ragazzi che si sentono italiani anche se non sono riconosciuti come tali dallo Stato”. Ma avverte anche che l’iter non sarà facile, se si preannuncia un buon esito alla Camera, infatti, rimane lo scoglio del Senato dove i numeri potrebbero non bastare. 

Secondo i movimenti che si battono perché dopo trent’anni venga riformata la legge 91/92, basata sullo ius sanguinis, lo ius scholae è quindi solo un primissimo passo. Non è la legge di riforma completa, chiesta da più parti, che avrebbe dovuto rivedere anche la parte di naturalizzazione per gli adulti (ad oggi sono previsti dieci anni di residenza ininterrotta sul territorio e un reddito minimo pari all’assegno sociale annuale). Eppure per tutti rappresenta l’ultima possibilità di cambiare le regole per l’acquisizione della cittadinanza. 

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“È l’ultima chiamata in stazione, se non passa questo treno sarà difficile ricominciare la battaglia da capo. Sono anni che disperdiamo energie, sempre più persone stanno andando in altri paesi, perché si sentono figli illegittimi, a volte del tutto orfani, di un paese che non li riconosce. Ci sono oltre un milione e mezzo di ragazzi che  aspettano da troppo tempo, c’è grande disillusione e stanchezza anche nei movimenti”, dice a Valigia Blu Marwa Mahmoud attivista del Movimento Italiani senza cittadinanza e consigliera comunale a Reggio Emilia. Nata ad Alessandria d’Egitto è arrivata nel nostro paese all’età di due anni e vent’anni dopo è diventata cittadina italiana. “Sono stata la prima di origine straniera a entrare nel consiglio comunale della mia città. Sono entrata in un campo di battaglia dove nessun altro prima aveva rappresentato la differenza - racconta -. Senza cittadinanza non si può partecipare a un bando pubblico e non puoi né votare né essere votata. E gli altri non vedendoci all'interno delle istituzioni pensano che chi arriva da contesti altri non abbia dignità per essere rappresentativo. Questo è dovuto anche al fatto che abbiamo una classe politica che fatica a riconoscere l’enorme patrimonio che ha sui territori: c’è una generazione cresciuta sui banchi di scuola, formata ed educata in questo paese, su cui non si investe ma si ignora. Molti di noi ormai vanno all’estero, perché si sentono figli illegittimi di un paese che non li riconosce”. Per Mahmoud alla cittadinanza è legata anche una questione di genere. Troppe donne e ragazze di origine straniera faticano ad emanciparsi dalla famiglia di origine o dal marito/compagno perché legate a uno stato di famiglia che determina il loro permesso al soggiorno in Italia. Il caso più emblematico degli ultimi anni è stato quello di Saman Abbas, uccisa dalla famiglia per aver rifiutato un matrimonio combinato. La ragazza, di origine pakistana, che sui social si faceva chiamare italian girl, si era allontanata dalla famiglia per poi tornare sotto il ricatto di non vedersi restituito il documento di identità. “L’emancipazione e l'indipendenza sono legate a filo doppio con la normativa - aggiunge la consigliera -.  Il diritto alla mobilità, ad affermarsi, a non essere più subordinato al volere della famiglia è legato alla possibilità di essere riconosciute cittadine a pieno titolo. Non avere la cittadinanza è un’aggravante per l'emancipazione della condizione femminile in molte comunità”.

Per Andreea Girleanu, studentessa di 23 anni, nata in Romania, arrivata in Italia all’età di 3 anni ma ancora in attesa di cittadinanza, “la politica italiana è ormai molto lontana dai suoi cittadini, ancora di più dagli italiani senza cittadinanza”. “Mi riesce difficile sperare in un buon esito della riforma - confessa -. Ma pensare che, per l’ennesima volta, nulla cambierà mi sembra impossibile e inaccettabile in un contesto come quello in cui viviamo oggi. Non riesco a immaginare un’Italia ferma ancora una volta”. Girleanu fa parte del movimento “Dalla Parte giusta della storia” che il 28 giugno a Roma ha organizzato un finto matrimonio in piazza Capranica con lo slogan #Italiadimmidisì per richiamare l’attenzione delle forze politiche sulla necessità di concludere presto l’iter in aula. 

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“Tutto dipenderà da come si schiereranno i partiti di centro e centrodestra - aggiunge Manuel Bustamante, 33 anni, in attesa dell’ultima verifica dei documenti prima del giuramento -. Sappiamo che i loro elettori sono assolutamente favorevoli alla riforma. Speriamo che si decida in base all’attenzione ai nostri diritti e non in base a giochi di posizionamento pre-elettorali”. Secondo un sondaggio realizzato da Quorum/Youtrend per ActionAid, infatti, il fronte di consensi per la riforma della cittadinanza travalica le appartenenze partitiche e attraversa anche il centro destra: il 48% degli elettori della Lega è d'accordo con lo Ius Scholae, così come il 35% tra chi si dichiara elettore di Fratelli d'Italia e il 58% degli intervistati di Forza Italia. Stando alle risposte degli intervistati, dunque, ci sarebbe una forte apertura alla riforma anche negli schieramenti che in Parlamento si oppongono al testo. 

“Lo ius scholae, così come è formulato, è una riforma che a noi non piace in toto perché è un compromesso al ribasso, diverso da quello che negli anni abbiamo proposto. Ma è comunque un primo passo avanti. La sua approvazione sarebbe importante per le tante famiglie e i tanti ragazzi che aspettano da troppo tempo - sottolinea Filippo Miraglia di Arci, uno delle associazioni che nel 2011 depositò alla Camera la proposta di legge di iniziativa popolare L’Italia sono anch’io -. Il centrosinistra deve trovare il coraggio di approvarlo. Se in passato, in condizioni migliori non sono riusciti ad andare fino in fondo in futuro ci aspettiamo un peggioramento sicuro, con la destra che avanza. Quindi il tempo è adesso, questa è l’ultima chiamata. E sarebbe opportuno che tutte le forze progressiste si impegnassero davvero, quantomeno per dare un segnale che nel paese c’è qualcuno che ha davvero a cuore i diritti e l'uguaglianza". 

Intanto in questi giorni ha fatto discutere è il caso di Khaby Lame, 21 anni, il tiktoker più famoso al mondo, nato in Senegal e arrivato in Italia quando aveva solo un anno di età. In un’intervista a Riccardo Luna su Repubblica ha ricordato di essere ancora in attesa di cittadinanza, nonostante abbia presentato la documentazione un anno: “Non è giusto che una persona che vive e cresce con la cultura italiana per così tanti anni ed è pulito, non abbia ancora oggi il diritto di cittadinanza. E non parlo solo per me” ha detto. “Il visto e magari la cittadinanza mi renderebbero le cose più facili, ma non sarei contento pensando a tutte quelle altre persone che magari sono anche nate in Italia e non hanno lo stesso diritto”. 

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Subito dopo la diffusione dell’intervista, il sottosegretario agli Interni, Carlo Sibilia, in un tweet ha rassicurato il ragazzo dicendo che il decreto di cittadinanza è stato emanato ai primi di giugno dal Ministero e che a breve sarà chiamato per il giuramento. Ma questo ha riacceso le polemiche sul diritto alla cittadinanza come un premio o merito, frutto di concessione solo a chi eccelle o si distingue per popolarità. E non come un diritto per chi vive, lavora e studia nel paese. Non è la prima volta che accade, il tema ha spesso coinvolto il mondo dello sport. Da più parti è stata criticata la proposta, avanzata dal Coni di uno ius soli sportivo per permettere ai ragazzi di partecipare alle competizioni internazionali e alle federazioni sportive di avere un bacino di atleti più ampio a cui attingere. Per molti significherebbe una forma di discriminazione per tutti gli altri ragazzi che non hanno particolari capacità agonistiche ma restano italiani di fatto e non di diritto. Sempre per meriti, questa volta civili, è stata concessa la cittadinanza ad Adam e Ramy, i due ragazzi “eroi” che nel 2019 a San Donato milanese avevano sventato l’attentato a un bus. Anche in questo caso in molti hanno criticato il rischio dell’accesso ai diritti solo in casi particolari. 

“Passa l’idea che diventare cittadini italiani sia un passo eccezionale, che non va dato a tutti e che prevede prestazioni straordinarie ed eroiche. Si spostano i confini della realtà - sottolineava il sociologo Maurizio Ambrosini in un'intervista -. È la codifica di un paese in cui c’è un doppio titolo di residenza: ci sono i residenti che sono anche cittadini e ci sono milioni di persone che risiedono, pagano tasse, vanno a scuola ma non sono cittadini a pieno titolo. Mi pare ingiusto e irrealistico. E’ la scuola l’istituzione che costruisce cittadini. Riconoscerlo è un aspetto da valorizzare. Una concezione ristretta della cittadinanza produce, invece, inutili divisioni nella società”.

Immagine in anteprima: foto di Eleonora Camilli

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