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Internet uguale per tutti: la neutralità della rete è salva

5 Settembre 2016 9 min lettura

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Internet uguale per tutti: la neutralità della rete è salva

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Il 30 agosto il BEREC, l’Agenzia europea per la regolamentazione delle comunicazioni elettroniche che si occupa dell’applicazione uniforme della legislazione europea, ha pubblicato le linee guida in materia di neutralità della rete.

L’interpretazione del BEREC ha disinnescato buona parte dei rischi che si erano paventati all'approvazione delle norme europee, fissando delle regole che gli Isp (Internet Service Provider) dovranno rispettare nel fornire accesso Internet ai loro clienti. Queste linee guida sono il passo finale di un processo di formazione delle nuove regole sulla neutralità delle rete iniziato anni fa, un processo che non è stato affatto semplice (vedi la timeline realizzata da EDRi).

Connected Continent

Nell'ambito del programma Connected Continent, cioè la ridefinizione delle norme riguardanti le telecomunicazioni al fine di creare un mercato digitale unico per l'Europa (Digital Single Market), così eliminando le disparità normative tra i vari Stati e favorendo la crescita economica, uno dei punti più controversi è sempre stato la neutralità della rete (net neutrality).

La net neutrality, infatti, è un aspetto sul quale si è concentrata l'attenzione degli operatori di telecomunicazioni, che cercano di ottenere norme a proprio vantaggio. Mentre la Commissione europea si è talvolta mostrata aperta a recepire specifiche istanze delle aziende, il Parlamento, invece, ha votato più risoluzioni, non vincolanti, a favore di una definizione di neutralità della rete che non determini limitazioni al fluire del traffico in rete.

La proposta di revisione delle norme in materia, lanciata nel 2010 dal Commissario Kroes, venne portata in Commissione a marzo del 2014, nell'imminenza delle elezioni europee (maggio 2014), quando i parlamentari erano distratti dalle loro personali campagne elettorali. Ad ulteriore “distrazione”, vennero introdotte misure per la riduzione dei costi di roaming, argomento popolare e quindi “spendibile” in campagna elettorale.

Perciò, all’epoca era alta la preoccupazione che passasse una regolamentazione a favore dell’industria, la quale spingeva per una definizione “allargata” di servizi specializzati, in modo da poter realizzare una prioritizzazione del traffico. Il pericolo era che tale regolamentazione si sarebbe potuta risolvere in una discriminazione del traffico altrui, che si sarebbe riverberata sugli accordi tra aziende tecnologiche (che forniscono i servizi) e provider di accesso, con possibili intese anticoncorrenziali. Un provider avrebbe potuto fornire un servizio (es. Whatsapp) a prezzi più bassi rispetto a servizi concorrenti (es. Telegram) o addirittura pacchetti con traffico gratuito per determinati e specifici servizi. In tal modo si sarebbe avuta una Internet a due velocità, con alcuni “servizi” che avrebbero avuto la priorità sugli altri, così limitando ed ostacolando la concorrenza.

Il declino delle prestazione della rete, dovuto all’aumento del traffico per la presenza di sempre più servizi che necessitano di maggiore banda (streaming), non era più considerato un problema per gli operatori, piuttosto una possibile fonte di guadagno grazie ad accordi con i grandi fornitori per eliminare i colli di bottiglia della connessione tra il fornitore e il cliente. Cosa che purtroppo è possibile perché manca un’effettiva concorrenza nel mercato della banda larga.

Negoziati

In Commissione, il 18 marzo 2014 fu votato un testo privo di una definizione di “servizi specializzati”. Data la genericità del testo gli operatori di telecomunicazione avrebbero potuto stringere accordi esclusivi con le aziende del web per fornire servizi specializzati prioritizzandoli rispetto a quelli concorrenti.

Il 3 aprile 2014, i Socialdemocratici, i Verdi, la Sinistra Unita e i Liberali (ALDE), spinti principalmente da Amelia Andersdotter, Catherine Trautmann, Petra Kammerevert e Marietje Schaake, ribaltano le carte in tavola facendo approvare una serie di modifiche al regolamento Connected Continent che fugano molte delle preoccupazioni sulla pessima direzione che aveva preso la proposta della Commissione europea. Il nuovo testo, invece, guarda ad un Internet aperto e concorrenziale, non limitandosi a stabilire norme che vietano le discriminazioni, ma ponendo addirittura una definizione positiva di neutralità della rete.

Per neutralità della rete si intende il principio in base al quale tutto il traffico internet viene trattato allo stesso modo, senza discriminazioni, limitazioni o interferenze, indipendentemente dal suo mittente, dal destinatario, dal tipo, dal contenuto, dal dispositivo, servizio o applicazione

Ulteriori emendamenti limitano le implicazioni negative dei servizi specializzati che non potranno essere commercializzati od utilizzati come sostituto per il servizio di accesso ad internet, e i fornitori non devono discriminare tra servizi e applicazioni funzionalmente equivalenti. In breve, un operatore di telecomunicazioni non potrà fornire un proprio servizio degradando nel contempo quelli concorrenti.

Nel marzo del 2015 partono, quindi, i dialoghi a tre, Commissione, Consiglio e Parlamento, ma inaspettatamente il Consiglio (che rappresenta gli Stati membri dell’UE) rifiuta di negoziare sulla base del testo del Parlamento, il quale si trova costretto a presentare un testo di compromesso, basato sulla proposta del Consiglio.

Compromesso

Il 25 novembre 2015 viene così approvato un testo (Regolamento 2015/2120) che perde molti degli emendamenti approvati dal Parlamento, con definizioni generiche e che lasciano ampi margini di manovra agli operatori. Pur rimanendo sostanzialmente invariata la definizione di net neutrality, il testo solleva troppi dubbi.

I fornitori di servizi di accesso a Internet, nel fornire tali servizi, trattano tutto il traffico allo stesso modo, senza discriminazioni, restrizioni o interferenze, e a prescindere dalla fonte e dalla destinazione, dai contenuti cui si è avuto accesso o che sono stati diffusi, dalle applicazioni o dai servizi utilizzati o forniti, o dalle apparecchiature terminali utilizzate (art. 3.3 Reg. 2015/2120)

I problemi del testo approvato non sono pochi. Innanzitutto, le norme europee non menzionano espressamente i modelli zero rating, ma garantiscono ai provider una libertà commerciale (art. 3.2) a condizione che la libera scelta degli utenti non sia minata (3.1).

Gli utenti finali hanno il diritto di accedere a informazioni e contenuti e di diffonderli, nonché di utilizzare e fornire applicazioni e servizi, e utilizzare apparecchiature terminali di loro scelta, indipendentemente dalla sede dell’utente finale o del fornitore o dalla localizzazione, dall’origine o dalla destinazione delle informazioni, dei contenuti, delle applicazioni o del servizio, tramite il servizio di accesso a Interne (art. 3.1)

E il Considerando 7 del Regolamento:

Le autorità nazionali di regolamentazione e le altre autorità nazionali competenti dovrebbero essere autorizzate a intervenire contro accordi o pratiche commerciali che, in virtù della loro portata, determinano situazioni in cui la scelta degli utenti finali è significativamente limitata nella pratica. A tal fine, la valutazione di accordi e pratiche commerciali dovrebbe, tra l’altro, tener conto delle rispettive posizioni di mercato di detti fornitori di servizi di accesso a Internet e dei fornitori di contenuti, applicazioni e servizi interessati. Le autorità nazionali di regolamentazione e altre autorità competenti dovrebbero essere tenute, nello svolgimento della loro funzione di monitoraggio e applicazione, a intervenire nel caso in cui accordi o pratiche commerciali potrebbero compromettere l’essenza dei diritti degli utenti finali.

Quindi, i provider possono fornire accesso gratuito ad alcuni siti o servizi, con il traffico dati che non incide sul piano traffico sottoscritto, in tal modo favorendoli rispetto ad altri concorrenti.

Altra questione è la definizione di “servizi specializzati” troppo vaga che si traduce in una scappatoia per i provider che potrebbero vendere “corsie preferenziali” ad alcuni fornitori di contenuti o servizi. Si tratta di una prioritizzazione del traffico che incide pesantemente sulla concorrenza, in quanto un servizio già consolidato (Google, Facebook, Apple, Netflix) può permettersi sicuramente di pagare di più rispetto a servizi concorrenti appena nati.

Un terzo problema è la possibilità per i provider di stabilire classi diverse di traffico per ottimizzarne la gestione non solo nei momenti di intasamento imminente della rete (definizione anche questa generica e foriera di abusi) ma in qualsiasi momento, giustificandone le differenze tecniche tra i dati. Tali rallentamenti, ovviamente, possono essere utilizzati per distorcere deliberatamente la concorrenza. Inoltre la stessa definizione di “congestione” della rete è generica e potrebbe essere utilizzata per vietare intere classi di traffico nascondendosi dietro giustificazioni tecniche per mascherare scelte essenzialmente commerciali.

Steve Sack - net neutrality
Steve Sack - net neutrality

Linee guida

La parola passa al BEREC che lancia una consultazione pubblica sull'attuazione delle regole di neutralità della rete (vale a dire le norme di cui agli articoli da 1 a 5 del Regolamento 2015/2120), nella quale si contano quasi 500mila interventi, molti dei quali veicolati attraverso la piattaforma SaveTheInternet.

savenetneutrality

L’Organismo dei regolatori delle telecomunicazioni non delude le attese, chiarendo che gli operatori non devono essere guidati nelle scelte di gestione della rete da considerazioni di carattere commerciale, cioè non devono discriminare servizi altrui per favorire i propri o quelli dei propri partner commerciali.

Le indicazioni del BEREC si appuntano sui modelli zero rating precisando che il rallentamento o blocco di uno o più servizi ad eccezione di un particolare servizio (quello zero rating appunto) è un’infrazione delle regole. Quindi anche al raggiungimento della soglia del traffico non è possibile dare un trattamento speciale ad un servizio rispetto agli altri.

44. A zero-rating offer where all applications are blocked (or slowed down) once the data cap is reached except for the zero-rated application(s) would infringe Article 3(3) first (and third) subparagraph (see paragraph 55).

Ai consumatori potrebbe piacere continuare ad utilizzare Facebook al raggiungimento della soglia dati, ma sul lungo periodo questo affosserebbe la concorrenza, perché realizza un incentivo economico all’uso del servizio zero rating riducendo nella pratica le scelte dell’utente.

Il BEREC precisa che occorre analizzare caso per caso, in particolare la posizione di mercato degli operatori e dei fornitori di servizi, per cui un leader del mercato più facilmente si vedrebbe contestare una violazione della concorrenza. Altri fattori da considerare sono gli effetti sulla libertà di espressione e il pluralismo dei media. In poche parole, il BEREC non ha vietato lo zero rating, ma ha fornito dei criteri di valutazione piuttosto stringenti lanciando la palla nel campo delle autorità di controllo (per l’Italia l’Agcom), che dovranno analizzare caso per caso se le offerte zero rating hanno un effetto sulla diversità dei contenuti e delle applicazioni o se finiscono per scoraggiare la concorrenza. Si tratta di un compito affatto semplice, che richederà un monitoraggio continuo. In tale prospettiva il BEREC pone molta enfasi sulla trasparenza e l’informazione da fornire agli utenti al momento della stipula dei contratti di accesso alla rete.

Per quanto riguarda i “servizi specializzati” la regolamentazione prevede che gli operatori possono dare un trattamento speciale a tali servizi quando è davvero necessario, se i servizi non sono un sostituto per i servizi regolari di Internet, e quando tale trattamento non determina un’esperienza peggiorativa per gli utenti. Il BEREC ha chiarito, quindi, che misure ragionevoli di gestione del traffico non possono basarsi su motivazioni commerciali ma solo sulle caratteristiche tecniche dei servizi che richiedono oggettivamente una qualità diversa. In base a tali regole, ad esempio, gli operatori non potranno bloccare o degradare il tethering dallo smartphone al computer di casa. Servizi specializzati potranno essere servizi di nicchia, come la chirurgia a distanza, e l’IPTV.

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Le aziende (qui la risposta di ETNO, principale associazione di settore) non hanno preso bene le indicazioni del BEREC, contestando che occorrono meno regole e più coraggio per sperimentare cose innovative. In un periodo in cui i margini degli operatori del settore si riducono, la loro idea era di sfruttare la gestione della rete per ricavare soldi da accordi con specifici partner. Secondo gli operatori delle telecomunicazioni la concorrenza aumenta quando possono discriminare tra servizi e contenuti. Ma è piuttosto evidente che fornire un servizio a costi minori o gratis non è vera innovazione, innovazione è fornire servizi migliori o diversi.

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La regolamentazione del BEREC è stata salutata con favore dagli attivisti dei diritti, ma qualche ombra rimane. Innanzitutto la necessità di valutazioni “caso per caso” apre indubitabilmente la strada a disparità di regolamentazione tra i vari paesi, e non dimentichiamo il fatto che la autorità nazionali che si occupano di telecomunicazioni si ritrovano un ambito di controllo decisamente allargato, dovendo effettuare valutazioni antitrust, compito che generalmente è affidato ad altri organismi di controllo.

In ogni caso il risultato non può non considerasi un successo, visto che le pressione delle aziende avevano instradato il Regolamento su una china decisamente pericolosa. E l’ottimo risultato si deve, ancora una volta, al controllo del processo di formazione delle norme attuato dai cittadini e dagli attivisti dei diritti. Adesso il compito passa alle autorità nazionali che dovranno tradurre in regole le norme, e controllare che gli operatori le rispettino.

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