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Intercettazioni, il governo vuole davvero mettere il bavaglio alla stampa?

23 Gennaio 2024 6 min lettura

Intercettazioni, il governo vuole davvero mettere il bavaglio alla stampa?

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Il governo vuole mettere il bavaglio alla stampa, minando la libertà che gli garantisce la Costituzione (art. 21)? La questione, sollevata a seguito delle nuove norme in tema di intercettazioni in corso di approvazione, è oltremodo importante. Pertanto, è necessario spiegarne gli elementi essenziali.

L’emendamento Costa

Il 20 dicembre scorso, la Camera dei deputati ha approvato in prima lettura il disegno di legge (ddl) di delegazione europea 2022-2023, che rappresenta uno degli strumenti legislativi che assicurano il periodico adeguamento all'ordinamento dell'Unione europea. 

Con un emendamento – di cui è primo firmatario Enrico Costa (Azione) - il Governo è stato delegato a modificare l'articolo 114, comma 2, del codice di procedura penale, prevedendo «il divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare». La delega intende «garantire l'integrale e compiuto adeguamento» alla direttiva (UE) 2016/343, sul rafforzamento di alcuni aspetti della «presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali», nonché di assicurare l'effettivo rispetto dell'articolo 27, comma 2, della Costituzione, secondo il quale non si può essere considerati colpevoli fino a una condanna definitiva.

L'articolo 114, comma 2, c.p.p. vieta attualmente «la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, fatta eccezione per l’ordinanza indicata dall’articolo 292», cioè quella di custodia cautelare. Nel nuovo testo si elimina la parte che prevede l’«eccezione» al divieto di pubblicazione per tale ordinanza, introdotta dalla cosiddetta riforma Orlando (decreto legislativo n. 216/2017). Viene quindi esclusa la conoscenza pubblica dell’ordinanza di custodia cautelare e dei relativi atti, come quelli che riportano intercettazioni telefoniche e ambientali, le quali destano particolare interesse negli organi di informazione.

Norme attuative della direttiva erano state già emanate nel 2021 (d.lgs. n. 188): tra le altre, il divieto per le autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole una persona sottoposta a indagini o un imputato; le modalità dei rapporti tra pubblico ministero e organi di informazione; il divieto, nei comunicati e nelle conferenze stampa, di assegnare ai procedimenti pendenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza.

Il disegno di legge Nordio sulla giustizia

C’è poi un’altra disposizione in tema di intercettazioni - contenuta nel ddl sulla giustizia del Guardasigilli, Carlo Nordio, in corso di approvazione - anch’essa oggetto di critiche.

La nuova norma modifica l’articolo 268 c.p.p., in materia di esecuzione delle intercettazioni, prevedendo che nei relativi verbali non siano riportate espressioni che consentano di identificare soggetti diversi dalle parti, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini. Insomma, nomi e riferimenti di persone estranee alle indagini stesse non dovrebbero finire negli atti giudiziari, a meno che non siano comunque utili nel contesto.

La disposizione vuole evitare che, una volta cessato il segreto investigativo e depositate le trascrizioni delle intercettazioni, nelle stesse compaiano riferimenti a individuii quali, pur non coinvolti, finiscano comunque sul palcoscenico mediatico. Ma questo è proprio ciò che lamentano gli organi di informazione: essere stati privati di notizie che, invece, al pubblico potrebbero interessare.

Le proteste

In un comunicato del 16 gennaio scorso, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI), le associazioni regionali di Stampa e i comitati di redazione hanno affermato che il divieto di pubblicazione delle ordinanze cautelari, integrali o per estratto, fino al termine dell’udienza preliminare «rappresenta l’ennesimo bavaglio all’informazione, oltre che uno squilibrio del nostro sistema giuridico e costituzionale». Il provvedimento – si precisa ancora nel comunicato - «va al di là delle disposizioni europee, viola l’articolo 21 della Costituzione e compromette l’autonomia dei giornalisti» e può essere definito come «censura di stato».

La FNSI già in passato aveva protestato per le citate norme del 2017 attuative della direttiva europea sulla presunzione di innocenza, ritenendole una stretta operata al diritto di cronaca, quindi alla libertà di espressione.

La base giuridica e la ratio della nuova disposizione

Alcuni dubbi potrebbero avanzarsi circa il fatto che la nuova disposizione sul divieto di pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare trovi base giuridica nella direttiva sulla presunzione di innocenza. 

La direttiva, tra le altre cose, obbliga gli Stati a predisporre norme interne che impediscano alle autorità di presentare pubblicamente gli indagati o gli imputati come colpevoli - vale la presunzione di innocenza fino a quando non «sia stata legalmente provata la colpevolezza» - e prevedano interventi e misure in caso di violazione.

Dunque, destinatari della direttiva sono le autorità pubbliche, non gli organi di informazione. Evidentemente, il legislatore nazionale ha reputato che essa non potesse non incidere anche sull’attività di questi ultimi, che rappresentano i canali attraverso i quali le decisioni dei magistrati sono comunicate al pubblico, e che non sempre offrono tale comunicazione in maniera rigorosa. Basti pensare agli stralci di intercettazioni contenuti in ordinanze di custodia cautelare, che sono spesso tradotti in “virgolettati” estrapolati ad hoc e pubblicati con clamore sui giornali. Ne discende una sorta di giudizio mediatico di colpevolezza, lesivo proprio di quella presunzione d’innocenza tutelata dalla direttiva.

Il bilanciamento tra libertà di stampa e diritti dell’indagato

Si potrebbe ancora sostenere che la «tutela della libertà di stampa e dei media» - richiamata dalla direttiva contestualmente all'importanza per le autorità pubbliche di «rispettare la presunzione di innocenza nel fornire o divulgare informazioni ai media» (considerando 19) - starebbe a indicare che detta libertà debba sempre prevalere rispetto ad altri diritti e libertà. Così non è.

È vero che la libertà di informazione prevista dalla Costituzione (art. 21) - intesa come diritto degli organi di stampa di informare e diritto del cittadino di essere informato - è uno dei cardini dell’ordinamento.  Ma, come affermato dalla Corte Costituzionale, «tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca» e «non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri» (sentenza n. 85/2013).

Dunque, anche la libertà di stampa va bilanciata con altre libertà e diritti, e talora il bilanciamento è operato dal legislatore. La nuova disposizione rappresenta il tentativo di stabilire per via normativa un equilibrio tra il diritto alla riservatezza dell’indagato e il diritto all’informazione della collettività.

Già nel Testo unico dei doveri del giornalista si prescrive a questi ultimi, ad esempio, di rispettare «sempre e comunque il diritto alla presunzione di non colpevolezza» fino alla sentenza definitiva, e di non citare, riportando il contenuto di qualunque atto processuale o d’indagine, «persone il cui ruolo non sia essenziale per la comprensione dei fatti». Tuttavia, il Testo unico è una raccolta di regole deontologiche, non una legge.

Il controllo pubblico

Con il divieto di pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare non si elimina propriamente il controllo della collettività sulle inchieste giudiziarie, ma lo si sposta al momento della conclusione delle indagini o dell’udienza preliminare. Il legislatore ha reputato che questo sia il punto di bilanciamento tra l’interesse pubblico alla conoscenza e quello degli indagati alla riservatezza. Punto che non cambia quando le indagini riguardino politici o amministratori pubblici. La loro qualifica non li rende meno meritevoli della tutela dal discredito pubblico che inevitabilmente discende dalla divulgazione del contenuto di ordinanze di custodia cautelare. Divulgazione alla quale usualmente segue una gogna mediatica, tanto più deprecabile in quanto riguardante fatti non accertati o giudizi morali su questioni personali nemmeno perseguibili.

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Esiste, a ogni modo, un elemento di estrema delicatezza. Le nuove disposizioni non impedirebbero comunque ai giornalisti di operare sintesi ampie ed esaustive delle inchieste in corso, senza virgolettati ripresi dalle ordinanze. Si potrebbe eccepire che anche le sintesi rischiano di nuocere alla reputazione di chi ne è oggetto – qualora la mediazione della stampa finisca per manipolare o distorcere il contenuto dell’ordinanza - e che quindi sarebbe meglio vietare pure quelle. Ma in questo modo si sacrificherebbe in toto il diritto all’informazione. Peraltro, i divieti di pubblicazione, già previsti dal citato art. 114, sono sanzionati con pene irrisorie (arresto fino a trenta giorni o ammenda da 51 a 258 euro, art. 684 c.p.), prive di reale efficacia deterrente.

Dunque, dopo la nuova norma, quando non saranno più possibili sensazionalistici virgolettati dell’ordinanza di custodia cautelare, gli organi di informazione si troveranno di fronte alla sfida di evitare altri sensazionalismi nell’esposizione del suo contenuto. Una sfida di professionalità, e non è poco.

Immagine in anteprima: frame video Antenna3 via YouTube

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