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Il caso #Irene: anatomia social-mediatica di un uragano

30 Agosto 2011 5 min lettura

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Il caso #Irene: anatomia social-mediatica di un uragano

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L’uragano Irene è stato sopravvalutato? Ma soprattutto, ha avuto una copertura mediatica sproporzionata rispetto alla portata dell’evento? Se lo chiedono in molti, negli ultimi giorni, su entrambe le sponde dell’Oceano Atlantico (QUI un “articolato” sondaggio dell’Huffington Post sull’argomento). 

Utilizzando come unità di misura un coefficiente elaborato ad hoc e denominato “News Unit”, il New York Times ha stabilito il grado di copertura mediatica degli uragani (e/o tempeste tropicali) abbattutisi sulla costa atlantica degli Usa dal 1980 a oggi. 
Ebbene, in questa particolare classifica Irene si piazza al decimo posto, smentendo in tal modo i critici che ne hanno denunciato la sovraesposizione mediatica.

Poi però il Nyt precisa che la maggior parte degli uragani nella top ten della “news coverage” - guidata dall’uragano Ivan che nel 2004 spazzò il Golfo del Messico e la costa meridionale degli Stati Uniti - avevano una forza superiore a quella di Irene (gli uragani sono classificati con una intensità crescente da 1 a 5 a seconda della velocità del vento). Inoltre, il quotidiano newyorkese precisa che per quanto riguarda Irene si è registrato un picco di “news coverage” concentrato nelle 72 ore del weekend. 

Non deve sorprendere inoltre il fatto che Katrina, il devastante uragano che nel 2005 provocò una catastrofe a New Orleans, sia solo al 14° posto della classifica, perché la misurazione tiene conto solo della copertura mediatica durante l’evento, non di quella successiva. E come noto, Katrina fu abbondantemente sottovalutato - non solo dai media ma anche e soprattutto dalle istituzioni - salvo poi manifestare davanti al mondo i suoi drammatici effetti (e l’inefficienza della macchina dei soccorsi, QUI un lungo documentario sulla vicenda). 
Ma torniamo a Irene. Il dibattito sull’argomento è acceso anche in Italia, specialmente in rete e sui social network. Limitandoci alle opinioni dei professionisti dell’informazione - visto che sul banco degli imputati ci sono proprio giornali, siti di news e televisioni - ecco i punti di vista opposti di due giornalisti che frequentano la rete da tempi non sospetti e conoscono bene i meccanismi dell’informazione. 
In un post del suo blog, Scene Digitali, Vittorio Zambardino difende i media sotto accusa e rovescia la questione sui cosiddetti “grilli parlanti” che criticano con il senno di poi: “Voi, che potreste essere direttori di giornali per un giorno, ma che adesso giudicate delle merde di regime quelli che hanno lanciato l’allarme, voi ve la prendereste la responsabilità di dire che non succederà nulla, che ci sarà solo un temporalone e che al massimo si allagheranno le cantine e che insomma restate a casa e bin pareil? Su venite fuori dalla vostra cattedra di grilli parlanti e ammettete onestamente il vostro “no”. 
Viceversa, Alessandro Gilioli, in un post sulla sua bacheca Facebook, scrive “faccio ancora fatica ad accettare quei meccanismi dell’informazione che rendono epocale un uragano poi declassificato in tempesta e quindi in semplice gavettone, giusto per il fatto che è passato su New York. Che se fosse stato su Dacca o Brazzaville, a stento una colonnina negli esteri, forse, ma neanche”. 
Ciascuno può essere d’accordo con l’una o l’altra tesi, ma forse è più interessante analizzare il ruolo dei cosiddetti media mainstream in un evento di tale portata nell’era dei social media, del citizen journalism e del cosiddetto “information overload” (sovraccarico di informazione). 
Si potrebbe partire da questa considerazione che Giuseppe Smorto, responsabile di Repubblica.it, ha postato su Facebook domenica mattina, proprio mentre la tempesta si avvicinava a Manhattan: “Cittadino viaggiatore che te la prendi con Alitalia per l'uragano Irene, hai letto un giornale o un sito, hai guardato un tg negli ultimi tre giorni?”. Una domanda retorica, dalla quale però ne consegue un’altra: troppa informazione uguale zero informazione? Non è che a furia di strillare, gonfiare, allarmare, poi l’effetto sui lettori-utenti è quello della perdita di credibilità, per cui chi deve partire per New York non crede che l’emergenza sia reale e si arrabbia se gli cancellano il volo? 
Il rischio, come sempre, è che la quantità di informazioni e la necessità di “stare sulla notizia” con il ritmo incessante dettato dai canali satellitari all-news e dai siti internet in continuo aggiornamento, vada a scapito della qualità. Lo sottolinea, con ironia, il caporedattore del Gazzettino.it Carlo Felice Dalla Pasqua in un post su Facebook: “Arriva #Irene e Sky ora annuncia "Come vedete, le strade di New York sono deserte". Ci credo, sono le 5 di mattina sull'East Coast...”. Anche perché la concorrenza, soprattutto in rete, si è fatta agguerrita, soprattutto sul piano della qualità. 
Ecco come un “giornalista” (in che altro modo definirlo?) ha utilizzato Scoop.it, un social media ancora in versione Beta, per aggregare e impaginare una serie di mappe interattive che informavano in tempo reale sugli sviluppi di Irene. O come la community di getsatisfaction ha creato un topic interattivo sull’argomento. Qui invece, grazie a instagram, c’è una narrazione per immagini denominata “instacane”. 
C’è poi il capitolo twitter, che meriterebbe un approfondimento a sè. Il socialnetwork dei cinguettii è diventato lo strumento principe per la narrazione degli eventi in diretta, tanto che un giornale come il Boston Globe ha installato dei grandi monitor al centro della redazione attraverso i quali seguire il flusso dei vari hashtag su twitter. 
Nel caso specifico, qualcuno ha addirittura pensato di dare voce all’uragano stesso, creando un account @irene che alternava tweet ironici a informazioni utili sull’evolversi della perturbazione. Anche tra i giornalisti “di professione” c’è chi ha voluto cimentarsi con il racconto in diretta dell’apocalisse (o presunta tale) a New York. Uno su tutti, l’ex direttore del Sole24Ore Gianni Riotta, che attraverso il suo account @riotta ha scelto di mettersi nello stesso punto di vista dei cosiddetti “citizen journalist”, affacciandosi alla finestra del suo studio su Central Park e raccontando ciò che vedeva e sentiva. Questo il suo tweet di congedo dopo 24 ore di aggiornamenti: “Ora speriamo Irene ci lasci pace non e' stato nice conoscerla (dicono tenga per il Chievo) torno a leggere Bernard Fall grazie a tutti voi”. Ognuno lo interpreti come vuole, QUI la blogger Galatea Vaglio ha ricostruito in maniera ironica la cronaca di Riotta e le sue emozioni. 
Qual è, se ce n’è una, la lezione che il weekend di Irene ci potrebbe dare? Che forse è il caso, nelle redazioni dei cosiddetti “media mainstream”, di aprirsi senza più remore alla cultura digitale, che tra l’altro può essere fonte di nuovi sbocchi professionali, come spiegato in questo post di thenextweb.

Andrea Iannuzzi - web editor quotidiani locali Gruppo Espresso
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