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Nardò, viaggio nella tendopoli dei braccianti che si ribellano alla schiavitù

28 Agosto 2011 4 min lettura

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Nardò, viaggio nella tendopoli dei braccianti che si ribellano alla schiavitù

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Nardò (Lecce) - Rosarno, la città calabrese nella quale a gennaio 2010 avvenne una delle prime ribellioni dei migranti, dista, da Nardò, centinaia di chilometri. Ma ieri sembravano confinanti e accomunate nella medesima istanza di “dare voce a chi, solitamente, non ha voce”. 

Da più di una settimana i migranti, giunti nel Salento come braccianti agricoli dalle altre regioni italiane, per raccogliere pomodori ed angurie, protestano, vivacemente, contro il caporalato ed il lavoro nero. Da queste parti, una cosa del genere, non si era mai vista.

La crisi economica ha colpito anche l'ambito dell'agricoltura, rendendo ancor più instabile e precario il mercato ortofrutticolo, già in difficoltà. 

Nonostante i salari per gli stagionali stranieri fossero già stati pattuiti, i “padroni” pretendevano non solo di corrispondere cifre irrisorie per ogni cassetta riempita (perché da queste parti il lavoro continua ad essere a cottimo), ma anche di trattenersi una percentuale per il “servizio navetta” che loro garantivano, ossia trasportare nei campi gli stessi migranti. I quali, esasperati, sono insorti. 
Con grande dignità e grande coraggio. Nell'agro della masseria Boncuri, da un paio d'anni, il Comune di Nardò ha realizzato un campo, dove oggi sono accolti quasi 400 migranti (un buon 60% sono tunisini, poi marocchini, egiziani, nigeriani e senegalesi) e dove operano (non riteniamo gratuitamente) le associazioni “Finis Terrae” (che è locale) e “Brigate di solidarietà attiva” (sulla quale si sa poco e niente). 
Gianluca Nigro, responsabile di “Finis Terrae”, da noi intervistato, sottolinea il carattere spontaneo della protesta dei braccianti stranieri che, consapevoli delle intimidazioni che avrebbero ricevuto, hanno denunciato coraggiosamente, per la salvaguardia dei loro diritti, le vessazioni che stavano subendo, patendo oggi la recrudescenza violenta dei gangster locali che gestiscono il servizio di raccolta dei pomodori e delle angurie, esacerbata dalla crisi economica che si è riflessa su tutto il mercato ortofrutticolo predeterminando condizioni ancora più difficili da tollerare. 
Proprio mentre si stava allestendo una piccola delegazione che si sarebbe dovuta recare a Lecce per un incontro con i vari soggetti istituzionali preposti ad accogliere le istanze dei braccianti, sono arrivati nella tendopoli gli assessori regionali al Welfare Elena Gentile e quello all'Agricoltura Dario Stefano. La prima evidenzia come, già nel 2006 con un primo bando, si cercò di contrastare la pratica dello sfruttamento (nelle campagne del foggiano) volendo, piuttosto, “dare accoglienza e favorire l'integrazione assicurando servizi per i lavoratori immigrati”. 
Attualmente la Regione sta predisponendo un nuovo bando, da 700 mila euro immediatamente erogabili, con l'auspicio che il Comune di Nardò, mediante Piano di zona e Accordo di programma, recepisca le criticità sociali in essere e possa lavorare per “dare vera ospitalità a questi migranti sottoposti a deplorevoli violazioni della dignità”.

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Sollecitata dal sottoscritto con una domanda sulla legge, varata dall'ex assessore Marco Barbieri e premiata dall'Unione Europea come “best practice”, sulla “qualità del lavoro” e sul “lavoro nero”, che sarebbe stata ridimensionata, l'assessore Gentile spiega come quel provvedimento doveva essere “rigenerato” alla luce della situazione attuale: “l'indice di congruità”, infatti, non può valere, vista le diverse specificità territoriali, “sia per Foggia sia per Lecce”; occorre piuttosto puntare “sulle liste di prenotazione” da stipulare sia con i sindacati sia con il mondo produttivo. E proprio quest'ultimo è stato il destinatario di un messaggio chiaro e netto: “Con la sola repressione questa battaglia non la vinciamo. 

Le piaghe del caporalato e del lavoro nero possono essere, infatti, debellate non solo con una precisa inversione culturale, ma anche con la collaborazione leale e responsabile delle associazioni dei produttori, che devono puntare sulla qualità del lavoro”.

“Il marchio Puglia può crescere nei mercati se colpiremo il malaffare. Abbiamo l'ambizione – dice l'assessore Stefano – di voler essere la Puglia del gusto, ma anche la Puglia dei diritti. La presenza non è di facciata, ma vogliamo continuare ad investire su questo modello di accoglienza, certamente da migliorare, ma la traccia del miglioramento (e del cambiamento) va realizzata con il mondo produttivo”. 

Con il precipuo scopo di capire ulteriormente e meglio quale fosse la situazione, ci siamo avvicinati, poi, ad alcuni migranti, e due tunisini ci hanno raccontato “la loro” verità che non prendiamo per assoluta, ma che pensiamo non sia stato corretto occultare e censurare come, invece, è avvenuto. 
Per essi esiste un giano bifronte: da un lato “il sistema delle associazioni” sembra che faccia affidamento sull'esasperazione dei migranti, spesso concausata da fattori cogenti quali le indegne condizioni di lavoro, affinché le loro rivendicazioni possano diventare strumento per ottenere una maggiore visibilità ed enfasi sugli organi di stampa; dall'altro lato la sperequazione morale di alcune frange delle forze dell'ordine che – raccontano sempre i migranti – conoscendo chi è clandestino e chi no, li minacciano di “non dare fastidio” se non vogliono essere sbattuti in un Cara, se non vogliono ricevere un Foglio di Via o se vogliono vedersi rinnovato il permesso di soggiorno. 
 Nel capolavoro di Carlo Levi, “Cristo si è fermato a Eboli”, si legge: “Il loro cuore è mite, e l'animo paziente. Secoli di rassegnazione pesano sulle loro schiene... Ma quando, dopo infinite sopportazioni, si tocca il fondo del loro essere, e si muove un senso elementare di giustizia e di difesa, allora la loro rivolta è senza limiti, e non può conoscere misura. È una rivolta disumana, che parte dalla morte e non conosce che la morte, dove la ferocia nasce dalla disperazione”. 
La nostra speranza è che possa essere trovata quanto prima una soluzione rispettosa per la dignità di questi ragazzi, affinché non solo sia escluso il pericolo di inutili ed ingiustificate violenze, ma anche che dopo le infinite vessazioni subite possano vivere, come loro desidererebbero, in condizioni di assoluta normalità.
Giuseppe Milano - Go Bari
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