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I furbetti delle frequenze tv

14 Dicembre 2011 9 min lettura

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I furbetti delle frequenze tv

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di Paolo Sinigaglia e Riccardo Vurchio 

@valigiablu - riproduzione consigliata

In questi giorni nel dibattito politico ha fatto capolino la questione del dividendo digitale, delle frequenze tv e del cosiddetto “beauty contest”. Una protesta trasversale di Pd, Idv, Fli, Sel e anche della Lega contro il “regalo” delle frequenze tv, contrapposta alle opinioni di Romani e Berlusconi.
Se ne è parlato sui giornali. Guido Scorza sul Fatto Quotidiano la considera un banco di prova per la credibilità del governo Monti. Sul Giornale il professore di diritto comparato Zeno-Zenchovich paragona la vicenda alla "favola della ricottina". Giovanni Valentini su Repubblica parla di "regalo da 16 miliardi", e Marianna Rizzini del Foglio replica con "il mistero bufala dei 16 miliardi delle frequenze tv". La risposta di Valentini non si è fatta attendere.
C’è stato spazio anche per le opinioni di alcune delle parti chiamate in causa: Confalonieri, Di Stefano e Ben Ammar. Ed in merito, il presidente dell’AGCOM Corrado Calabrò già aveva dichiarato ai primi di dicembre che era “troppo tardi per ripensarlo”. Ma come stanno le cose? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Cos’è il “dividendo digitale”


Con dividendo digitale si intende il gruppo di frequenze adoperate per la diffusione della TV terrestre analogica che saranno presto liberate (entro il 2012 in tutti i paesi europei) grazie al passaggio al digitale terrestre (DVB-T).
L’Unione europea, nell’ambito del piano Agenda digitale, ha preso la decisione di spingere verso l’utilizzo della banda ad 800 MHz per lo sviluppo di reti a banda larga senza fili, specialmente quelle di quarta generazione come WiMax o LTE (successore dell’UMTS). Queste scelte di fondo sono state ispirate dal Radio Spectrum Policy Group, un gruppo consultivo di esperti creato dalla Commissione europea nel 2002, da uno studio commissionato nel 2009 e da una fase di consultazione pubblica che si è tenuta da luglio a settembre del 2009. L’obiettivo rientra nel piano comune per lo spettro radioelettrico a livello comunitario, con la finalità di riorganizzare e sfruttare al meglio il dividendo digitale: la gestione dello spettro deve essere coordinata a livello comunitario per garantire l’interoperabilità e permettere la nascita di servizi innovativi a livello continentale.
Il valore dei servizi di comunicazione che dipendono dall'uso dello spettro supera i 250 miliardi di euro l'anno e si valuta un impulso economico pari a 44 miliardi di euro per la diffusione di nuovi servizi di comunicazione attraverso il dividendo digitale: in questo modo si risolverebbe anche l’annoso problema del “digital divide”, ovvero si garantirebbe l’obiettivo di fornire la banda larga ad alta velocità a tutti entro la fine del 2013.

Che succede nei paesi europei

Proprio su questo tema si sono mossi i nostri partner europei, dove queste frequenze sono andate all’asta per servizi 4G. La Germania ha concluso il processo il 20 maggio 2010 con un introito di 4,4 miliardi di euro, per 350 MHz di banda concessa; in Francia la fascia degli 800 MHz, destinata ai servizi mobili in banda larga, andrà a gara il 15 dicembre prossimo e si prevede di ricavare 1,8 miliardi, mentre un primo lotto di frequenze a 2,6 GHz ha fruttato 936 milioni di euro il 22 settembre scorso; in Spagna l’asta chiusa il 29 luglio ha reso complessivamente 1,8 miliardi per 270 MHz assegnati. Anche in Italia si è tenuta un’asta, il 30 settembre scorso, per 240 MHz di banda che ha fruttato 3,9 miliardi di euro e che gli operatori utilizzeranno per consolidare il 3G, implementare servizi 3.5G e in ultima battuta introdurre applicazioni 4G.


E in Italia?

L’UE afferma che “qualora tale banda non venga più utilizzata per i servizi televisivi, deve essere messa a disposizione (almeno per il 25%) per servizi di comunicazione elettronica”. Ecco quindi che da noi si è pensato di applicare la prima parte del concetto e si è deciso che le frequenze liberate siano in gran parte ridistribuite agli operatori televisivi già esistenti: nella fattispecie, però, si tratta di un “regalo” in piena regola. Vale la pena di ricordare che il nostro paese ha già vissuto almeno due fasi di assegnazione non regolata delle frequenze: la prima quando le TV e le radio private occuparono letteralmente lo spettro senza alcuna regolamentazione nazionale, la seconda con il passaggio dall’analogico al digitale, in cui si decise di assegnare i diritti d’uso alle imprese già esistenti, seguendo il criterio “uno–a–uno” (ad una rete analogica corrisponde un multiplex digitale), con la giustificazione dell’introduzione di una nuova tecnologia rischiosa. Fatto che ha comportato una procedura d’infrazione comunitaria aperta nel 2007 dal commissario europeo per la concorrenza Neelie Kroes e sospesa solo all’atto della delibera 181/09/CONS dell’AGCOM, in cui si stabilì di assegnare attraverso un “beauty contest” 5 multiplex per DVB-T + 1 multiplex per DVB-H.

Cos’è un beauty contest?

Questo concetto nasce nel 1936, ed è John Maynard Keynes a teorizzarlo. L’intento dell’economista inglese era di provare a spiegare la fluttuazione dei prezzi in Borsa. L’intuizione scaturì dai concorsi che all’epoca erano molto popolari in Gran Bretagna: i giornali pubblicavano 100 ritratti ed i lettori erano chiamati a scegliere i sei che più apprezzavano. Chi sceglieva il ritratto più popolare, aveva la possibilità di partecipare all’estrazione di un premio.

«It is not a case of choosing those [faces] that, to the best of one’s judgment, are really the prettiest, nor even those that average opinion genuinely thinks the prettiest. We have reached the third degree where we devote our intelligences to anticipating what average opinion expects the average opinion to be. And there are some, I believe, who practice the fourth, fifth and higher degrees.»

In questo estratto della General Theory of Interest Employment and Money, Keynes spiega che i partecipanti cercavano di anticipare le scelte degli altri lettori, più che esprimere le loro reali preferenze. Nella teoria, il beauty contest è una procedura comparativa che ha la finalità di allocare le risorse in modo efficiente. Di fatti si pone tra l’asta, in cui il bene viene venduto al miglior offerente, e la licitazione privata, “un’asta” in cui i soggetti che partecipano sono appositamente invitati. Il beauty contest è aperto a tutti, ma le trattative sono riservate solo a coloro che possiedono determinati requisiti. Infatti il beauty contest può implicare dei gradi di discrezionalità molto ampi da parte della commissione che si occupa di decidere le modalità della gara.

Qual è il problema?

Il beauty contest non è una novità per l'Italia. Si è già ricorso all’utilizzo di questo metodo nel 2000, per la selezione dei partecipanti all’asta di assegnazione delle frequenze UMTS. Ma perché in questo caso non sarebbe opportuno utilizzarlo? Tre sono le ragioni: 


1) l’attuale situazione del mercato televisivo italiano, dove emerge forte il duopolio RAI-RTI Mediaset. Per comprendere le dimensioni di ciò di cui stiamo parlando, basta citare questo estratto dall’indagine conoscitiva sul settore televisivo: la raccolta pubblicitaria (IC23) dell’Antitrust:

«RAI e Fininvest dispongono di una struttura verticalmente integrata e detengono congiuntamente una quota pari all’80-90% dei principali mercati che compongono la filiera del settore televisivo italiano.» [pag. 57]

I dati di questa indagine si riferiscono al 2003, ma molto poco è cambiato negli equilibri del settore televisivo. Conseguentemente: 


2) vere e proprie barriere all’entrata. Questo beauty contest, negli intenti iniziali, avrebbe dovuto favorire l’ingresso di nuovi operatori, come sarebbe stato auspicabile. Invece, il concorso è riservato ad operatori televisivi italiani verticalmente integrati. Tradotto significa che possono partecipare solo operatori con forte presenza sul mercato nazionale ed in grado di svolgere sia il ruolo di operatori di rete, sia quello di fornitori di contenuti. Questo criterio esclude gli operatori di rete ed i fornitori di contenuti puri, restringendo il campo ai players già presenti, e fortemente consolidati, ovvero RAI e RTI-Mediaset. Tale criterio, tra l’altro, potrebbe non essere in linea con i principi del diritto comunitario delle comunicazioni elettroniche (che prevede la neutralità delle tecnologie e l’armonizzazione delle regole per la concorrenza).
Infine: 

3) discutibili scelte “tecniche”, spiegate efficacemente su lavoce.info:

«A peggiorare lo scenario sono poi intervenute le scelte “tecniche” del ministero che ha assegnato le frequenze di tutti i canali dal 61 al 69 alle emittenti locali in ogni Regione del Nord, per poi decidere, pochi giorni dopo, che le stesse frequenze appena assegnate dovevano essere “espropriate” a pagamento ai neo-assegnatari e messe ad asta per gli operatori mobili. Tutto questo, oltre ad aumentare le difficoltà di liberazione della banda dell’asta Lte, ha provocato un aumento dell’interferenza e diminuito la qualità di tutte le frequenze del “beauty contest”, tranne due: i canali 55 e 58. Sfortunatamente, il ministero ha deciso di assegnare i due canali al Lotto B, destinato a Mediaset, Rai e Telecom e precluso a Sky. Quest’ultimo operatore peraltro si è ritirato dal “concorso” a causa delle lungaggini burocratiche, eliminando di fatto dall’assegnazione l’unico vero entrante.»

Opportunità mancate

Secondo Carlo Cambi, Antonio Sassano e Tommaso Valletti, autori de Un dividendo difficile da incassare, i 304 MHz che l’Authority riserva e concede semi gratuitamente a 38 emittenti nazionali e locali potrebbero avere un valore di 12 miliardi di euro, se collocati in un’asta per telefonia mobile. Questa stima si basa su una valutazione molto conservativa, ad un prezzo di circa 40 milioni per MHz. Ma alla luce dei risultati dell’asta di settembre per le frequenze 4G, dove la stessa tipologia è stata valutata ad un prezzo di 50 milioni per MHz, si può tranquillamente ipotizzare una stima di oltre 15 miliardi di euro. Questo stesso metro si può applicare alle frequenze oggetto del beauty contest, da cui si potrebbero ricavare 2,4 miliardi. Nello stesso articolo, si sottolineavano le condizioni estremamente vantaggiose per i canoni d’uso delle frequenze. La delibera dell’AGCOM 613/06/CONS stabilisce che i titolari di concessione radiotelevisive pubbliche e private sono tenuti al pagamento di un canone annuo corrispondente all’1% del fatturato. Per le emittenti televisive locali, vale questo stesso criterio, ma con un limite massimo di € 17.776. Seppur non direttamente confrontabili con le procedure utilizzate in altre nazioni, sono canoni risibili in relazione all’importanza del bene in oggetto.

Al di là della questione economica e della possibilità di ricavare risorse che in questo momento sarebbero di enorme utilità per le casse dello Stato, vanno evidenziate le prospettive delle comunicazioni mobili a livello mondiale: all’ultimo Mobile World Congress, il CEO di Ericsson, Hans Vestbe, ha citato alcune previsioni: entro il 2015 il numero di abbonamenti alle reti Mobile sarà di 8 miliardi (attualmente sono 5). Non ci si ferma qua: le ricerche condotte da Ericsson attestano che per ogni 1.000 nuove connessioni in banda larga si potrebbero creare 80 nuovi posti di lavoro, così come ogni aumento del 10% nel traffico veicolato tramite banda larga potrebbe corrispondere ad una crescita dell’1% del PIL di una nazione. Il numero di utenti di banda larga mobile nel mondo è oggi di 1,8 miliardi, ma secondo queste ricerche si assisterà ad una crescita senza precedenti che ci porterà a sfondare i 5 miliardi entro il 2016.

Lo spettro è strategico per il futuro

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Si impone quindi una riflessione di più ampio respiro, che tocca uno i punti chiave dello sviluppo economico del paese nel medio-lungo termine. Lo spettro, cioè l’insieme delle frequenze destinate alle telecomunicazioni, è una risorsa limitata che, in base agli attuali sviluppi delle Information & Communication Technologies, sta assumendo un valore sempre più importante. Purtroppo in Italia abbiamo deciso di spezzettare il dividendo digitale in 3 parti: una parte è stata ceduta gratuitamente alle imprese televisive nazionali e locali già operanti “in quantità non giustificate né dalla conversione dei canali analogici esistenti (lo switch off) né dai potenziali di domanda”, una parte è stata ceduta alle aziende di telecomunicazioni tramite asta e l’ultima parte sarà assegnata ad imprese televisive nazionali attraverso una procedura comparativa che, così come è stata concepita, premia gli operatori consolidati. Sempre secondo lavoce.info:

«È comprensibile che gli operatori tradizionali vogliano preservare lo status quo e conservare le proprie rendite di posizione, è imbarazzante verificare che ciò sia rafforzato dal diritto e deludente che trovi il consenso di Autorità indipendenti e garanti del mercato unico e della concorrenza.»

Una visione meno miope avrebbe cercato soluzioni diverse, evitando di favorire i soliti noti e investendo invece sui nuovi servizi di telecomunicazione 4G, che proprio in Italia potrebbero avere un interessante substrato per svilupparsi e creare posti di lavoro.
Purtroppo, non vedremo tanto presto servizi innovativi come video in mobilità in tempo reale, videogiochi online in mobilità, applicazioni mobili basate sulla tecnologia cloud, navigatori con realtà aumentata, telemedicina, sistemi di emergenza mobili più efficaci e tanto altro...

L’articolo è pubblicato congiuntamente con Lo Spazio della Politica

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