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Il femminicidio di Carol Maltesi e la giustizia riparativa

3 Ottobre 2023 8 min lettura

Il femminicidio di Carol Maltesi e la giustizia riparativa

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L’11 gennaio 2022, Carol Maltesi fu brutalmente assassinata da Davide Fontana, che confessò il femminicidio. L’uomo, condannato in primo grado a trent'anni di reclusione nel giugno 2023, ha poi chiesto di poter "riparare in concreto alla gravissima condotta posta in essere", cioè "di seguire programmi" e fare "qualsiasi cosa (…) verso i parenti di Carol e anche verso altre associazioni". La Corte di assise di Busto Arsizio, con un’ordinanza del 19 settembre scorso, lo ha ammesso a un percorso di giustizia riparativa.

Ciò ha provocato forti reazioni negative da parte dei familiari di Carol Maltesi (e non soltanto), che si sono detti offesi da “una giustizia che ammette un assassino reo confesso, che ha ucciso, fatto a pezzi ed eviscerato una ragazza, di accedere ad un percorso simile”. Per comprendere la vicenda, è necessario chiarire in cosa consista la giustizia riparativa e svolgere alcune considerazioni relative al caso concreto.

La normativa

Sebbene nel nostro ordinamento fossero già presenti “riferimenti a istituti dal sapore riparativo”, una disciplina organica della giustizia riparativa è stata prevista dalla riforma operata da Marta Cartabia, ministra della Giustizia del governo di Mario Draghi (legge delega n. 134/2021), e poi dettagliata dalla normativa di attuazione (articoli da 42 a 67 del d.lgs. 150/2022). La disciplina si conforma a quanto disposto dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio (2012/29/EU), che prevede che gli Stati adottino misure per assicurare alla vittima un accesso a servizi di giustizia riparativa sicuri e competenti, per proteggerla dalla vittimizzazione secondaria e ripetuta o da eventuali intimidazioni, ritorsioni, manipolazioni. La  direttiva prevede inoltre che l’esito positivo di una mediazione possa essere valutato favorevolmente per l’autore del reato sia nel procedimento penale sia in fase esecutiva della pena; che quello negativo non abbia per lui effetti pregiudizievoli.

Ai sensi del decreto attuativo, per giustizia riparativa si intende (art.42):

ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore. 

I programmi "tendono a promuovere il riconoscimento della vittima del reato, la responsabilizzazione della persona indicata come autore dell'offesa e la ricostituzione dei legami con la comunità", dice la legge. Dunque, l’obiettivo è quello di ricucire lo strappo che il reato ha determinato tra vittima, reo e comunità. L’esito riparatorio può essere simbolico, vale a dire "dichiarazioni o scuse formali, impegni comportamentali anche pubblici o rivolti alla comunità, accordi relativi alla frequentazione di persone o luoghi"; oppure materiale, come «il risarcimento del danno, le restituzioni, l’adoperarsi per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato o evitare che lo stesso sia portato a conseguenze ulteriori" (art. 56).

I programmi in cui si concreta l’istituto trovano attuazione presso i Centri per la giustizia riparativa, cui competono le relative attività di organizzazione, gestione, erogazione e svolgimento (art. 42). Presso ogni Corte d’appello è istituita la Conferenza locale per la giustizia riparativa a cui partecipano, tra gli altri, il ministero della Giustizia, le Regioni, le Province, le Città metropolitane, (art. 61), cui spetta individuare, mediante protocolli d’intesa, l’istituzione e la gestione dei Centri per la giustizia riparativa (art. 63). C’è poi la Conferenza nazionale per la giustizia riparativa, attraverso cui il ministero della Giustizia provvede al coordinamento nazionale dei relativi servizi, attraverso la programmazione delle risorse, la proposta dei livelli essenziali delle prestazioni e il monitoraggio dei servizi erogati (art. 61).

Si può accedere al programma riparativo per qualsiasi reato, a prescindere dalla sua gravità, e la richiesta può essere presentata in ogni stato e grado del procedimento, nella fase esecutiva della pena o della misura di sicurezza, dopo l’esecuzione delle stesse e all’esito di una sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere (art. 42). Il giudice è chiamato a decidere i casi da trasmettere ai Centri per la giustizia riparativa, previa richiesta dell’imputato o della vittima, oppure d’ufficio. La decisione si fonda sull’esame della possibilità che il programma possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti (art. 7). Quindi, il giudice dispone la proposta di invio a uno Centri previsti dalla legge; i mediatori specializzati valuteranno poi se il programma sia realizzabile e, in caso positivo, quale contenuto debba avere. Le parti vi partecipano solo con il loro consenso libero, consapevole, informato ed espresso in forma scritta (art. 48).

Al termine viene trasmessa al giudice una relazione, redatta dal mediatore, contenente la descrizione delle attività svolte e dell’esito riparativo raggiunto oppure la mancata effettuazione del programma, l’interruzione dello stesso o il mancato raggiungimento dell’esito. In questi ultimi casi, non si producono effetti sfavorevoli per l’imputato. Se, invece, il programma si conclude con la riparazione, il giudice la valuta, tra le altre cose, come circostanza attenuante, cioè ai fini di una diminuzione di pena; come remissione tacita di querela; come evento rilevante ai fini della sospensione condizionale della pena per il termine di un anno.

Giustizia punitiva e giustizia riparativa

La giustizia riparativa capovolge totalmente il paradigma di quella tradizionale, cioè punitiva. Innanzitutto, quest’ultima si basa su sanzioni, cioè su misure coercitive, che hanno un contenuto afflittivo. Basti pensare alla privazione della libertà personale. Nella giustizia riparativa, invece, manca ogni connotazione coercitiva: la partecipazione al percorso e l’assunzione di impegni durante il suo svolgimento si basano su un’adesione volontaria e consensuale, e il fallimento del percorso stesso non comporta conseguenze negative per il reo. Inoltre, tale forma di giustizia supera lo schema della corrispettività tra reato e pena, valorizzando invece le istanze di riconoscimento identitario della vittima e di ricostituzione della sua dignità.

Ancora, nella giustizia punitiva il protagonista è lo Stato. Quella riparativa, invece, attribuisce centralità alla vittima, unitamente ai suoi familiari e ad altri interessati, in quanto si basa sul presupposto che ogni reato causi una frattura di tipo relazionale e sociale tra chi ne è autore e tali soggetti, ed è finalizzata a sanare questa frattura attraverso un percorso che ripristini i legami lacerati e ripari l’offesa nella sua dimensione globale, quindi anche sotto il profilo emozionale.

Ma il programma può svolgersi anche con la vittima di un reato diverso da quello per cui si procede, la cosiddetta vittima aspecifica o surrogata (art. 53). In altre parole, se la vittima reale non voglia ripristinare alcun legame leso dal reato, basta che una vittima diversa dia la propria disponibilità a prendere il suo posto. Nella pratica, ciò significa che in alcune ipotesi la giustizia riparativa può prescindere completamente dal dialogo con chi abbia subito l’offesa, ed eventualmente anche con i suoi familiari. In questi casi si pongono alcuni interrogativi.

Ci si è chiesto, infatti, se si sia ancora nel campo della giustizia riparativa qualora la vittima diretta non accetti di partecipare al programma. In quest’ipotesi, l’ammissione a tale forma di giustizia darebbe centralità al reo, e ciò sarebbe in contrasto con la filosofia riparativa, la quale invece – come detto - tende a valorizzare l’individuo offeso, unitamente alla sua esigenza del riconoscimento dell’offesa. Ci si è chiesti, inoltre, se sia corretto che qualcuno abbia il diritto a riconciliarsi – o, semplicemente, a incontrarsi – in nome della vittima e per i danni emozionali, relazionali, sociali a lei inferti, senza il consenso della vittima stessa alla sua surrogazione da parte di un terzo nello svolgimento del programma. In altre parole, può essere considerato riparativo ciò che non è stato riparato, se non unilateralmente?

Il caso Maltesi

Queste domande pesano molto con riguardo all’ammissione di Davide Fontana alla giustizia riparativa per l’omicidio di Carol Maltesi, data la contrarietà espressa dai familiari della donna uccisa.

Innanzitutto, va chiarito che la Corte d’assise di Busto Arsizio non ha dato inizio al programma, ma – come si legge nell’ordinanza - ha disposto l’invio del caso al Centro per la giustizia riparativa competente, ai fini della “valutazione della fattibilità in concreto di un programma anche con vittima cd. aspecifica”. Programma che potrà anche essere non intrapreso qualora gli operatori del centro reputino che non ve ne siano le condizioni. Potrebbe essere appurato, ad esempio, che l’adesione del reo sia meramente utilitaristica, cioè finalizzata a ottenere i benefici previsti dalla legge. La professionalità richiesta ai mediatori serve, tra le altre cose, a smascherare sia prima dell’avvio del programma sia durante il suo svolgimento l’eventuale assenza di autenticità nelle intenzioni espresse dal soggetto coinvolto. Mentre ex post la strumentalizzazione dell’istituto potrebbe essere verificata in concreto mediante meccanismi di accertamento dei suoi impatti, ad esempio sui livelli di recidiva.

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Soprattutto, l’avvio del percorso stesso “prescinde dal consenso di tutte le parti interessate”, come afferma pure la Corte d’assise in conformità alla legge. Inoltre, aggiungono i giudici, “nel caso concreto, lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa – laddove ritenuto esperibile dai mediatori anche con “vittima cd. aspecifica” – può comunque essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede”, dato che la ratio dell’istituto è quella di “ricomporre la frattura che il fatto illecito crea non solo tra autore e vittima del reato, ma anche all’interno del contesto sociale di riferimento”. Tale istituto, infatti, ha pure lo scopo di “far maturare un clima di sicurezza sociale, sicché la volontà del legislatore è indubbiamente di incentivare il ricorso a detto strumento, come chiaramente emerge dall’art. 43, comma 4, d.lgs. 150/2022, secondo cui l’accesso ai programmi di giustizia riparativa è sempre favorito”.

Per questo motivo, in base al decreto attuativo della riforma Cartabia (art. 45), possono partecipare ai programmi di giustizia riparativa non solo la vittima del reato e l’autore dell'offesa, ma anche “altri soggetti appartenenti alla comunità, quali familiari della vittima del reato e della persona indicata come autore dell'offesa, persone di supporto (…), enti ed associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato, rappresentanti o delegati di Stato, Regioni, enti locali o di altri enti pubblici, autorità di pubblica sicurezza, servizi sociali”, nonché “chiunque altro vi abbia interesse”. Ciò significa che, se pure la protagonista è la vittima, contano anche coloro i quali possono contribuire a sanare il conflitto generato nel tessuto sociale in seguito alla commissione del reato.In conclusione, al di là dei dubbi relativi al caso in cui la vittima – o, come nel caso di specie, la sua famiglia - non intenda partecipare ai programmi, l’introduzione nell’ordinamento di una risposta a illeciti penali che abbia natura non solo punitivo-retributiva, come nella giustizia tradizionale, ma anche riparativo-restituiva di quell’ordine sociale che la commissione del delitto ha violato, come nella giustizia riparativa, costituisce una apprezzabile novità culturale. Ciò specie in un momento in cui il ricorso più che frequente all’aumento dei reati e delle pene sembra essere l’unica reazione di cui lo Stato è capace.

Immagine in anteprima via La via Libera

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