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ET TERRA MOTA EST: il mio viaggio dentro il vero miracolo dell’ Aquila: gli aquilani! (Osservatorio di confine-BLOG)

12 Agosto 2010 7 min lettura

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ET TERRA MOTA EST: il mio viaggio dentro il vero miracolo dell’ Aquila: gli aquilani! (Osservatorio di confine-BLOG)

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Sapevo delle ferite inferte dal terremoto ed ero, purtroppo, certa di trovare una città e un territorio devastati. Riuscivo a immaginare lo sgomento e la tristezza negli occhi della gente…. ma non ero pronta al silenzio, al buio, al vento che regna incontrastato fra i vicoli, al rumore sordo dei miei passi, all’eco delle parole dei rari passanti, ai guaiti dei cani randagi, alla struggente nostalgia di Carlo, che ritorna tutti i giorni per sedersi sulla fontana di Piazza Duomo, e mentre mi parla della sua bella casa distrutta e del ristorante che ha dovuto riaprire in periferia, si guarda attorno smarrito, attende che riaffiori la propria anima, assiste impotente all’ agonia della sua amata città, rassegnato all’immobilità! L’Aquila è morta . Il corso è stato riaperto è vero, le transenne sono state tolte, vi si può passeggiare, persino prendere un caffè nei pochi bar che hanno avuto l’ardire di riaprire e che sembrano delle oasi in quel deserto, ma non è sufficente a placare l’angoscia che si prova vagando per la città, sopratutto di sera. Quel che appare è inquietante, spettrale. Nessun palazzo è agibile, sebbene siano stati messi in sicurezza; i puntellamenti e i ponteggi che rivestono i palazzi, malcelano l’antica bellezza e le recenti ferite. L’Aquila è ora una bellissima vecchia ragazza vestita di cenci, ammalata e ferita mortalmente di cui nessuno vuole più prendersi cura. i palazzi del centro rivestiti ” Marcegaglia” Possiamo chiamarlo diario di viaggio?… Non lo so, di certo c’è che questo era un viaggio che desideravo compiere da tempo, un viaggio che mi ha permesso di ricomporre un puzzle, fatto di video e foto, articoli e reportage, documenti, inchieste, ma sopratutto di racconti di persone, amici virtuali e non. Avevo bisogno di mettere ordine nelle informazioni che avevo accumulato nel tempo, ripercorrere le mie sensazioni, le mie emozioni e dare loro una sequenza logica, e perchè no anche geografica! Ma cominciamo dall’inizio…

Ho seguito da subito la tragedia che ha colpito gli Aquilani, dapprima con la solidarietà e l’empatia che qualunque essere umano prova in circostanze del genere, e poi piano piano con l’attenzione e la preoccupazione della cittadina. Mi è stato chiaro fin da subito che la gestione dell’ emergenza aveva qualcosa di “innovativo” che una sorta di esperimento sociale era stato messo in atto. Quale cavia migliore di un popolazione inerme devastata dal dolore? La protezione civile interviene tempestivamente e gestisce la fase dei soccorsi con efficenza, supportata anche da migliaia di volontari resisi disponibili con generosità e passione civile fin dalle prime ore. Ma con il passare dei giorni si intravede una linea di gestione che permette, in deroga a leggi e regolamenti, di commissariare di fatto gli enti locali, sospendendo i diritti civili dei terremotati.

I campi sono blindati: le tendopoli sono presidiate da funzionari della digos e della polizia. E’ proibito introdurre volantini e macchine fotografiche; vietato importare ed esportare informazione e democrazia. Si vigila attentamente affinchè tra le maglie delle reti dei campi non filtri un filo di libertà , di partecipazione. C’è un presidio permanente della Rai, ma a parte le passerelle governative non trasmette nulla di quel che sta succedendo. Al paese viene raccontata solo la verità istitruzionale. La popolazione, con il decreto 39 viene espropriata di ogni potere decisionale; sia per quanto riguarda la fase dell’emergenza (impossibile l’ autogestione nei campi della protezione civile e per i disubbidienti blocco degli aiuti da parte della stessa), sia per quanto riguarda quella della ricostruzione per la quale il decreto, invece di privilegiare i lavoratori del posto, dà il via ad una giungla di subappalti ad imprese provenienti da altre zone d’Italia. Così succede, ad esempio, che i prodotti locali dell’agricoltura e dell’allevamento vengono “cortesemente” rifiutati dalla protezione civile a favore dei prodotti della grande distribuzione, (notoriamente più genuini e sicuri ), contribuendo ad affossare ancor di più l’economia locale. Il tempo nei campi viene scandito dall’ ozio forzato, dalle esigenze di profitto dell’emergenza e non da quelle della ricostruzione del tessuto sociale; e così con la convivenza forzata, la perdita totale dell’identità collettiva e di qualsiasi intimità, agli aquilani, dal 6 aprile, viene tolto il diritto all’autogoverno; vengono praticamente aboliti i diritti civili in nome dell’assistenzialismo, “l’esperimento sociale” ha successo e l’autodeterminazione di un popolo viene barattata con la proverbiale efficenza della macchina organizzativa, garantendo così al “governo del fare” gratitudine e consenso. Tutto è soffocato dalla burocratizzazione e tutto viene demandato al di DI.COMA.C.(DIrezione di COMAndo e Controllo, l’organo di Coordinamento Nazionale delle strutture di Protezione Civile) qualsiasi atto, qualsiasi domanda diviene un percorso ad ostacoli, un odissea per la gente stremata, in tanti hanno perso il lavoro e sono costretti ad emigrare, gli ammalati spediti fuori dall’abruzzo, gli anziani, soprattutto ma non solo, sulla costa negli alberghi, le comunità disgregate, le famiglie smembrate, il tessuto sociale distrutto.

E poi arriva il G8, che invade militarmente la città, sottraendo preziose risorse economiche (circa 90 milioni di denaro pubblico), occupando la caserma “V. Giudice” che potrebbe accogliere da subito 25.000 sfollati. L’evento viene spostato in tempi record dalla Maddalena all’ Aquila per una mera questione di visibilità e di propaganda governativa, e a questo punto, il diritto alla salute, alla casa, al lavoro, alla mobilità e alla sicurezza dei terremotati passa in secondo piano rispetto ai privilegi dei potenti della terra e del governo.

Il resto della storia è nota ai più...La costruzione e la consegna degli alloggi del progetto C.A.S.E. viene spacciata per RIcostruzione, in seguito (ricordate la solenne promessa in autunno tutti avranno una casa?) chiuse le tendopoli senza aver per questo di fatto sistemato tutti gli sfollati; e quando la Protezione Civile se ne va rimettendo nelle mani degli enti locali tutte le competenze lo fa con una marcia trionfale lasciando dietro di se alcune new town, un territorio devastato, insieme a tutte le sue macerie e un’economia collassata, oltre a svariati milioni di debiti frutto delle scelte di gestione dell’emergenza (le rette degli sfollati negli alberghi, i contributi per chi ha scelto l’autonoma sistemazione, aziende e ditte che hanno anticipato materiali ed eseguito lavori mai pagati ecc. ecc.)

L’ Italia si dimentica dell’ Aquila; gli italiani, passata l’onda emotiva, sono rassicurati e convinti da una pressante campagna mediatica che il miracolo sia stato compiuto. Finiscono le passerelle politiche, le parate e le comparsate. Ma gli aquilani non sono un popolo di accattoni, non ci stanno a passare per ingrati, vogliono solo quello che gli spetta; il lavoro e la terra per ricominciare, per ricostruire le case, per ritornare a vivere con dignità, come hanno sempre fatto. Nascono comitati, collettivi, associazioni che tentano in tutti i modi di dialogare e di collaborare con le istituzioni, mettendo a disposizione competenze ed esperienze. Nasce il presidio permanente in piazza Duomo. Nelle assemblee cittadine si discute, si propone si decide, si delibera; si rivendica il diritto/dovere di partecipare al proprio presente e ad essere protagonisti del futuro.
Quando il cosidetto popolo delle carriole viola la zona rossa si riaccendono i riflettori; domenica dopo domenica centinaia di cittadini si incontrano, lavorano, spostano macerie e le catalogano, ma sopratutto discutono del futuro della città, squarciando un velo che ricopriva di menzogne la vera condizione del centro storico abbandonato a se stesso, sfatando il mito del “ Miracolo Aquilano”. Nel frattempo governo, provincia, comuni enti locali, commissari e vice commissari si rimpallano le responsabilità; promesse, accuse reciproche, dichiarazione d’intenti, parziali ammissioni… smentite… in poche parole NON ci sono i soldi per la ricostruzione. La rabbia e il dolore riaffiorano, non possono dimenticare le risate degli imprenditore che la notte del 6 aprile intravedevano enormi opportunità di guadagno e il 16 giugno scendono in piazza, capeggiati da sindaci e rappresentanti delle istituzioni locali 20.000 aquilani ma vengono puntualmente ignorati dai media e dai giornali che preferiscono occuparsi delle proprietà nutritive della Nutella. “Forti e gentili, fessi no! si legge su uno striscione e sulle magliette dei manifestanti che decidono di portare le loro rimostranze direttamente a Roma. In 5.000 si presentano ma vengono accolti a manganellate e per giorni si parla dei presunti “scontri” dimenticando le richieste legittime degli aquilani : una legge speciale che garantisca un flusso costante e sicuro di fondi per la ricostruzione, l’istituzione di una tassa di scopo per finanziare la ricostruzione e la sospensione delle tasse.

Nella settimana in cui sono stata all’ Aquila, squisitamente ospitata da un amica, ho camminato per il centro storico, per i borghi del cratere, ho sfiorato chilometri di transenne, ho accarezzato con lo sguardo le case abbandonate, le macerie fino a rendermele familiari, scontate. Ho conosciuto persone con cui avevo avuto solo contatti virtuali, ho parlato con tante altre di cui non sapevo l’esistenza, ho colto frammenti di conversazioni il cui principale argomento è tragicamente ricorrente, ho sopratutto ascoltato tante storie, ho raccolto decine di testimonianze di speranza ma anche di lucida rassegnazione, ho visto un popolo dignitoso, forte e gentile che fatica a ritornare a vivere, a sognare, al limite della sopportazione e tutti , indistintamente, mi hanno chiesto un’unica cosa : non lasciateci soli!!

Ho avuto la fortuna di partecipare alla notte bianca organizzata, finanziata, e gestita interamente dal basso, dall’ assemblea cittadina di Piazza Duomo. Il 31 luglio, la città si è magicamente riempita di migliaia di persone, centinaia di artisti hanno animato la notte. Finalmente luci e rumore, musica e canti, rapresentazioni di gioia e di dolore, il vociare dei bambini, l’apparente allegria e spensieratezza degli adulti per la prima festa dopo il 6 aprile. E allora… in mezzo a quella marea composta e variopinta di persone ho riflettuto sul senso più profondo di quella magica notte. Tante piccole gocce formavano quel fiume, lento e fluido, incanalato nell’unica via aperta della città, gli argini: i vicoli le vie transennate. Ho capito che quel fiume avrebbe dovuto poter fluire liberamente nelle vicoli e nelle piazze, che non era naturale il suo corso, che avrebbe potuto diventare impetuoso, rompendo quegli argini innaturali. Era terribilmente ingiusto e pericoloso delimitarne il percorso e allora ho pensato che l’unica salvezza, l’unica via di fuga fosse ridare l’anima all’Aquila. Riaprire la città!

L'articolo di Marina Benedetti mi è stato segnalato su Facebook da Samanta Di Persio e compare con i relativi commenti sul sito "Trento Attiva" Blog dell'Associazione Trento Attiva. Ho aggiunto le foto tratte da un altro sito ,"Valigia blu". Ritengo l'articolo della Benedetti esemplificativo della vita aquilana e dei suoi problemi conseguenti al terremoto del 2009,mentre i commenti approfondiscono alcuni aspetti con equilibrio e in funzione di una informazione la più completa possibile. (Valter Marcone - osservatoriodiconfine.blogspot.com)

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