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Musk, #Twitterfiles e il presunto scoop dei tweet censurati sul figlio di Biden

3 Dicembre 2022 10 min lettura

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Musk, #Twitterfiles e il presunto scoop dei tweet censurati sul figlio di Biden

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Da quando Elon Musk lo ha comprato, in partecipazione con svariate banche e fondi d'investimento, Twitter è quasi quotidianamente al centro della scena per qualche stravagante mossa o esternazione del suo nuovo Chief Twit. Le analisi sul perché di questa acquisizione non mancano, ma è evidente ai più che i motivi siano principalmente, se non esclusivamente policiti, piuttosto che economici. Nella sua personale battaglia, Musk vuole difendere la libertà di espressione minacciata dai mainstream media ("MSM", come usato spesso nei tweet) che sarebbero controllati, almeno dal punto di vista dei contenuti, da una élite di sinistra. Un concetto di libertà di espressione che, efficacemente distorto, è cavalcato giornalmente dalla destra e dai movimenti più conservatori.

Censura e woke culture sarebbero i mali che hanno rovinato Twitter, una piattaforma dal potenziale mutilato; poco importa che nei fatti, liberare il social dal giogo della censura vuol dire banalmente riammettere autori dichiaramente neonazisti. Ad ogni modo, Musk difende comunque l'impegno della piattaforma nel contrastare l'hate speech, nonostante il licenziamento in massa dei team che si occupano della moderazione e della sicurezza degli utenti e ricerche un po' più autorevoli in tema che dimostrano l'esatto contrario. Ma non è questo il punto.

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In questo contesto, Musk aveva già in passato espresso la volontà, rispondendo a un utente, di voler portare trasparenza sulla gestione di Twitter della storia del New York Post riguardante materiale trafugato dal laptop di Hunter Biden, figlio dell'attuale Presidente. In quell'occasione, i vertici (o meglio, chi era incaricato di farlo), presero una decisione difficile e che in un modo o nell'altro ha segnato un momento importante nel dibattito della moderazione dei contenuti online.

 

Nell'ottobre 2020, in piena campagna elettorale per le elezioni presidenziali Trump-Biden, Rudy Giuliani, l'avvocato personale del presidente (già famoso per essere stato il sindaco di New York a implementare una delle più controversie strategie di polizia di sempre), consegna al NewYork Post un disco contentente foto e email provenienti dal laptop di Hunter Biden, figlio del candidato democratico alle presidenziali americane.

Il contenuto delle email, la cui autenticità non è mai stata pienamente verificata, doveva in qualche modo dimostrare il coinvolgimento di Hunter in uno scandalo internazionale con Burisma, una compagnia energetica per cui ha lavorato. Trump sosteneva la tesi che Joe Biden avesse fatto pressioni sul procuratore generale ucraino Viktor Shokin per non indagare sulla compagnia per cui il figlio lavorava. In un interessante capovolgimento degli eventi, il primo impeachment che viene portato avanti contro Trump dimostrerà come sia stato l'allora Presidente a fare illecita pressione sul governo ucraino per indagare su Hunter Biden.

Quello che però è importante in questa complicata storia è che non è chiaro come questo materiale proveniente dal computer portatile sia finito, tramite Steve Bannon (un altro profilo di dubbia attendibilità) nelle mani di Rudy Giuliani. Al di là della storia raccontata in cui Hunter stesso avrebbe dimenticato di riprendere il portatile in riparazione e il proprietario del negozio in qualche modo lo fa avere all'esponente conservatore, ci sono forti sospetti che Hunter Biden sia stato semplicemente hackerato. E questo è un punto chiave per comprendere le mosse di Twitter relative alla storia del Post .

Quando nell'ottobre 2020 il New York Post la pubblica infatti, questa viene immediatamente ripresa massivamente dalla galassia dei media conservatori USA e registra decine di migliaia di interazioni in un solo giorno sui social media.

Alla luce del dibattito che va ormai avanti sin dalle elezioni presidenziali del 2016 sulla possibilità di influenzare i risultati tramite notizie falsi e contenuti virali (tutt'altro che dimostrata, per dovere di cronaca), Twitter - e in misura molto più blanda anche Facebook - ricorre a una misura drastica, senza precedenti: gli utenti non potranno postare il link alla storia del New York Post. Al di là del contenuto, non risultano precendenti in cui il social abbia bloccato la possibilità di riportare la storia dal sito di una testata giornalistica - per quanto il NewYork Post abbia i suoi seri problemi di credibilità. La decisione è talmente controversa che lo stesso CEO di Twitter Jack Dorsey ne prese le distanze, definendo le azioni intraprese "inaccettabili".

Il punto cruciale è che il materiale all base della presunta inchiesta - così come di alcuni tweet contententi foto personali di Hunter Biden - molto probabilmente risulta sottratto dal proprietario e quindi cade nella categoria non ammessa sul social di "hacked material". La policy sui contenuti di Twitter infatti prevede che tutti i contenuti derivanti da attacchi informatici siano rimossi dalla piattaforma.

In breve, quella decisione scatenò una reazione senza precedenti nei confronti della piattaforma, accusata di censurare arbitrariamente e con fini policiti contenuti contro i Dem USA - critiche questa volta arrivate non esclusivamente dall'ala conservatrice.

2022: i "Twitter files" e Matt Taibbi

Al 2 Dicembre 2022, Musk ha già rivoluzionato la mobilità con Tesla (ora le auto elettriche sono alla moda, prima c'erano solo le Toyota Prius), il modo di far tornare i razzi dallo spazio con SpaceX, ha offerto connessione satellitare a internet ai militari ucraini (con qualche cambio di idea), annunciato esperimenti con chip impiantati nel cervello e, dopo averlo acquisito, ha intrapreso la battaglia di portare trasparenza su come Twitter funziona.

Il primo grande passo dell'operazione trasparenza è quella dei Twitter Files, ovvero la pubblicazione di contenuti scottanti che, sostiene Musk, dovrebbero dimostrare come Twitter fosse compiacente con il governo democratico per censurare la storia del New York Post. Puntuale arriva nella tarda serata (orario USA) di venerdì 2 dicembre un thread colossale del giornalista Matt Taibbi, in cui in una quarantina di tweet racconta il processo decisionale dietro l'iniziativa di Twitter dell'ottobre 2020 - apparentemente, si tratta solo del primo di una serie di episodi.

Prima di scendere nei dettagli, sviscerando il perché la cosiddetta inchiesta sia un flop clamoroso che mette in pericolo alcune persone, vale la pena dare uno sguardo al tono utilizzato dai media italiani nel riportare la notizia. Prima di tutto va fatto notare come venga ripresa la narrazione proposta dal duo Musk/Taibbi sul grande scoop giornalistico.

Per riprendere il filo della matassa, è utile partire dal contesto dell'autore del thread. Matt Taibbi è un giornalista americano proveniente da Rolling Stones che cura una newsletter personale con la piattaforma Substack, molto popolare tra chi scrive contenuti al di fuori di testate tradizionali. Taibbi è un personaggio ultimamente molto discusso: famoso per aver egregiamente coperto in passato crimini della polizia e dell'esercito, così come scandali finaziari, si è trovato di recente a esprimere posizioni sempre più vicine alla destra USA, arrivando di recente a sostenere, per poi doversene scusare, che la Russia non avrebbe mai attaccato l'Ucraina. Insomma, Taibbi si è unito al piccolo club inconsapevolmente avviato da Glenn Greenwald di quelli che "fanno il giro" e si ritrovano a destra della destra. Tutto ciò non sarebbe di per sè rilevante, se il nome del giornalista non fosse usato in questo contesto come garanzia di integrità e autorevolezza.

Sempre per dare contesto a quanto pubblicato, Taibbi non cita mai di aver ottenuto i documenti da un wisthleblower o una fonte interna. Per ovvia convenienza dice solo che i Twitter Files raccontano la storia dall'interno. Ciò, unito al fatto che Elon Musk per giorni ha annunciato la rivelazione di questi contenuti, porta chiunque segua questi temi a pensare che effettivamente sia stato lo stesso Chief Twit a fornire al giornalista i documenti interni alla società - o qualcuno molto vicino a Musk. In cambio dell materiale, Taibbi ha dovuto "accettare alcune condizioni"; non ci è dato sapere quali, ma è solo un altro elemento a sottrarre mattoncini dal muro della credibilità di queste "rivelazioni".

Vale la pena soffermarsi sulla dinamica di tutta questa storia, perché scriverlo esplicitamente rende meglio. Il CEO di una compagnia fa in modo che documenti confidenziali della società che ha appena comprato (documenti che a suo dire rivelano malefatte interne) finiscano a un giornalista che li pubblica sulla piattaforma di cui quel CEO è appena diventato proprietario.

Leggendo un po' più nei dettagli il contenuto delle rivelazioni fiume di Taibbi, il tutto si sgonfia clamorosamente. Vediamo insieme alcuni dei tweet più salienti (il riferimento numerico è lo stesso usato dal giornalista):

👉 Tweet #8

Qui è dove Taibbi dimostrerebbe come Biden faccia richiesta di rimuovere contenuti scomodi, richiesta alla quale il team di Twitter risponde con un "Handled these", ossia "Risolto". Quello che il giornalista non dice, omettendo un dettaglio fondamentale, è che la squadra di Biden ha chiesto di rimuovere la foto del pene di Hunter Biden, così come può fare ogni soggetto riportando contenuti non adatti.

Ora, che foto intime rubate di personaggi, pubblici o privati che siano, non abbiano spazio dentro un social network non dovrebbe controverso. Ma fornire lo screenshot dicendo che il partito di Biden regolarmente richiede di rimuovere contenuti vuol dire ingannare il lettore e spingerlo a credere a complotti politici.

In aggiunta, va fatta una precisazione sulla discussione che moltissimi, tra cui Musk stesso, hanno imbastito su queste rivelazioni, ossia la presunta violazione del Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. Ovviamente non ha né capo né coda. Il Primo Emendamento, per iniziare, si applica solamente a soggetti governativi, e quindi non a compagnie private come Twitter. Il testo proibisce qualsiasi parte del governo di legiferare e limitare la libertà di religione e di espressione - testo interpretato molto apertamente dalle corti in favore delle libertà, ammettendo solo in maniera estremamente limitata forme di censura. Ma sopratutto, come non è eccessivamente difficile verificare, nel 2020 il Presidente in carica era Donald Trump, facendo di Joe Biden - e del suo staff - un privato cittadino. Non si capisce quindi quale sia l'interferenza governativa in gioco.

👉 Tweet #19 e seguenti

Quando la portavoce della Casa Bianca Kaleigh McEnany viene bannata per aver ripostato la storia, inizia una serie di conversazioni interne che toccano anche i motivi sottostanti la decisione di bloccare la storia del Post. Quelli che seguono sono una serie di conversazioni interne tra lo staff, inclusa Caroline Strom, a capo della squadra delle public policy, in cui si riflette sull'applicazione della regola dell'hacked material. Ora, Taibbi dipinge queste conversazioni come una prova del fatto che quella di bloccare la storia sia stata una decisione arbitraria volta a favorire il candidato democratico. Gli impiegati avrebbero infatti faticato a fornire una spiegazione, nel tentativo di mettere la classica "pezza" per giustificare il proprio operato.

In realtà questo genere di conversazioni sono abbastanza normali per chiunque abbia mai lavorato in una grande compagnia in cui ci sono politiche interne (le policies) che prescrivono come operare e le decisioni da prendere. Se a livello teorico bisgonerebbe semplicemente seguire questi documenti - in questo caso per la regola sull'hacked material - dal punto di vista pratico riportare un caso concreto, con tutte le sue sfaccettature e sfumature, a una fattispecie teorica è un lavoro complesso. Spesso tale lavoro di applicazione delle regole è anche lasciato a personale meno qualificato, di certo non a chi quelle policies le ha scritte. Tutto questo per dire come dare una colorazione compromettente a tali conversazioni è facile, ma la realtà è ben diversa.

👉 Tweet #25 e seguenti

Nel voler riportare un estratto da un documento "privilegiato e confidenziale" (sono segnati così nelle società degli Stati Uniti tutti i documenti e memo che contengono materiale confidenziale, spesso contententi pareri legali, che sottostanno ad alcune forme di privilegio e possono, in alcuni casi, essere escluse dall'essere presentate in un giudizio), Taibbi rivela nome e cognome di un impiegato di Twitter. Non si tratta solamente di personaggi chiave, come il direttore del team Trust & Safety, ma probabilmente di una di quelle persone incaricate di applicare le regole interne. Persona che ora avrà il suo nome esposto al pubblico - e visti i precedenti è facile immaginare le conseguenze che questo potrà avere. Questa è la pratica di doxxing, ossia colpire individui condividendo dati personali online in modo che una massa di anonimi possa, nel caso migliore, inondarlo di odio.

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Taibbi riesce nello stresso thread anche a condividere email personali di un membro del Congresso e addirittura del precedente CEO di Twitter Jack Dorsey (questa poi cancellata). Risulta sorprendente che un giornalista del suo calibro abbia trattato questo materiale con tanta leggerezza.

In conclusione, lo scoop dell'inchiesta di Musk non mostra neanche come la decisione sia stata presa, ma piuttosto evidenzia il fatto, sacrosanto e fisiologico, che ci sia stata una estensiva discussione interna sul caso forse più controverso di moderazione online di un contenuto da parte di una piattaforma. Musk e Taibbi hanno promesso ulteriori episodi dei Twitter Files, ma se il tenore del contenuto rimarrà lo stesso, il rischio è solo di provocare ulteriori danni ad alcune delle persone coinvolte.

(Immagine anteprima via Wikimedia Commons)

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