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È in arrivo un bastimento carico di… flebo!

25 Dicembre 2011 3 min lettura

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È in arrivo un bastimento carico di… flebo!

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Oddio, magari proprio un bastimento, no, solo 3, ma finalmente era giunto il giorno fatidico, si iniziava la terapia. Ero pronta, prontissima, ansiosa di cominciare, perché poi dopo qualche giorno sarei stata dimessa. I medici mi avevano descritto con precisione gli effetti collaterali, febbre, nausea, perdita di capelli, stanchezza, rischio di shock anafilattico, bisogna infondere lentamente con l’antistaminico pronto… Mica pizza e fichi, eh? Ma non ero demoralizzata, anzi. Carichissima.
Bene, partita l’infusione del farmaco attendo qualche sensazione strana, bruciori, un po’ di dolore, prurito… no, nulla. Medico e infermiere mi guardano perplessi. “Tutto bene? Sicura?” “Benissimo, grazie, ora leggo un po’”. Intanto la pompa per l’infusione fa zin zin, ogni tanto scatta l’allarme, ma sono strumenti ipersensibili e anche un po’ isterici. E all’improvviso finisce. Dopo nemmeno due ore. Ma come! Attorno a me persone che stanno “attaccate alla flebo” anche una giornata intera e io me la cavo così in fretta? Invece è vero, così mi liberano dai tubi e posso alzarmi.
Sto tutto il giorno in ascolto del mio corpo, ma qui gli effetti collaterali latitano. Sento le mie compagne di stanza lamentarsi di tutte le reazioni possibili ed immaginabili, che vi risparmio, e io taccio perché un po’ mi vergogno a stare meglio di loro.
La notte passa tranquilla, il giorno successivo, i medici mi assicurano che andrò a casa subito dopo Pasqua, quindi ho ancora 5 giorni di ricovero davanti e me e poi via, verso casa, i miei libri, la gatta, il mio letto….
“Le consiglio di attivare l’assistenza domiciliare dell’ANT, le ci vorrà un letto apposito con materasso antidecubito, un medico dovrà venirla a visitare due volte alla settimana, un’infermiera dovrà provvederà a tenere pulito il catetere venoso”….
Bene, attivata l’assistenza ANT (dedicherò un post a parte sull’ANT), a casa cercano di fare posto per il letto attrezzato, quindi, via il mio letto Ikea, via il tavolino eredità della nonna, via la lampada in vetro chemipiacetanto, e soprattutto via la mia libreria vintage che ho restaurato con tanto amore e della quale mi sono sempre stimata immensamente. So che è indispensabile, ma sono triste al solo pensiero.
Finalmente passa Pasqua, Pasquetta ed arriva il D-Day (dove D sta per Dimissioni). Indosso, dopo un mese, abiti civili, butto letteralmente via i camicioni dell’ospedale - quelli che ti lasciano il didietro scoperto per intenderci - tentando di riacquistare un aspetto umano. Ovviamente non mi va bene nulla, sono dimagrita per un verso e gonfia per un altro, tutta piegata di lato come Quasimodo senza la gobba, pazienza, tanto devo giusto arrivare alla macchina. Tutto il personale presente mi viene a salutare, baci e abbracci con le infermiere, mentre percorro il corridoio a bordo di una scalcagnata e cigolante sedia a rotelle. Sembra un addio per sempre, invece dopo due settimane dovrò tornare per proseguire con la terapia.
Per un attimo chiudo gli occhi, e mi vedo sul red carpet, con una folla di fans e fotografi che vogliono immortalare la mia scenografica uscita di scena… Sbam! La sedia sbatte contro uno stipite e addio red carpet. Vabbè.
Lia Bencivenni valigiablu - riproduzione consigliata

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