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Un voto per il clima. La lettera della Società Italiana per le Scienze del Clima per chiedere alla politica italiana azioni forti contro la crisi climatica

3 Agosto 2022 16 min lettura

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Un voto per il clima. La lettera della Società Italiana per le Scienze del Clima per chiedere alla politica italiana azioni forti contro la crisi climatica

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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.

La Società Italiana per le Scienze del Clima ha pubblicato una lettera aperta [qui per sottoscriverla] in cui chiede ai partiti politici italiani azioni forti per combattere la crisi climatica.

“Il riscaldamento eccessivo, le fortissime perturbazioni al ciclo dell'acqua e altri fenomeni meteo-climatici vanno a impattare su territori fragili e creano danni a vari livelli, influenzando fortemente e negativamente anche le attività economiche e la vita sociale. Stime assodate mostrano come nel futuro l'avanzare del cambiamento climatico ridurrà in modo sensibile lo sviluppo economico e causerà danni rilevanti a città, imprese, produzioni agricole, infrastrutture”, si legge nella lettera. Un grado di riscaldamento globale in più rispetto al presente significherà un aumento della frequenza delle ondate di calore su scala globale del 100% e delle inondazioni e siccità del 30 - 40%. Con impatti sulla salute e sull’economia delle nostre società. L’Italia sarà particolarmente esposta perché inserita nel contesto di un hot spot climatico come il Mediterraneo. 

Per questo gli scienziati chiedono di porre le azioni di contrasto alla crisi climatica “in cima all'agenda politica (...) come la base necessaria per ottenere uno sviluppo equo e sostenibile negli anni a venire” e di agire su due piani, seguendo una logica non emergenziale ma di pianificazione e programmazione strutturale: azioni di adattamento, “che rendano i nostri territori più resilienti a ondate di calore, siccità, eventi estremi di precipitazione, innalzamento del livello del mare e fenomeni bruschi di varia natura; azioni di mitigazione, riducendo “le nostre emissioni di gas serra, decarbonizzando e rendendo circolare la nostra economia, accelerando il percorso verso una vera transizione energetica ed ecologica”. 

Il gruppo di scienziati si dice disponibile a fornire “il proprio contributo per elaborare soluzioni e azioni concrete che siano scientificamente fondate, praticabili ed efficaci”, ma chiede alla politica di “considerare la crisi climatica come un problema prioritario da affrontare, perché mina alla base tutto il nostro futuro”.

«La scienza è come i fari di un'automobile: permette di vedere un po' più in là. Ma sono i politici che devono guidare nella notte, sapendo che quei fari hanno una portata limitata. Gli scienziati cercano di illuminare quello che possono, ma non utilizzare le loro informazioni è come cercare di guidare nella notte a fari spenti», ha commentato in un’intervista a Repubblica, il premio Nobel 2021 per la Fisica, Giorgio Parisi. «Per un paese come l'Italia, che deve importare i combustibili fossili, che siano gas, carbone o petrolio, passare alle fonti rinnovabili renderebbe molto più stabile l'economia», prosegue Parisi. «Se si facesse davvero su grande scala l'efficientamento termico di tutte le abitazioni, a fronte di un grande investimento, si avrebbe un grande ritorno per l'economia e il lavoro italiani. Per tutti questi motivi è importante che i partiti mettano in chiaro nei loro programmi quali sono i loro progetti per la lotta ai cambiamenti climatici, per andare verso le energie rinnovabili e un mondo meno inquinato. Ma è altrettanto importante che poi gli elettori usino queste informazioni per decidere chi votare».

“Il futuro ha bisogno di noi. Non possiamo lasciare alle generazioni future un pianeta invivibile”

Quest’anno, l’Earth Overshoot Day, il giorno in cui l'umanità ha utilizzato tutte le risorse biologiche che la Terra rigenera durante l'intero anno, è arrivato prima, il 28 luglio. Allo stato attuale, ci vorrebbero 1,75 pianeti Terra per soddisfare i consumi della popolazione mondiale in modo sostenibile.

L'Earth Overshoot Day segna ufficialmente il punto di rottura tra due fattori: l'impronta ecologica dell'umanità e la biocapacità del nostro pianeta. La nostra impronta ecologica è costituita dalla terra di cui abbiamo bisogno per produrre tutto ciò che consumiamo – terreni coltivati ed edificati, pesca, lo spazio urbano e le foreste per assorbire le emissioni di anidride carbonica – e dai rifiuti che generiamo. La biocapacità della Terra comprende le risorse che il nostro pianeta ha a disposizione per soddisfare le nostre esigenze di consumo e che può rigenerare ogni anno. L'Earth Overshoot Day si calcola dividendo la biocapacità della Terra per l'impronta ecologica dell'uomo e moltiplicando il risultato per 365 giorni.

Fatta eccezione per il 2020, quando a causa della pandemia del nuovo coronavirus, l’Earth Overshoot Day è stato posticipato, negli ultimi 50 anni la data in cui abbiamo consumato le risorse rigenerate in un anno dal pianeta è caduta sempre prima. Insomma, potevamo essere migliori, ma abbiamo preferito continuare come se nulla fosse.

Il consumo delle risorse varia da paese a paese. Il Qatar ha raggiunto l'Overshoot Day già il 10 febbraio, mentre la Giamaica riesce a far durare le risorse della Terra fino a poco prima di Natale. Se tutti vivessero come gli italiani, dove l’Overshoot Day è caduto il 15 maggio, l’umanità avrebbe bisogno di due Terre e mezzo per soddisfare le proprie necessità. Peggio ancora negli Stati Uniti e in Canada, il punto di superamento del consumo della biocapacità terrestre è arrivato il 13 marzo.

“La Terra ha molte scorte che, per un certo periodo di tempo potremo continuare a consumare, ma non possiamo sfruttarle eccessivamente per sempre. È come con i soldi: possiamo spendere più di quanto guadagniamo per un certo periodo di tempo, finché non finiamo al verde”, ha commentato Mathis Wackernagel, presidente del Global Footprint Network.

Quanto prima aziende, città e Stati si prepareranno a questo futuro, ormai prevedibile, maggiori possibilità avremo di spostare in avanti l’Earth Overshoot Day. Dalla città dei 15 minuti all’efficientamento energetico, dal minore spreco di cibo alla settimana lavorativa corta, da maggiori investimenti in energie rinnovabili alla riduzione delle plastiche, la piattaforma Power of Possibility ha raccolto diverse soluzioni per migliorare l’utilizzo delle risorse in cinque aree chiave: un pianeta sano, città, energia, cibo e popolazione.

Un'analisi del 2019 condotta da Global Footprint Network e Schneider Electric ha dimostrato che rendere gli edifici esistenti più efficienti dal punto di vista energetico e decarbonizzare l'energia elettrica potrebbe contribuire a posticipare l'Earth Overshoot Day di 21 giorni. Se riuscissimo a dimezzare gli sprechi alimentari, la data potrebbe essere spostata di 10 giorni. Dimezzando la CO2 globale, si potrebbero risparmiare ben 93 giorni. Diminuendo il consumo di carne da parte dell'umanità si potrebbe spostare la data di 17 giorni in avanti.

“Un bambino che nascerà in questo decennio si troverà di fronte a un mondo molto più ostile rispetto a quello dei suoi nonni", commenta Bill McGuire, vulcanologo e professore emerito di rischi geofisici e climatici presso l'University College di Londra.

Una “cospirazione di ignoranza, inerzia, cattiva governance da parte delle istituzioni, menzogne e diffusione di dubbi da parte dei negazionisti del cambiamento climatico, ha fatto sì camminassimo in tutti questi anni come dei sonnambuli fino a meno di mezzo grado dalla pericolosa soglia di 1,5° C”, aggiunge McGuire. “Presto, a meno di qualche miracolo, sfonderemo anche quel limite”. E il nostro pianeta, per come lo abbiamo conosciuto, potrebbe diventare irriconoscibile.

Però, prosegue il docente vulcanologo, se riducessimo le emissioni di gas climalteranti in modo sostanziale nel prossimo futuro e se iniziassimo ad adattarci a un mondo molto più caldo, potremmo ancora evitare “ulteriori eventi abbastanza gravi da minacciare la stessa sopravvivenza della civiltà umana”.

“Possiamo scegliere di vivere in modo diverso e costruire modi più saggi e giusti di produrre, consumare e viaggiare. La nostra speranza risiede nelle nostre azioni collettive. È giunto il momento di fermare il business as usual, cambiare le nostre priorità e riconoscere la nostra responsabilità nei confronti di coloro che sono in prima linea nella crisi climatica. Questa emergenza, che non è iniziata all'improvviso e non finirà nell'arco della nostra vita, ha comunque bisogno della nostra risposta urgente. Ciò significa fare tutto il possibile per stabilizzare la salute del pianeta e accelerare la transizione dai combustibili fossili. Ora”, scrivono le scrittrici e ambientaliste Rebecca Solnit e Terry Tempest Williams sul Guardian.

.“Il futuro ha bisogno di noi. Abbiamo bisogno gli uni degli altri. (...) Noi stessi dobbiamo rispondere per coloro che nasceranno la prossima settimana, il prossimo decennio e il prossimo secolo, che hanno bisogno di un pianeta vivo e fiorente in tutta la sua squisita diversità di terra, creature ed esseri umani. Non abbiamo il diritto di privare loro o i giovani che guardano ora a un futuro caotico del loro diritto di nascita. Non rappresentiamo loro, ma possiamo rappresentare noi stessi, come persone solidali con tutta la vita. Con questo spirito, ci uniamo a coloro che in tutto il mondo hanno già dichiarato l'emergenza climatica e invitiamo tutti a unirsi a noi”.

L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite dichiara l'accesso a un ambiente sano e pulito un diritto umano universale

Con 161 voti a favore e nessuno contrario, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una storica risoluzione che dichiara l'accesso a un ambiente pulito, sano e sostenibile un diritto umano universale, dando un altro solido fondamento giuridico a chi sta citando in giudizio i governi per la loro inerzia nel contrasto della crisi climatica.

La risoluzione, basata su un testo simile adottato lo scorso anno dal Consiglio dei diritti umani, invita gli Stati, le organizzazioni internazionali e le imprese a intensificare gli sforzi per garantire un ambiente sano per tutti. Il testo riconosce, inoltre, che l'impatto del cambiamento climatico, la gestione e l'uso non sostenibile delle risorse naturali, l'inquinamento dell'aria, della terra e dell'acqua, la gestione scorretta delle sostanze chimiche e dei rifiuti e la conseguente perdita di biodiversità interferiscono con il godimento di questo diritto - e che il danno ambientale ha implicazioni negative, sia dirette che indirette, per l'effettivo godimento di tutti i diritti umani.

Il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha sottolineato che l'adozione della risoluzione “è solo l'inizio” e ha esortato gli Stati a rendere questo diritto appena riconosciuto “una realtà per tutti, ovunque”. “La risoluzione contribuirà a ridurre le ingiustizie ambientali, a colmare le lacune in materia di protezione e a conferire potere alle persone, in particolare a quelle che si trovano in situazioni di vulnerabilità, tra cui i difensori dei diritti umani in campo ambientale, i bambini, i giovani, le donne e le popolazioni indigene”, ha dichiarato Guterres aggiungendo che la decisione aiuterà anche gli Stati ad accelerare l'attuazione dei loro obblighi e impegni in materia di ambiente e diritti umani e a unirsi nella lotta collettiva contro la triplice crisi planetaria del cambiamento climatico, della perdita di biodiversità e dell'inquinamento.

Sebbene non giuridicamente vincolante, secondo il relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani e l'ambiente, David Boyd, la decisione dell'Assemblea cambierà la natura stessa del diritto internazionale dei diritti umani: “Il diritto a un ambiente sano cambia la prospettiva delle persone, che passano dall'implorare a chiedere ai governi di agire”.

In Italia aumenta il consumo di suolo grazie all'inerzia dei governi che si sono succeduti

La scorsa settimana l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ha presentato il rapporto 2022 sul consumo di suolo in Italia. Lo studio è inesorabile: il consumo di suolo ha ricominciato a galoppare dopo anni in cui sembrava esserci una leggera flessione, sfiorando i 70 chilometri quadrati, l’equivalente di 19 ettari al giorno, 2,2 metri quadrati al secondo. Nel 2019 erano stati consumati 55 chilometri di suolo, un’area grande quanto Bologna, fatta di nuove case, chiese, palazzi e strade.

Questi dati sono lo specchio dell’inazione dei nostri governi, come sottolinea anche il presidente di Ispra, Stefano Laporta: «Un ritmo non sostenibile che dipende anche dall’assenza di interventi normativi efficaci in buona parte del paese o dell’attesa della loro attuazione e della definizione di un quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale».

“Il governo si è impegnato ad approvare una legge nazionale sul consumo di suolo in conformità agli obiettivi europei, che affermi i principi fondamentali di riuso, rigenerazione urbana e limitazione del consumo dello stesso, sostenendo con misure positive il futuro dell’edilizia e la tutela e la valorizzazione dell’attività agricola”. E il Pnrr “ha rafforzato ulteriormente questo obiettivo al fine di azzerare il consumo netto entro il 2030, ovvero anticipando di vent’anni il target europeo e allineandosi alla data fissata dall’Agenda globale per lo sviluppo sostenibile”, si legge nel rapporto. Ma la legge ad hoc non è mai stata approvata – è esattamente da dieci anni che si discute in Parlamento di un atto che contrasti il fenomeno, sottolinea Fabio Ciconte su Domani.

Il suolo consumato negli ultimi dieci anni - prosegue Ciconte – “avrebbe garantito la fornitura complessiva di quattro milioni e 150mila quintali di prodotti agricoli e l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana che ora, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde e aggravano la pericolosità idraulica dei nostri territori”. A questo si aggiunge il carbonio che questi terreni avrebbero consentito di stoccare: l’equivalente di più di “un milione di autovetture con una percorrenza media di 11.200 km l’anno tra il 2012 e il 2020, un totale di oltre 90 miliardi di chilometri percorsi, più di due milioni di volte il giro della terra”.

USA, accordo a sorpresa al Senato sul piano per il clima

La scorsa settimana i Democratici hanno raggiunto un accordo al Senato sul piano per il clima dell’amministrazione Biden. Se approvato, sarebbe il più grande investimento in energie rinnovabili nella storia degli Stati Uniti e porterebbe gli USA molto vicini a rispettare gli impegni presi nell'ambito dell'accordo sul clima di Parigi del 2015.

L'accordo ha colto tutti di sorpresa considerato che appena due settimane fa il senatore democratico Joe Manchin, il cui voto è decisivo al Senato, equamente diviso tra le due forze politiche, aveva dichiarato una volta per tutte che non avrebbe votato il Build Back Better, l’ambizioso piano dell’amministrazione Biden per unire politiche sociali e climatiche, perché a suo dire troppo costoso. Il senatore demcoratico, vicino alle industrie dei combustibili fossili, ha detto che sosterrà il nuovo piano, l’Inflation Reduction Act, che prevede 369 miliardi di dollari di investimenti per programmi climatici ed energetici. La cifra stanziata è inferiore ai 555 miliardi previsti dal piano precedente ma è in ogni caso quattro volte superiore all'ultimo investimento sul clima effettuato dal governo statunitense nel 2009. 

Il disegno di legge prevede l’utilizzo di incentivi fiscali per promuovere le industrie energetiche a basse emissioni nel prossimo decennio, tra cui anche le centrali nucleari prossime alla chiusura. Gli acquirenti di automobili riceveranno crediti d'imposta per l'acquisto di veicoli elettrici mentre ci saranno rimborsi per chi rende le proprie case più efficienti dal punto di vista energetico o installa pompe di calore o scaldabagni elettrici. Saranno, inoltre, penalizzate le compagnie petrolifere che non riusciranno a ridurre le emissioni di metano. 

Inoltre, aggiunge il New York Times, in caso di approvazione, “la legge dovrebbe portare grandi benefici al West Virginia, dove Manchin è stato eletto, con l’istituzione di un fondo fiduciario federale per sostenere i minatori di carbone affetti da malattia dei polmoni neri; nuovi incentivi alle aziende che costruiranno parchi eolici e solari nelle aree in cui sorgevano miniere di carbone; crediti d'imposta per lo sviluppo di tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio e dell’idrogeno a basse emissioni”. 

Il piano, tuttavia, non ferma lo sviluppo di nuovi combustibili fossili. Manchin ha affermato di aver ottenuto l'impegno dei suoi colleghi democratici per approvare nelle prossime settimane una misura separata che consenta il rilascio di nuovi permessi per le infrastrutture energetiche, tra cui anche i gasdotti, e nuove aste di contratti per le trivellazioni petrolifere nelle terre e nelle acque federali, incluso il Golfo del Messico. In sostanza, il governo non potrà mettere all’asta contratti per l'installazione di impianti solari o eolici su terreni o fondali marini federali senza fare altrettanto per la ricerca e l’estrazione di gas e petrolio, riporta The Atlantic

Nonostante questo compromesso, secondo una ricerca indipendente, questo pacchetto dovrebbe consentire agli Stati Uniti di arrivare molto vicini all’obiettivo di ridurre le emissioni del paese del 50% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005. Se raggiunto, questo risultato potrebbe spingere altri paesi le cui emissioni continuano a crescere (come India, Brasile e Sudafrica) a invertire la tendenza, commentano Lisa Friedman e Brad Plumer sul New York Times.

La ribellione delle Barbados per nuovi criteri di erogazione dei fondi per i paesi più esposti al cambiamento climatico

Secondo gli ultimi dati dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), nel 2020 "i paesi ricchi hanno mobilitato 83,3 miliardi di dollari di finanziamenti per il clima, mancando così per 17 miliardi l’obiettivo di fornire collettivamente 100 miliardi di dollari l’anno”. Si tratta del 4% in più rispetto all’anno precedente ma sempre al di sotto dell’obiettivo prefissato nel 2009 e che i paesi più ricchi potrebbero raggiungere solo nel 2023”.

La maggior parte dei finanziamenti è stata erogata sotto forma di prestiti invece che di sovvenzioni ed è andata ai paesi asiatici e a medio reddito. L’Asia ha ricevuto il 42% dei finanziamenti, l’Africa il 26%, le Americhe il 17%, riporta Climate Change News.

Il giornalista Abrahm Lustgarten, che si occupa di cambiamento climatico per ProPublica, ha raccontato sul New York Times, la storia delle Barbados che, sulla soglia del fallimento e particolarmente esposte agli effetti del cambiamento climatico, si stanno battendo per rivedere i criteri secondo i quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale erogano i fondi per la ristrutturazione dei debiti pubblici. 

Poche parti del pianeta sono così minacciate dal cambiamento climatico come la serie di isole dei Caraibi. Ogni estate, le acque calde al largo della costa nord-occidentale dell'Africa danno vita a sistemi ciclonici che sfrecciano attraverso l'Atlantico. Secondo gli esperti il riscaldamento globale potrebbe quintuplicare gli uragani: le tempeste di categoria 4 e 5 potrebbero formarsi quasi ogni anno. La siccità, nel frattempo, sta diventando sempre più lunga e secca, minacciando le forniture di acqua potabile e rendendo difficile la coltivazione del cibo. Si prevede che pioverà molto e tutto in una volta, causando frane che potrebbero distruggere strade e reti elettriche e interrompere la fornitura di energia. Allo stesso tempo, l'innalzamento e il riscaldamento dei mari stanno erodendo le coste e devastando le barriere coralline e la pesca.

Queste isole hanno un altro grosso problema: hanno un debito maggiore, rispetto alle dimensioni delle loro economie, rispetto a quasi ogni altra parte del pianeta, un onere fiscale che rende praticamente impossibile pagare le infrastrutture necessarie a proteggerle dai futuri sconvolgimenti climatici. Le Barbados, che nel 2017 avevano il terzo debito pro capite più alto di qualsiasi altro paese al mondo, spendevano il 55% del loro prodotto interno lordo ogni anno solo per ripagare i debiti, in gran parte verso banche e investitori stranieri, mentre spendevano meno del 5% per programmi ambientali e assistenza sanitaria. Le Barbados, spiega Lustgarten, sono la rappresentazione lampante di come ogni crisi climatica è una crisi economica e che, in futuro, ogni crisi economica sarà nei fatti una crisi climatica. 

È per questo che nel 2018, la prima ministra Mia Mottley, appena insediatasi, ha chiesto al FMI una deroga allo schema usuale di ristrutturazione del debito statale: fondi in cambio di politiche di austerità. Ha chiesto di poter spendere i soldi erogati non per tagliare le spese delle istituzioni pubbliche e creare ricchezza per ripagare i debiti. Mottley ha chiesto di poter spendere quei soldi per aumentare gli stipendi dei dipendenti pubblici, costruire scuole e migliorare le tubature e l'impianto elettrico e idrico dell’isola. La prima ministra non voleva solo uno sconto sui debiti: “voleva l'unica cosa che aveva capito avrebbe iniziato a rendere il suo debito pubblico resistente agli shock del cambiamento climatico, la clausola anti uragano di Barbados”, scrive Lustgarten.

Dopo due anni di negoziazioni Mottley è riuscita a ottenere un piano triennale di finanziamenti, aprendo una nuova strada all’interno del FMI e della Banca Mondiale per la ristrutturazione dei debiti dei paesi più poveri particolarmente esposti agli effetti del cambiamento climatici. Spendere non per tagliare e ripagare i debiti, ma per progettare, ricostruire, riconsolidare.

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Tuttavia, la pandemia del nuovo coronavirus e ulteriori eventi climatici particolarmente intensi e devastanti hanno procrastinato la realizzazione delle azioni progettate dalle Barbados. Ma, al tempo stesso, non sono cambiati i criteri di valutazione delle politiche pubbliche, ancora misurate in base alla convenzione del rapporto tra debito e PIL, in crescita a causa della pandemia, prima, e degli effetti della guerra sui mercati della guerra in Ucraina. La logica del profitto continua a prevalere sul mettere in sicurezza i territori dagli effetti della crisi climatica.

“Il fatto che siamo più preoccupati di generare profitti che di salvare le persone è forse la più grande condanna che si possa fare della nostra generazione”, ha detto Mottley durante l’ultima conferenza dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. “L'ordine globale non funziona. Non garantisce la pace, la prosperità o la stabilità. Le parole dei partenariati globali sono vuote, i partenariati stessi sono blandi, corrotti dall'avidità e dall'egoismo, e rimangono fondamentalmente squilibrati. Il mondo è purtroppo segregato tra coloro che sono venuti prima e a cui immagine è ora impostato l'ordine globale, esso stesso semplicemente l'imbalsamazione del vecchio ordine coloniale che esisteva al momento della creazione di queste istituzioni”. L’unica strada possibile, ha concluso Mottley, è ripensare i criteri di erogazione dei fondi che finiscono per arricchire chi è già ricco e indebitare chi è già indebitato.

Immagine in anteprima via Domani

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