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Anche Shell ammette che l’era dei combustibili fossili deve finire

28 Aprile 2023 13 min lettura

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Anche Shell ammette che l’era dei combustibili fossili deve finire

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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.

Che limitare l’aumento delle temperature globali entro 1,5°C, come stabilito nell’accordo di Parigi del 2015, sia una missione impossibile senza la transizione dai combustibili fossili all’energia pulita non è certo più una notizia. È un passaggio ormai dato per assodato da studi e rapporti di panel di esperti e studiosi ed è una informazione acquisita anche dai governi. Fa notizia, però, se ad affermarlo è una compagnia petrolifera.

La scorsa settimana Shell ha pubblicato gli “Scenari di sicurezza energetica”, una nuova serie di scenari in cui la compagnia petrolifera e del gas immagina come possa cambiare il sistema energetico globale nel corso del secolo. Tra le righe del rapporto – osserva Carbon Brief che ha analizzato in profondità lo studio – si legge chiaramente che rimanere al di sotto di 1,5° C implica porre immediatamente fine alla crescita del petrolio e del gas. 

Si tratta sicuramente di una novità considerato che, nei rapporti precedenti (l’ultimo il 2021), Shell prefigurava – in modo poco plausibile – la crescita di petrolio e gas per un altro decennio, anche se il riscaldamento globale fosse stato limitato a 1,5° C. 

E anche questo nuovo rapporto è in realtà distante da quanto affermato dalle analisi condotte, ad esempio, dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) o dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) delle Nazioni Unite. Sebbene i nuovi scenari di Shell siano più in linea con le conclusioni di ricerche indipendenti, il suo scenario di aumento delle temperature di 1,5° C contiene ancora livelli relativamente elevati di utilizzo di combustibili fossili. Se il mondo seguisse il percorso di Shell, “sforerebbe” il limite di 1,5° C per decenni, prima di tornare entro la fine del secolo al di sotto di tale livello facendo ricorso a macchine ad alta intensità energetica, non ancora sperimentate che dovrebbero aspirare grandi volumi di anidride carbonica (CO2) dall'atmosfera.

In sintesi, Shell ammette che non si potrà limitare il riscaldamento globale ed evitare gli effetti più devastanti della crisi climatica senza frenare la crescita dei combustibili fossili ma allo stesso tempo si potrebbe continuare a produrre ancora per un po’ energia da fonti fossili aspirando successivamente l’anidride carbonica emessa nell’atmosfera grazie a una nuova tecnologia sulla cui efficacia ci sono però ancora pareri contrastanti. 

A scanso di equivoci, il gigante dei combustibili fossili sottolinea anche che i suoi scenari non dovrebbero essere intesi come previsioni, proiezioni o piani aziendali. Inoltre, il nuovo amministratore delegato di Shell, Wael Sawan, ha dichiarato recentemente che “tagliare la produzione di petrolio e gas non è salutare”. 

Cosa prevede il nuovo scenario di Shell

“Sky 2050” è l’ultimo scenario della serie che Shell ha inaugurato nel 2018 per delineare i percorsi per la riduzione delle emissioni globali in linea con l'obiettivo di 1,5°C stabilito con l'Accordo di Parigi. 

Nel 2018, la società petrolifera prefigurava una transizione energetica all’interno di un quadro che prevedeva un aumento delle temperature entro i 2°C. A questo scenario ha fatto seguito, nel 2021, “Sky 1.5”, un aggiornamento più “ambizioso” che puntava a limitare l’aumento delle temperature in linea con l’accordo di Parigi entro la fine del secolo. Lo scenario, tuttavia, manteneva esattamente lo stesso utilizzo di combustibili fossili e la stessa domanda di energia a lungo termine della versione precedente, ma compensata da una maggiore quantità di piante.

L'ultimo scenario, “Sky 2050” è stato così illustrato da Laszlo Varro, vicepresidente di Shell per l'ambiente commerciale globale ed ex capo economista dell'Agenzia Internazionale dell'Energia (IEA), in un post su LinkedIn:

“Nello scenario Sky, completamente rimodellato, lo stesso sistema dominato dai combustibili fossili è visto come un rischio per la sicurezza e la società si proietta in avanti per una transizione accelerata. In Sky, la tecnologia pulita diventa come la tecnologia spaziale durante la guerra fredda, [con] fantastici risultati tecnologici guidati non dalla cooperazione ma dalla competizione”.

Shell sembra, dunque, aver ricalibrato le sue ipotesi. Mentre i precedenti percorsi consideravano la rapida crescita della domanda energetica globale come una forza della natura inarrestabile, il nuovo scenario prevede una crescita della domanda molto più lenta. E ciò consentirebbe una riduzione molto più rapida dei combustibili fossili. 

Nei vecchi scenari di Shell, la produzione di petrolio avrebbe raggiunto il picco tra il 2025 e il 2030. Nel nuovo scenario, la produzione di petrolio avrebbe addirittura già raggiunto il suo picco per poi diminuire e stabilizzarsi entro fino al 2028, quando inizia a calare rapidamente, soprattutto per le compagnie europee e nordamericane che operano in paesi non appartenenti all'Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC).

In questo scenario, i produttori di petrolio dell'OPEC utilizzano le entrate derivanti dagli alti prezzi dei combustibili fossili per finanziare un abbandono della dipendenza dal petrolio e dal gas. Nel frattempo, le compagnie petrolifere non statali e indipendenti, come Shell, adottano "un approccio cauto" e "preferiscono generare liquidità per i loro investitori piuttosto che investire in ulteriori capacità produttive". Di conseguenza, l'OPEC si aggiudica una quota maggiore della produzione.

Lo stesso discorso vale per il gas. Shell afferma che: “Una caratteristica fondamentale dello scenario Sky 2050 è che l’‘età dell'oro del gas’ volge al termine”. Secondo l’analisi di Carbon Brief, il nuovo scenario rivela che la crescita della produzione di gas ha raggiunto il picco appena prima della pandemia di COVID-19.

A lungo termine, il nuovo scenario vede il consumo di petrolio e gas ridursi di circa due terzi rispetto al precedente percorso Sky 1,5° C. Tuttavia, Shell vede ancora un ruolo significativo per entrambi i combustibili fossili fino al 2100.

La minore domanda di energia è in gran parte determinata da un’accelerazione dell’introduzione delle rinnovabili, da una maggiore elettrificazione del sistema energetico e da un più rapido efficientamento energetico delle abitazioni. Il nuovo scenario ridimensiona inoltre in modo significativo le ipotesi di crescita dell'energia nucleare e della bioenergia.

Rispetto agli scenari precedenti viene dato meno spazio al ruolo dell'afforestazione. Il vecchio scenario di 1,5°C di Shell prevedeva "un'ampia diffusione di soluzioni basate sulla natura", tra cui la piantumazione di alberi su un'area che si avvicina a quella del Brasile. Il nuovo scenario ammette che si tratta di un’ipotesi irrealistica.

Non mancano, infine, soluzioni ancora controverse, popolari all'interno dell'industria dei combustibili fossili, nonostante non siano ancora state testate su larga scala, come la rapida crescita delle macchine per la cattura diretta dell'aria (DAC) per rimuovere la CO2 dall'atmosfera. 

Oltre ai dubbi sulla realizzabilità, la tecnologia DAC potrebbe richiedere un fabbisogno energetico molto elevato. Infatti, in “Sky 2050” la DAC finisce per consumare il 13% delle forniture energetiche mondiali nel 2100. Si tratta di una quantità di energia superiore a quella utilizzata per alimentare ogni veicolo stradale, ogni aereo o ogni abitazione nel mondo.

Le temperature record degli oceani stanno portando la Terra in un “territorio inesplorato”

Le temperature degli oceani del mondo hanno toccato nuovi massimi per più di un mese e, secondo diversi esperti, sta portando la Terra in un “territorio inesplorato” nella crisi climatica.

I dati raccolti dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti hanno rilevato ininterrottamente temperature mai raggiunte da quando vengono raccolte dal 1981, in un periodo dell’anno in cui le temperature oceaniche sono normalmente in calo rispetto ai picchi annuali di marzo e aprile. Variando leggermente di giorno in giorno, non sono scese sotto i 21°C per almeno 45 giorni consecutivi. Si tratta di un’anomalia per la quale gli scienziati del clima faticano a trovare una risposta. “È una vera sorpresa e molto preoccupante. Potrebbe trattarsi di un picco estremo di breve durata, oppure potrebbe essere l'inizio di qualcosa di molto più grave”, ha commentato il prof. Mike Meredith del British Antarctic Survey.

Il riscaldamento degli oceani è preoccupante per molte ragioni. L'acqua del mare occupa più spazio a temperature più elevate, accelerando l'innalzamento del livello del mare, e l'acqua più calda ai poli accelera lo scioglimento delle calotte di ghiaccio. Le temperature più elevate possono anche essere disastrose per gli ecosistemi marini. I coralli, in particolare, possono subire sbiancamenti devastanti.

Secondo uno studio delle Università di Exeter e Cardiff, pubblicato sulla rivista Nature Communications il 27 aprile, la “zona crepuscolare” degli oceani, compresa tra i 200 e i 1.000 metri di profondità, che riceve poca luce ma ospita un'ampia varietà di organismi e miliardi di tonnellate di materia organica, è particolarmente vulnerabile al riscaldamento: il cambiamento climatico sarebbe sulla buona strada per causare una riduzione del 20-40% della vita marina nella zona crepuscolare entro la fine di questo secolo.

Alcuni scienziati temono che il rapido riscaldamento possa essere il segno che la crisi climatica stia progredendo più rapidamente del previsto. Negli ultimi decenni gli oceani hanno agito come una sorta di cuscinetto globale contro la crisi climatica, sia assorbendo grandi quantità di anidride carbonica che abbiamo riversato nell'atmosfera, sia immagazzinando circa il 90% dell'energia e del calore in eccesso che si è creato. Che si stia arrivando al limite della capacità di assorbimento degli oceani? Secondo il prof. Meredith è ancora troppo presto per giungere a conclusioni.

Agenzia Internazionale dell'Energia (IEA): nel 2023 un'auto su cinque sarà elettrica

Secondo il nuovo rapporto Global EV Outlook dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), ci sarà una crescita “esplosiva” del mercato delle auto elettriche ed entro il 2030 più di un veicolo nuovo su tre sarà elettrico. Più del doppio rispetto alle previsioni di appena due anni fa, soprattutto grazie alle nuove politiche di crescita negli Stati Uniti e nell’Unione Europea. Il che si traduce in un taglio di emissioni annuali equivalenti all’intera economia tedesca e a una diminuzione del 5% – sempre entro il 2030 – della domanda di petrolio (cinque milioni di barili al giorno). Già per il 2023, la IEA prevede che un’auto nuova su cinque sarà elettrica. Tuttavia, aggiunge la IEA, la concomitante espansione dei SUV, veicoli di grandi dimensioni ad alto consumo energetico, ha quasi annullato le riduzione delle emissioni derivanti dalle vendite record delle auto elettriche.

Il ruolo delle auto elettriche nella lotta al cambiamento climatico

Nel 2022, infatti, è stata registrata una diminuzione delle emissioni globali di 80 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti (MtCO2e) grazie alla vendita di oltre 10 milioni di auto elettriche. Entro la fine di quest’anno si dovrebbero raggiungere le 14 milioni di vendite, pari al 18% del totale, un incremento del 4% rispetto al 14% del 2022 e l’1% del 2017.

Il 60% delle vendite globali è avvenuto in Cina, dove già nel 2022 un’auto su tre venduta è stata elettrica.

Oltre alla Cina, la IEA segnala, come detto, le nuove politiche adottate in materia da Stati Uniti e Unione Europea che, insieme, hanno portato a rivedere al rialzo le previsioni degli anni scorsi.

Se i governi raggiungessero gli obiettivi che si sono prefissati sia per i veicoli elettrici che per la produzione di energia pulita, si eviterebbero 770 MtCO2e di emissioni, prosegue la IEA. In questo scenario, denominato "Scenario degli impegni annunciati" (APS), le nazioni sarebbero a circa due terzi del cammino verso il percorso che porta a emissioni nette zero entro il 2050 (NZE). Per colmare il divario rimanente, i governi dovrebbero accelerare la decarbonizzazione di camion e autobus, in particolare, che porterebbe a un calo delle emissioni del 25%.

Tuttavia, il rapporto osserva che bisognerà tenere in considerazione l’aumento delle vendite dei SUV, inclusi quelli elettrici. Oltre alle emissioni derivanti dalla guida, infatti, “sarà importante anche mitigare gli impatti delle batterie di dimensioni più elevate". Il rapporto rileva che le maggiori quantità di minerali necessarie per costruire le batterie dei SUV possono comportare emissioni di CO2 derivanti dalla lavorazione e dalla produzione superiori di oltre il 70% rispetto alle normali batterie per auto elettriche.

I cambiamenti climatici hanno reso la siccità del Corno d’Africa 100 volte più probabile

La peggiore siccità degli ultimi quarant'anni ha causato nel Corno d’Africa la perdita dei raccolti, la morte degli animali e ha lasciato più di 4 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria e 20 milioni a rischio di insicurezza alimentare. Nel 2022, 942.000 bambini di età compresa tra i sei mesi e i cinque anni hanno sofferto di malnutrizione acuta nel solo Kenya. In Kenya, Etiopia e Somalia, 3,3 milioni di persone hanno dovuto abbandonare le proprie case. Secondo uno studio del gruppo World Weather Attribution, senza i cambiamenti climatici causati dall'uomo, la siccità che ha colpito nel 2021 il sud dell'Etiopia, la Somalia meridionale e il Kenya orientale non si sarebbe verificata. La crisi climatica ha reso la portata devastante di questa siccità circa 100 volte più probabile.

L'intensità e la probabilità della siccità africana sono state dovute “principalmente” all'evaporazione dell'acqua dal suolo e dalle piante, aumentata “significativamente” a causa delle temperature più elevate rispetto alla norma.

“Le frequenti siccità pluriennali avranno un grave impatto sulla sicurezza alimentare e sulla salute delle persone nel Corno d'Africa, dato che il clima continua a riscaldarsi”, ha commentato Joyce Kimutai, scienziata del clima presso il Dipartimento meteorologico del Kenya e autore dello studio. Sebbene gli abitanti della regione “non siano estranei alla siccità”, la durata di quella del 2021 “ha spinto le persone oltre la loro capacità di farvi fronte”, ha aggiunto Cheikh Kane, consulente per le politiche di resilienza climatica presso il Centro per il clima della Croce Rossa e altro autore del rapporto.

I ricercatori hanno analizzato i dati meteorologici e le simulazioni dei modelli computerizzati per confrontare il clima odierno con quello dell'era preindustriale, prima che il mondo si riscaldasse di circa 1,1 C. Nonostante le recenti piogge abbondanti e le inondazioni improvvise nel Corno d'Africa, l'Osservatorio della Terra della NASA ha avvertito a marzo che la situazione di siccità “probabilmente continuerà” e non sarà fermata dal tempo umido di quest'anno.

L’espansione delle terre coltivate nelle aree protette minaccia gli obiettivi per la conservazione della biodiversità

L’ultima Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità a Montreal, in Canada, si è conclusa con un accordo, aspettato per anni, che prevede di proteggere il 30% della terra e del mare (30 by 30) entro il 2030. Rispettare quest’obiettivo sarà, però, “impegnativo” se i terreni coltivati continueranno a espandersi nelle aree protette ai ritmi registrati tra il 2000 e il 2019, rileva uno studio pubblicato su Nature Sustainability

COP15, accordo epocale per fermare la perdita di biodiversità entro il 2030. Ignorate le richieste degli Stati africani per un fondo per i paesi più vulnerabili

Nel mondo ci sono più di 260.000 aree protette, tra cui parchi nazionali, foreste e riserve naturali. Secondo l'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, queste aree sono uno “strumento importante” per immagazzinare il carbonio, salvaguardare la biodiversità e ridurre i rischi legati al clima. Secondo il rapporto Protected Planet del marzo 2023, poco più del 17% delle terre e delle acque interne del mondo sono attualmente aree protette e conservate. 

Ricerche precedenti hanno stimato che il 6% delle aree protette globali è utilizzato per le coltivazioni. Per capire come queste aree stiano cambiando nel tempo, il nuovo studio utilizza immagini satellitari per valutare a distanza l'estensione dell'espansione delle coltivazioni nelle aree protette di tutto il mondo. Sono state prese come riferimento tre serie di dati (che coprono diversi periodi di tempo per valutare la portata di questa espansione) che mostrano come il tasso annuale di espansione delle terre coltivate sia cresciuto di ben 58 volte in quasi due decenni. Ciò rappresenta una “grande minaccia potenziale per la conservazione della biodiversità” e, senza cambiamenti nelle aree protette cruciali, l'obiettivo globale di conservazione del territorio per il 2030 “non sarà raggiunto”. 

Un gruppo di ricercatori dell’università di Oxford ha coinvolto 250 studenti per monitorare gli impegni di Stati e aziende per la riduzione delle emissioni

Il consorzio Tracker, nato da un progetto comune tra l'Energy and Climate Intelligence Unit e Oxford Net Zero, un gruppo interdisciplinare di ricercatori dell'Università di Oxford (con il contributo del Data Driven EnviroLab dell'Università del North Carolina Chapel Hill e dell'organizzazione di ricerca no-profit NewClimate Institute), ha coinvolto 250 studenti per la realizzazione di Net Zero Tracker, una piattaforma che raccoglie i dati e valuti gli impegni climatici di Stati e aziende peri una decarbonizzazione reale e tempestiva.

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I volontari vanno dalle matricole ai dottorandi dell'ultimo anno, provengono da percorsi formativi differenti, dalle scienze fisiche del clima alla letteratura inglese e ricevono una formazione per l’immissione e il monitoraggio dei dati da inserire sulla piattaforma. “I volontari collaborano in occasione di ‘code-a-thon’ di persona, o da casa, per sviscerare un oceano di dati pubblicamente disponibili, che comprendono l’analisi della solidità degli obiettivi che 200 paesi e 2.000 tra le maggiori società quotate in borsa del mondo si sono dati”, spiega Camilla Hyslop in un articolo su Times Higher Education. Finora sono stati creati più di 50.000 singoli punti di dati. 

“Il feedback più comune dei volontari è che la loro conoscenza sulle emissioni zero nette aumenta notevolmente, così come le loro capacità di ricerca”, osserve Hyslop. “Inoltre, i volontari provano quel senso di appagamento che deriva dall'azione personale. Alcuni volontari hanno persino preso in considerazione l'idea di cambiare la direzione dei loro studi o delle loro carriere dopo aver fatto volontariato con noi. Nel prossimo futuro introdurremo un sistema di certificazione per riconoscere il loro lavoro. Questo dovrebbe aprire loro delle porte in futuro, vista la crescente domanda di alfabetizzazione al net-zero”.

Immagine in anteprima: Pxhere.com - Free of Copyrights (Creative Commons CC0)

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