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I cambiamenti climatici stanno aggravando le malattie infettive ed esacerbando i problemi di salute

14 Settembre 2022 13 min lettura

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I cambiamenti climatici stanno aggravando le malattie infettive ed esacerbando i problemi di salute

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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.

Dalla febbre del Nilo occidentale all'asma, i cambiamenti climatici stanno aggravando le malattie infettive e ostacolando la nostra capacità nel combatterle. È quanto emerge da una ricerca pubblicata sulla rivista Nature Climate Change ad agosto, secondo la quale più della metà delle malattie infettive conosciute per il loro impatto sull’uomo è stata resa più pericolosa dai cambiamenti climatici. 

Malattie come l'epatite, il colera, la malaria e molte altre si stanno diffondendo più velocemente, colpiscono ampie fasce della popolazione in tutto il mondo e stanno diventando più gravi a causa di eventi legati al clima. E non è solo la trasmissibilità ad aumentare: il cambiamento climatico ha impatti sulla salute, l’immunità e l’accesso alle cure mediche.

“La risposta sanitaria globale a queste malattie dovrà essere massiccia”, ha commentato Erik Franklin, professore associato all’Università delle Hawaii e uno degli autori dello studio. “È un'altra prova che siamo nei guai. Dobbiamo ridurre rapidamente il nostro carico di emissioni di gas serra”.

I ricercatori si sono concentrati su dieci tipi di eventi meteorologici estremi resi più violenti e intensi dalla crisi climatica (come inondazioni, ondate di calore, siccità e incendi) e hanno esaminato i casi in cui questi eventi sono stati uno dei fattori trainanti di 375 malattie infettive note. Lo studio ha riscontrato che nel 58% dei casi il cambiamento climatico ha reso più gravi le malattie infettive. 

I modi in cui il cambiamento climatico può influire sulle malattie sono diversi. Innanzitutto, con l'aumento delle temperature globali e il cambiamento degli ecosistemi, gli agenti patogeni stanno cambiando il loro raggio d'azione, avvicinandosi a nuove popolazioni. Le zanzare, ad esempio, si stanno espandendo in nuove aree precedentemente inospitali per la loro specie, diffondendo la malaria, la dengue, il virus del Nilo occidentale e la febbre Chikungunya.

Inoltre, prosegue la ricerca, le migrazioni climatiche di chi fugge da tempeste, inondazioni e innalzamento del livello del mare hanno esposto le persone a virus, batteri e altri agenti patogeni, tra cui l’Escherichia coli, il vibrione del colera e la salmonella. In particolare, le infezioni associate al vibrione sono aumentate notevolmente in Svezia e Finlandia a seguito di un'ondata di calore nel nord della Scandinavia nel 2014.

In terzo luogo, il cambiamento climatico sta rendendo più forti gli agenti patogeni. Il riscaldamento degli oceani, ad esempio, sta accelerando la crescita delle fioriture algali nocive, collegate a diarrea e vomito, problemi respiratori e danni al fegato. Gli studi hanno dimostrato che l'aumento delle temperature può aiutare i virus a diventare più resistenti al calore, con conseguente aumento della gravità della malattia in quanto i patogeni sono in grado di adattarsi meglio alla febbre nel corpo umano. Inoltre, alcune ricerche suggeriscono che l'aumento delle temperature globali sta portando a una maggiore tolleranza al calore dei patogeni fungini. L'improvvisa comparsa in diversi continenti di infezioni umane resistenti al trattamento di Candida auris, un fungo precedentemente non patogeno per l'uomo, è stata associata all'aumento delle temperature globali.

Infine, i cambiamenti climatici possono indebolire le capacità di adattamento delle persone e renderle più suscettibili alle malattie. La concentrazione di nutrienti nelle colture, ad esempio, si abbassa con l'aumento dei livelli di anidride carbonica e può essere causa di malnutrizione. Lo stress legato a condizioni climatiche estreme aumenta anche il cortisolo, che riduce la nostra risposta immunitaria naturale.

Lo studio di Nature Climate Change conclude che la riduzione delle emissioni di gas serra è essenziale per mitigare la diffusione delle malattie indotta dai cambiamenti climatici. "Il nostro articolo chiarisce che il numero di malattie e le vie in cui si possono scatenare le epidemie sono troppo numerose per un adattamento completo", spiegano gli autori dello studio.

I ricercatori hanno anche realizzato un portale in cui è possibile visualizzare le vie di trasmissione delle malattie influenzate dal clima. “La nostra speranza con questo strumento è aiutare i medici a scavare a fondo nei risultati, a identificare se ci sono rischi climatici o malattie su cui la crisi climatica ha un impatto”, ha detto Franklin.

L'aggravarsi delle malattie infettive non è infatti l'unica minaccia alla salute pubblica che si sta intensificando a causa dei cambiamenti climatici. Il cambiamento climatico sta esacerbando una serie di problemi di salute, tra cui lesioni e morti premature legate a eventi meteorologici estremi, aumento delle malattie respiratorie e cardiovascolari e deterioramento della salute mentale, spiega il dottor Shyam Bishen, responsabile del settore salute e sanità del World Economic Forum: "Il cambiamento climatico sta diventando una vera e propria emergenza di salute pubblica".

I rischi per la salute legati ai cambiamenti climatici sono avvertiti in modo sproporzionato dalle persone più vulnerabili e svantaggiate, tra cui gli anziani, le comunità povere e le minoranze etniche. "Sebbene nessuno sia al sicuro da questi rischi – osserva Bishen – le persone la cui salute è maggiormente danneggiata dalla crisi climatica sono quelle che contribuiscono meno alle sue cause e che sono meno in grado di proteggere se stesse e le loro famiglie da questa crisi".

Il superamento di 1,5°C di riscaldamento globale potrebbe innescare molteplici punti di svolta climatici

Il 9 settembre su Science è stato pubblicato uno studio sui punti di svolta climatici dai risvolti più preoccupanti per il pianeta tra quelli usciti quest’anno. Secondo la ricerca, un aumento delle temperature tra 1,5°C e 2°C (0,3°C in più rispetto a quelle attuali e dentro i parametri dell’accordo di Parigi), potrebbe innescare molteplici punti di svolta climatici. 

I punti critici sono soglie che, se superate, innescano cambiamenti su larga scala e potenzialmente irreversibili facendo passare bruscamente un sistema - o un “elemento” - a un nuovo stato con gravi implicazioni per l'umanità. Tra questi, l’innalzamento del livello del mare per lo scioglimento delle calotte glaciali, la scomparsa di ecosistemi di biodiversità come la foresta pluviale amazzonica o le barriere coralline, il rilascio del carbonio per lo scongelamento del permafrost. Ad esempio, se il punto di svolta della calotta glaciale dell'Antartide occidentale viene superato, il rapido scioglimento causerà il collasso della calotta.

L’aumento delle temperature – spiegano i ricercatori – potrebbe aver già spinto il pianeta al di là di uno “stato climatico sicuro”. Per questo dobbiamo fare di tutto per limitare l’aumento delle temperature rispetto all’era pre-industriale al di sotto degli 1,5°C. Tutti i parametri attuali proiettano, invece, il pianeta a un innalzamento delle temperature dai 2°C ai 3°C. 

Lo studio, che ha analizzato centinaia di studi accademici per fornire una “valutazione aggiornata” dei punti critici legati al clima, ha identificato 16 punti di svolta in totale (nove sistemi che riguardano l'intero sistema Terra e altri sette che, se superata la soglia, avrebbero “profonde conseguenze regionali”), delineando le soglie di temperatura, i tempi e gli impatti di ciascuno. Se le temperature saliranno di 1,5°C, quattro elementi di rischio diventeranno “probabili” e altri sei saranno “possibili”. Se, invece, il pianeta si riscalderà di 2,6°C, come previsto dalle attuali politiche climatiche, i punti di svolta “probabili” o “possibili” saranno tredici.

In particolare, lo studio ha rilevato che cinque elementi di rischio, tra cui il collasso della calotta glaciale dell'Antartide occidentale e un brusco disgelo del permafrost, sono già “possibili”. 

L'ombreggiatura gialla indica i punti critici relativi alla criosfera, l'arancione la biosfera e il rosso l'atmosfera e gli oceani. I cerchi gialli indicano i punti critici che potrebbero essere superati con un riscaldamento inferiore a 2°C rispetto ai livelli preindustriali, i quadrati arancioni indicano 2-4°C e i triangoli rossi oltre 4°C.

“Le osservazioni hanno rivelato che alcune parti della calotta glaciale dell'Antartide occidentale potrebbero aver già superato un punto di ribaltamento”, ha commentato l’autore principale dello studio, David McKay, visiting fellow presso il Global Systems Institute dell'Università di Exeter. “Sono stati rilevati potenziali segnali di allarme per la calotta glaciale della Groenlandia, per la circolazione meridiana atlantica e per la destabilizzazione della foresta amazzonica”.

Tuttavia, ha spiegato a Carbon Brief Sebastian Bathiany, ricercatore dell'Università tecnica di Monaco di Baviera (che non ha partecipato alla ricerca), per quanto questa ricerca vada nella “giusta direzione”, i suoi risultati non vanno presi come definitivi. La discussione sui punti critici è ancora in corso e la loro definizione sposta i rilevamenti degli studi. “Le incertezze in questo campo di ricerca sono ancora troppo grandi per fare affermazioni quantitative”, osserva Bathiany. “Le proiezioni dei modelli climatici sono altamente incerte e potenzialmente inaffidabili per quanto riguarda i punti di svolta... Di conseguenza, l'elenco degli elementi vicini al punto di svolta e le soglie di temperatura cambieranno sicuramente ancora”.

Crisi energetica, think tank Bruegel: “Solo con una politica unitaria l’Unione Europea potrà superare la crisi energetica” 

Un grande accordo per arrivare a una politica energetica unitaria e superare la crisi attuale. È la strada proposta da un paper pubblicato dal think tank Bruegel alla vigilia dell’incontro dei ministri dell’Energia dei 27 Stati membri dell’Unione Europea a Bruxelles, lo scorso 9 settembre.

Il meeting ha portato a un nulla di fatto. Non è stata presa una decisione sul tetto al prezzo del gas anche se, come ha affermato il ministro alla Transizione Ecologica Roberto Cingolani, “15 paesi si sono pronunciati chiaramente a favore di un price cap generalizzato, tre preferirebbero averlo solo sul gas russo, tre non hanno pregiudiziali ma lo vorrebbero subordinato a verifiche di sostenibilità con una apertura ragionevole e cinque paesi sono contrari o neutrali”.

Il 14 settembre, durante il discorso annuale sullo Stato dell'Unione Europea al Parlamento Europeo in riunione a Strasburgo, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha illustrato le proposte della Commissione per contrastare l’aumento del prezzo del gas e dell’energia elettrica. L’obiettivo è raccogliere più di 140 miliardi di euro tassando il 33% degli extraprofitti delle imprese del petrolio, del gas, del carbone e della raffinazione a partire dall'anno fiscale 2022 (con introiti previsti di 25 miliardi di euro in più all'anno) e fissando un tetto massimo di 180 euro per megawattora alle entrate dei fornitori di energia nucleare e rinnovabile. Questo, a sua volta, genererebbe un profitto in eccesso di circa 117 miliardi di euro all'anno che dovrebbe essere incanalato in sussidi per le famiglie e le imprese in difficoltà che devono far fronte all'impennata delle bollette energetiche. La Commissione ha proposto anche un obiettivo obbligatorio per i paesi di ridurre l'elettricità del 5% nelle ore di punta per evitare un inverno di blackout e razionamenti. I depositi di gas degli Stati membri sono pieni all’84%, un buon livello prima dell’inverno ma che potrebbe non essere sufficiente per affrontare tutta la stagione invernale.

Le proposte dovranno poi essere approvate dagli Stati membri prima di diventare effettive, scrive ancora Bloomberg mentre, aggiunge Reuters, i paesi UE saranno autorizzati a utilizzare 225 miliardi di euro di prestiti non utilizzati dal fondo di recupero Covid dell’Unione Europea “per affrontare la crisi energetica”. Inoltre, l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) ha dichiarato di “stare valutando un modo per aiutare le società energetiche in crisi di liquidità”.

Il sistema energetico europeo sta affrontando uno stress fisico e istituzionale senza precedenti, scrive Bruegel. Alla base della crisi c'è uno squilibrio energetico globale post-COVID-19 quando, subito dopo la fine dei lockdown e la riapertura delle economie, l’offerta di energia non ha tenuto il passo dell’aumento della domanda. E alla riduzione dell’offerta di combustibili fossili in linea con gli obiettivi climatici non è corrisposta una riduzione proporzionale della domanda dei combustibili stessi. Questa situazione è stata aggravata poi dalla “manipolazione russa dei mercati europei del gas naturale dall'estate 2021” e da altri eventi critici “come la debole produzione nucleare francese e la siccità in corso, che ha ridotto la produzione di energia idroelettrica”.

“La risposta politica finora è stata eccessivamente focalizzata a livello nazionale e potrebbe compromettere gli obiettivi di calmare i mercati energetici nei prossimi 18 mesi e di raggiungere ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione”, spiega Bruegel. In risposta ai prezzi elevati e volatili del gas e alla riduzione forzata della domanda, i governi europei hanno tendenzialmente optato per misure ristrette e non coordinate, privilegiando la sicurezza nazionale dell'approvvigionamento e l'accessibilità economica a un approccio europeo integrato. “Sovvenzionare il consumo di energia invece di ridurre la domanda è stato un approccio comune e sbagliato. I governi corrono il rischio che i sussidi al consumo energetico diventino insostenibili, erodendo la fiducia nei mercati energetici, rallentando l'azione sanzionatoria nei confronti della Russia e aumentando il costo della transizione verso le emissioni zero nette”. 

L'attuale crisi sembra destinata a lasciare dietro di sé un sistema radicalmente diverso, ma quale sarà l'aspetto di questo sistema rimane una questione aperta, prosegue il think tank che propone come soluzione “un grande accordo energetico basato su quattro principi generali: 1) Tutti i paesi devono anticipare tutta la flessibilità disponibile sul lato dell'offerta 2) Tutti i paesi devono compiere sforzi globali per ridurre la domanda 3) Una politica che si impegni a mantenere i mercati energetici e i flussi transfrontalieri, 4) Una compensazione per i consumatori più vulnerabili.

Le nazioni africane chiedono maggiori finanziamenti per il clima in vista della COP27

I ministri africani, riuniti al Cairo due mesi prima della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, hanno chiesto un forte incremento dei finanziamenti per il clima nel loro continente e misure più miti nel percorso di transizione verso fonti di energia pulita. “Il continente africano emette solo il 3% delle emissioni globali di CO2”, ha osservato l'ex capo delle Nazioni Unite Ban Ki-moon. “Eppure le nazioni africane sono tra le più esposte agli effetti del cambiamento climatico”. “L'Africa beneficia di meno del 5,5% dei finanziamenti globali per il clima, nonostante abbia una bassa impronta di carbonio, svolga un ruolo chiave nella cattura dei gas serra, come nel bacino del Congo che ospita la seconda foresta pluviale tropicale più grande del mondo dopo quella amazzonica, e soffra in modo sproporzionato dei cambiamenti climatici”, si legge in un comunicato rilasciato dai ministri africani delle Finanze, dell'Economia e dell'Ambiente. 

Il comunicato chiede ai paesi ricchi di rispettare gli impegni assunti in materia di clima e afferma che i paesi poveri dovrebbero essere in grado di svilupparsi economicamente, ricevendo al contempo maggiori fondi per adattarsi all'impatto dei cambiamenti climatici. 

Secondo la Banca africana di sviluppo (AfDB), l'Africa sta perdendo dal 5% al 15% della sua crescita economica pro capite a causa degli effetti del cambiamento climatico e si trova ad affrontare un'enorme carenza di finanziamenti per il clima. Le nazioni africane hanno ricevuto circa 18,3 miliardi di dollari in finanziamenti per il clima tra il 2016 e il 2019, ha dichiarato Kevin Urama, capo economista ad interim della AfDB. Ma si trovano di fronte a un buco di quasi 1.300 miliardi di dollari di finanziamenti per il clima per il periodo dal 2020 al 2030. Nel 2009 le nazioni ricche hanno promesso di fornire 100 miliardi di dollari di finanziamenti per il clima ai paesi in via di sviluppo. Ma questa promessa è stata rispettata solo in parte e scadrà nel 2025.

“Queste somme riflettono la situazione di crisi”, ha dichiarato Urama. “Investire nell'adattamento climatico nel contesto dello sviluppo sostenibile è il modo migliore per affrontare gli impatti del cambiamento climatico”.

Stilisti di tutto il mondo utilizzano tecniche tradizionali per creare capi che non sprecano tessuto

Ogni anno si creano 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili. Secondo le Nazioni Unite, l'industria della moda è responsabile del 10% delle emissioni di carbonio mentre un rapporto del World Economic Forum del 2021 ha indicato la moda, insieme alla sua catena di approvvigionamento, come il terzo inquinatore mondiale. Entro il 2030 si prevede che il consumo globale di abbigliamento salirà a 102 milioni di tonnellate all'anno, rispetto agli attuali 62 milioni di tonnellate.

Ma da un po’ di tempo a questa parte, stilisti di tutto il mondo si ispirano alla produzione di abiti tradizionali per eliminare gli sprechi di tessuto. 

Una di loro è la 27enne Bhaavya Goenka. Cresciuta guardando i camion pieni di tessuti scartati dalla fabbrica di abbigliamento dei suoi genitori a Jaipur, in India, Goenka ha fondato Iro Iro, un marchio e un servizio di moda che recupera gli scarti tessili e li utilizza secondo le pratiche indigene. “Nelle nostre culture collettive c'è consapevolezza dei tessuti e dei materiali e io cerco di trarne ispirazione”, spiega Goenka. In collaborazione con le aziende di design, Iro Iro raccoglie i loro scarti, li scompone in pezzi più piccoli e lavora con gli artigiani dei villaggi per tesserli in nuovi tessuti”. 

Tuttavia, per ridurre lo spreco, l’inquinamento e le emissioni generati dall’industria della moda, non si può prescindere dai produttori di massa, come Zara, H&M e Marks & Spencer, spiega Abu Sadat Muhammad Sayem, ricercatore associato presso il Manchester Fashion Institute che studia come il taglio dei modelli a spreco zero possa essere applicato alla produzione di massa. “Non è sufficiente che gli stilisti di fascia alta e quelli che realizzano capi su misura pratichino tecniche di design a spreco zero. L'onere di ridurre i rifiuti tessili deve ricadere sui produttori di massa”.

Sciopero globale per il clima: lettera aperta agli insegnanti delle scuole italiane

I Teachers For Future Italia, una rete nazionale di insegnanti, educatori, dirigenti scolastici e rettori, professori e ricercatori che aderiscono al Manifesto degli Insegnanti per il Futuro, pubblicato in occasione del primo sciopero globale per il clima, hanno inviato una lettera agli insegnanti delle scuole italiane per invitarli a mobilitarsi accanto agli studenti in occasione dello sciopero globale per il clima del prossimo 23 settembre.

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“L’inizio di quest’anno scolastico assume per noi un significato particolare, perché avviene a valle di una lunga estate caratterizzata da ondate di calore, siccità, eventi estremi, che hanno fatto toccare con mano a tutti gli italiani le pesanti conseguenze del cambiamento climatico. Vogliamo quindi trasformare questo contesto drammatico in una opportunità per coinvolgere studenti, colleghi e dirigenti in attività sia didattiche che operative che possano rappresentare una risposta al problema, perlomeno per quanto compete al mondo della scuola”, si legge nella lettera. 

La rete di docenti affianca e sostiene gli studenti che si mobilitano per chiedere un efficace contrasto ai cambiamenti climatici e ha elaborato una serie di proposte operative, attività didattiche e iniziative concrete di lotta al cambiamento climatico. 

Immagine in anteprima via World Economic Forum

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