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Contributi pubblici ai giornali: cosa prevede la nuova legge sull’editoria

11 Ottobre 2016 9 min lettura

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Contributi pubblici ai giornali: cosa prevede la nuova legge sull’editoria

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Aggiornamento 4 giugno 2018: A fine luglio dello scorso anno il governo Gentiloni ha approvato il decreto che regola "la concessione dei contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici", in cui vengono indicate modalità, ente competente e tempistica per presentare la domanda e le caratteristiche che un'impresa deve avere per averne diritto.

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Aggiornamento 27 marzo 2017: Venerdì 24 marzo, il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legislativo che ridefinisce la disciplina dei contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici.

Il provvedimento punta a rafforzare i requisiti di accesso alle risorse pubbliche ("richiedendo fra l’altro che l’edizione cartacea sia necessariamente affiancata da quella digitale, e prevedendo obblighi riguardo l’applicazione dei contratti di lavoro") e chiarisce quali imprese editrici possono essere destinatarie dei contributi all'editoria:

– Cooperative giornalistiche che editano quotidiani e periodici;
– Imprese editrici di quotidiani e periodici il cui capitale è detenuto in misura maggioritaria da cooperative, fondazioni o enti senza fini di lucro, limitatamente ad un periodo transitorio di cinque anni dall’entrata in vigore della legge di delega;
– Enti senza fini di lucro ovvero imprese editrici di quotidiani e periodici il cui capitale è interamente detenuto da tali enti;
– Imprese editrici che editano quotidiani e periodici espressione di minoranze linguistiche; imprese editrici, enti ed associazioni che editano periodici per non vedenti e ipovedenti;
– Associazioni dei consumatori che editano periodici in materia di tutela del consumatore, iscritte nell’elenco istituito dal Codice del consumo;
– Imprese editrici di quotidiani e di periodici italiani editi e diffusi all’estero o editi in Italia e diffusi prevalentemente all’estero.

Il decreto elenca anche chi non può accedervi:

– Imprese editoriali quotate in Borsa.
– Imprese editrici di organi d’informazione dei partiti, dei movimenti politici e sindacali.
– Le pubblicazioni specialistiche.

Riguardo i criteri di calcolo dei contributi, questi verranno calcolati in parte come rimborso dei costi e in parte in base al numero di copie vendute. Nel comunicato stampa di Palazzo Chigi si legge che "al fine di sostenere la transizione dalla carta al web", ai costi connessi all'edizione digitale sarà riconosciuta una percentuale più alta. Inoltre, verranno previsti parametri diversi a seconda del numero di copie vendute e verrà introdotto un limite massimo al contributo, che in ogni caso non potrà superare il 50% dei ricavi conseguiti nell’anno di riferimento.

Il decreto legislativo è stato approvato in attuazione della legge n.198 del 2016, che spiega il Post, istituiva un fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione e dava deleghe al governo per la ridefinizione, tra le altre cose, della disciplina del sostegno pubblico per il settore dell’editoria. Il provvedimento sarà ora trasmesso al Consiglio di Stato e alle Commissioni parlamentari competenti per l’acquisizione dei rispettivi pareri (non vincolanti).

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Una nuova legge (delega) sull'editoria. Lo scorso 4 ottobre, la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva (con il voto contrario di Movimento 5 Stelle e Forza Italia) un testo che punta a modificare vari aspetti – tra cui i criteri e il calcolo per la distribuzione dei fondi per editoria, radio e tv locali, la composizione e i compiti dell'Ordine dei giornalisti, la liberalizzazione dei punti vendita e la restrizione delle regole per i prepensionamenti – e a introdurne di nuovi, come l'enunciazione di "quotidiano online" che entra nella definizione legislativa di "prodotto editoriale" aprendo a incentivi specifici.

Trattandosi di una legge delega, molte di queste misure dovranno essere concretizzate con decreti attuativi della Presidenza del Consiglio. Proprio su questo aspetto, il sindacato dei giornalisti (FNSI) e gli editori (FIEG), che sulla legge hanno espresso pareri positivi, hanno chiesto che i decreti arrivino entro fine anno per poter così «dare ossigeno alle imprese». Per l'Ordine dei giornalisti (ODG) l’auspicio è che la Presidenza del Consiglio trovi "il modo per far sì che questi finanziamenti non restino nelle casse degli editori, ma vadano anche ai giornalisti che vivono attualmente in una condizione di grande sfruttamento”.

Il nuovo “Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione”

Per sostenere editoria, radio e tv locali, la legge istituisce il “Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione”, le cui risorse (di cui la cifra totale non si conosce ancora) proverranno inizialmente da quattro fonti (altre si aggiungeranno in seguito):

1 – I soldi che lo Stato destina al sostegno dell’editoria quotidiana e periodica (anche digitale), in cui confluisce anche il denaro del “Fondo straordinario per gli interventi di sostegno all'editoria”. Quest’ultimo è stato istituito con la legge di stabilità del 2014 e prevedeva una dotazione di 50 milioni di euro per il primo anno, 40 milioni per il 2015 e terminava con 30 milioni per il 2016. Ma nel 2014 i soldi realmente disponibili sono stati 21 milioni di euro (tra le cause della riduzione, parte del denaro è stato utilizzato per il finanziamento dei prepensionamenti dei giornalisti), mentre per l’anno successivo le risorse effettive sono state pari a 6 milioni e mezzo di euro, anche in questo caso, parte delle risorse mancanti sono state utilizzate per il sostegno alle pensioni anticipate della categoria.

2 – Le risorse statali destinate all'emittenza radiofonica e televisiva in ambito locale, che per il 2016 corrispondono a 48,1 milioni di euro.

3 – Parte delle eventuali maggiori entrate dal canone Rai, che possono raggiungere un importo massimo di 100 milioni di euro annui per il biennio 2016/2018.

4 – Contributo di solidarietà dello 0,1% sul totale del reddito complessivo dei concessionari della raccolta pubblicitaria sulla stampa, radio, tv e media digitali e delle società che svolgono raccolta pubblicitaria sia diretta che per conto terzi.

Non si conoscono ancora la ripartizione delle risorse fra le diverse finalità del fondo, i requisiti soggettivi, i criteri e le modalità per la concessione dei finanziamenti. Tutti questi termini dovranno infatti essere stabiliti tramite successivi decreti della Presidenza del Consiglio dei ministri (DPCM).

Come vengono ridefiniti i contributi diretti

Il finanziamento pubblico all’editoria è tra i temi politici più dibattuti: chi lo vorrebbe mantenere, chi invece abolire, anche per via delle truffe scoperte che ci sono state in questi anni per centinaia di milioni di euro. Negli anni comunque le risorse destinate a questo scopo sono diminuite.

Durante l’ultimo Festival internazionale del giornalismo di Perugia è stata organizzata una giornata di lavoro per analizzare i dati dei finanziamenti all’editoria relativi alle singole testate (da ricordare che la Repubblica, Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano, Il Sole 24 ore, il Giornale, ecc, non ne usufruiscono, mentre quelli indiretti (che consistono, tra l'altro, in agevolazioni fiscali) sono stati utilizzati dai grandi gruppi editoriali. Qui la lista completa di chi ne ha beneficiato per il 2014, mentre per il 2015 i dati e gli importi non sono ancora completi).

I risultati, pubblicati su DatamediaHub, si basano sui contributi diretti alla stampa dal 2012 al 2014 perché quelli antecedenti, spiegano, «sono viziati dal cambio della legge e delle relative definizioni per avere accesso ai finanziamenti».

via DataMediaHub.
via DataMediaHub.

La presidenza del Consiglio è ora delegata a riformulare le regole per i contributi diretti a quotidiani e periodici e a ridefinire la platea di chi li potrà ottenere. Per beneficiarne infatti le imprese, che svolgono un attività informativa autonoma e indipendente, devono essere costituite come cooperative giornalistiche, enti senza fini di lucro o imprese editrici il cui capitale sia interamente detenuto da loro stesse. Per un periodo limitato di cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge, si prevede che possano ottenere i finanziamenti diretti anche le imprese editrici di quotidiani e periodici, il cui capitale sia detenuto in misura maggioritaria da cooperative, fondazioni o enti morali non aventi fini di lucro. Potranno accedervi anche le imprese editrici e le testate con almeno due anni di anzianità e con regolare adempimento degli obblighi derivanti dai contratti collettivi nazionali o territoriali di lavoro.

Inoltre, la norma stabilisce il mantenimento dei contributi per le imprese editrici di quotidiani e di periodici espressione delle minoranze linguistiche, quelle che editano periodici per non vedenti e ipovedenti,
associazioni dei consumatori e imprese editrici di quotidiani e di periodici italiani editi e diffusi all'estero.

Il testo specifica anche chi non potrà beneficiarne: giornali di partito o di movimenti politici (che dal 2003 al 2013 hanno ricevuto 252 milioni di euro dallo Stato, ha calcolato OpenPolis) e sindacali, periodici specialistici a carattere tecnico, aziendale, professionale o scientifico e gruppi editoriali quotati o partecipati da società quotate.

Riguardo al calcolo dei contributi pubblici, comunque, la legge prevede dei “principi e criteri direttivi” da seguire, spiega un report del Servizio Studi della Camera:

  • Il contributo non deve superare la metà dei ricavi totali dell’impresa che ne beneficia.
  • L’aiuto sarà graduato in base al numero di copie annue vendute (che non deve essere inferiore al 30% di quelle distribuite per la vendita per le testate locali e al 20% per quelle nazionali).
  • Prevista una riduzione del contributo per le imprese editrici che superano il limite di 240mila euro annui nel trattamento economico del personale, dei collaboratori e degli amministratori.
  • La valorizzazione delle voci di costo legate alla trasformazione digitale.
  • Premi per chi assumerà a tempo indeterminato lavoratori di età inferiore a 35 anni e per chi porterà avanti azioni di formazione e aggiornamento del personale.

Sempre nella delega sono previsti incentivi fiscali per gli investimenti pubblicitari su quotidiani e periodici, sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, con un’attenzione in particolare a quelli di micro, piccola o media dimensione e alle start up innovative.

Come funzionano i contributi per il 2016

Per quanto riguarda i contributi del 2016 per le imprese editrici, la nuova legge prevede alcuni obblighi. Viene stabilito che il contributo massimo previsto per ogni impresa è pari alla metà dei ricavi complessivi della testata per la quale viene richieste il finanziamento pubblico.

Viene poi cancellato il 5% dell'importo stanziato per i contributi diretti nel bilancio del Dipartimento per l'informazione e l'editoria, destinato ai periodici editi da cooperative, fondazioni o enti morali, senza scopo di lucro. Di conseguenza, questi giornali parteciperanno alla suddivisione generale dei contributi diretti, senza che per loro sia prevista una risorsa esclusiva.

Ordine dei giornalisti e prepensionamenti, cosa cambia

Tra le deleghe al governo c’è anche quella di “razionalizzare” la composizione del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti (passando dagli attuali 144 consiglieri a 60) e i suoi compiti. I principi su cui l’esecutivo dovrà basarsi prevedono un riordino delle competenze in materia di formazione e di procedimento disciplinare.

La delega ci sarà anche per la revisione dei prepensionamenti di categoria (il cui costo dal 2009 pesa in parte sul bilancio dello Stato e non più solo dell'INPGI). Per adeguarsi alla legge Fornero, è previsto infatti un innalzamento dei requisiti anagrafici e contributivi per accedere alla pensione anticipata (oggi in base alla legge n.416 del 1981 i dipendenti da aziende in crisi possono accedere al prepensionamento a 58 anni di età e con 18 anni di anzianità contributiva). Ma il giornalista non potrà mantenere un rapporto di lavoro.
Cambierà anche la procedura per il riconoscimento degli stati di crisi delle imprese editoriali per ottenere gli ammortizzatori sociali e i prepensionamenti.

Anche in questo caso i decreti legislativi (in cui non ci dovranno essere nuove o maggiori spese per lo Stato) dovranno essere emanati entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge.

Riscrivere l'equo compenso

Nel 2012 è stata creata la “Commissione per la valutazione dell'equo compenso nel lavoro giornalistico”, formata da governo, Ordine dei giornalisti, organizzazioni sindacali di categoria, editori e Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (INPGI).
Il 20 giugno 2014 viene siglata (con il voto contrario dell’ODG) la prima delibera per l’equo compenso che stabiliva tariffe minime per i giornalisti assunti con contratti di collaborazione coordinata e continuativa (i co.co.co.).

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L’accordo aveva scatenato critiche e proteste da parte dei coordinamenti di freelance e precari perché, come si leggeva in un petizione lanciata su Change.org per far ritirare la delibera, era ritenuto “iniquo e incostituzionale” con tariffe minime giudicate troppo basse.
Anche Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti, aveva parlato di “vergogna”, aggiungendo che «la delibera condanna a una perpetua schiavitù decine di migliaia di colleghi che avevano sperato nell'equo compenso». Al contrario la FNSI si era schierata a difesa dell'accordo raggiunto.

Quasi un anno dopo, ad aprile del 2015, il TAR del Lazio ha annullato, accogliendo in parte il ricorso presentato dall’ODG, quella delibera perché, si legge tra le motivazioni, “introduce parametri di ‘equo compenso’ non proporzionati alla quantità e alla qualità del lavoro svolto e del tutto insufficienti a garantire un’esistenza libera e dignitosa al giornalista autonomo”.
Decisione poi confermata (con “motivazione parzialmente diversa”), dal Consiglio di Stato nel marzo del 2016.

Ora la nuova legge stabilisce che la Commissione resti in carica fino all'approvazione di una nuova delibera per definire l'equo compenso e ulteriori questioni al riguardo.

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