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Crisi climatica: “Siamo sull’orlo del baratro. Questo è davvero un anno cruciale per il futuro dell’umanità”. Usa, Cina e Russia pronte alla cooperazione?

21 Aprile 2021 11 min lettura

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Crisi climatica: “Siamo sull’orlo del baratro. Questo è davvero un anno cruciale per il futuro dell’umanità”. Usa, Cina e Russia pronte alla cooperazione?

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Aggiornamento 23 aprile 2021: In apertura del vertice in streaming sul clima, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha chiesto ai leader mondiali di agire per “un imperativo morale”, ovvero combattere tutti insieme il cambiamento climatico, e ha detto che lancerà un piano internazionale di finanziamento per il clima per contribuire a sostenere la transizione verso un'economia globale decarbonizzata. In questo senso, Biden ha impegnato gli Stati Uniti a ridurre entro il 2030 le proprie emissioni di gas serra del 50-52% rispetto ai livelli del 2005: “Abbiamo deciso di agire, non solo il nostro governo federale, ma le nostre città e i nostri Stati in tutto il nostro paese, piccole imprese, grandi società, lavoratori americani in ogni campo”, ha dichiarato il presidente degli Stati Uniti.

Durante l’incontro sono intervenuti diversi primi ministri e capi di Stato. Il premier canadese Justin Trudeau ha affermato che il suo paese punterà a ridurre le emissioni del 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005. Il presidente cinese Xi JinPing ha riaffermato l’impegno a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060 mentre il presidente russo Vladimir Putin ha detto che la Russia si è impegnata a portare avanti una “campagna su larga scala per la modernizzazione ambientale e una maggiore efficienza energetica in tutti i settori economici”  e ad aver indicato come priorità “la riduzione significativa delle emissioni nette accumulate nel nostro paese entro il 2050” in un discorso tenuto all'Assemblea federale della Federazione Russa alla vigilia del vertice convocato da Biden. 

Hanno sorpreso le posizioni del Brasile. Il ministro dell'Ambiente brasiliano, Ricardo Salles, ha detto di avere pronto un piano per la riduzione della deforestazione e delle emissioni entro il 2030 ma di aver bisogno di maggiori risorse. “Il Brasile ha presentato agli Stati Uniti, circa un mese fa, e su loro richiesta, un piano d'azione in modo che in 12 mesi, se ci sono risorse, potrebbe muoversi rapidamente verso l'inversione della deforestazione”, ha affermato Salles. “La domanda è: lo faranno davvero? E come concretamente?”, ha commentato l’inviato speciale per clima degli Stati Uniti, John Kerry.

Affrontare la crisi climatica è un “compito erculeo”, insolubile se non ci sarà “una completa trasformazione del modo in cui il mondo conduce gli affari”, ha commentato la Cancelliera tedesca Angela Merkel. Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente francese Emmanuel Macron che ha invitato i leader ad aprirsi alle “tecnologie innovative e dirompenti perché il 2030 è il nuovo 2050”.

C’è grande attesa per il vertice in streaming con 40 leader nazionali organizzato il 22 e il 23 aprile dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden per discutere degli impegni da prendere in vista della Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima di novembre a Glasgow.

Nella lettera di invito all’incontro, il presidente statunitense ha esortato i partecipanti “a utilizzare il vertice come un'opportunità per delineare come ciascun paese contribuirà a politiche e impegni per il clima più ambiziosi”.

Proprio in questi giorni l'Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) delle Nazioni Unite ha sottolineato in un rapporto sullo stato del clima globale che il 2021 deve essere l'anno dell’azione per proteggere le persone dagli effetti “disastrosi” del cambiamento climatico.

Il 2020 – si legge nel rapporto – è stato tra i tre anni più caldi di sempre insieme al 2016 e il 2019, con temperature di circa 1,2 gradi centigradi al di sopra di quelli registrati nel periodo pre-industriale. 

via OMM

Le concentrazioni dei principali gas serra – anidride carbonica, metano e protossido di azoto – hanno continuato ad aumentare nonostante il temporaneo calo delle emissioni in seguito ai lockdown adottati dai governi per rallentare la diffusione del nuovo coronavirus. Nel 2020 le emissioni globali sono diminuite di circa 2,4 miliardi di tonnellate (circa il 7%) ma si è trattato di un calo estemporaneo. “È una tregua temporanea”, spiegava lo scorso dicembre Philippe Ciais, ricercatore presso il Laboratorio di scienze climatiche e ambientali francese. “Il modo per mitigare il cambiamento climatico non è fermare l'attività, ma accelerare la transizione verso l'energia a basse emissioni di carbonio”. E infatti, una volta lasciati alle spalle le chiusure, già a fine 2020, con la ripresa delle economie, la produzione di carbonio è stata superiore allo stesso periodo dell’anno precedente, mentre marzo 2021 ha fatto registrare la più alta concentrazione di anidride carbonica (417,14 parti per milione, il 50% in più) rispetto ai livelli dell’era pre-industriale.

Il rapporto afferma che l’innalzamento del livello del mare sta accelerando di pari passo all’incremento dell’acidificazione e del riscaldamento dell’oceano. Nel corso dell’anno ci sono state 30 tempeste atlantiche che hanno provocato almeno 400 morti e danni per quasi 35 miliardi di euro, ondate di caldo estremo, gravi siccità e incendi che hanno causato ulteriori decessi e decine di miliardi di euro di perdite. Quasi 10 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie abitazioni e i propri paesi in seguito a disastri idrometeorologici come inondazioni, uragani e smottamenti.

“Siamo sull'orlo del baratro”, ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, durante la conferenza stampa di presentazione del rapporto dell'OMM. “Questo è davvero un anno cruciale per il futuro dell'umanità. E questo rapporto mostra che non abbiamo tempo da perdere, il cambiamento climatico è qui”, ha proseguito Guterres. “I paesi devono impegnarsi a ridurre le emissioni nette entro il 2050. Devono agire ora per proteggere le persone dagli effetti disastrosi del cambiamento climatico”.

I colloqui sul clima del 22 e 23 aprile saranno il primo test del tentativo di Biden di fare del riscaldamento globale e del cambiamento climatico una priorità dell’agenda politica mondiale. 

Il presidente statunitense ha fatto del clima un asse centrale della sua candidatura e del suo programma politico. Fra i suoi primi atti da presidente, ha firmato il rientro degli USA nell’accordo sul clima, dal quale si era sfilata l’amministrazione Trump, e il suo piano per affrontare il cambiamento climatico è stato definito da molti il piano più ambizioso di qualsiasi altro candidato presidenziale americano. Per quanto sia più moderato rispetto al ben più ambizioso Green New Deal, avanzato dalla deputata Alexandria Ocasio Cortez. La proposta prevede di rendere la produzione elettrica degli Usa "carbon-free" entro il 2035, con l’obiettivo di ottenere zero emissioni nette entro il 2050. A tal proposito, Biden prevede di investire 2 bilioni di dollari nel miglioramento di 4 milioni di edifici, residenziali e uffici, rendendoli più efficienti dal punto di vista energetico, di investire nel trasporto pubblico e nella produzione di veicoli elettrici, offrendo ai consumatori incentivi finanziari per passare ad auto più "pulite".

Nel corso dell’incontro, molto probabilmente gli Stati Uniti presenteranno il loro piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas serra nei prossimi 10 anni, riporta il Guardian.

Si tratterebbe di un segnale importante dopo il rinvio di un anno della Conferenza sul clima di Glasgow a causa della pandemia. In quell’occasione i paesi avrebbero dovuto definire i nuovi impegni nazionali (nationally determined contribution, o NDC), previsti dall’Accordo di Parigi ogni cinque anni, e adottare nuovi impegni in materia di riduzione delle emissioni a breve termine. Un momento delicato e quasi spartiacque considerato che, secondo una valutazione delle Nazioni Unite, gli attuali NDC porterebbero a una riduzione delle emissioni di appena l’1% entro il 2030.

Finora le politiche adottate sono state eterogenee tra alcuni paesi grandi inquinatori che si stanno muovendo verso obiettivi climatici più severi e altri che invece sono fermi o sono orientati ad assumere impegni nazionali (NDC) meno ambiziosi.

“Questo è il decennio decisivo, ciò che accadrà nei prossimi 10 anni è cruciale, ma finora solo il Regno Unito e l'Unione Europea hanno ancora presentato dei piani per il 2030 coerenti con l’obiettivo di arrivare a zero emissioni nette entro il 2050”, ha commentato al Guardian Nathaniel Keohane, vicepresidente senior dell'Environmental Defense Fund.

Il Regno Unito ha già presentato il suo impegno nazionale (NDC) che punta a ridurre le emissioni del 68% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. L'UE si è impegnata a tagliare le emissioni del 55% e ha assunto un impegno formale il 21 aprile, alla vigilia del vertice, sebbene il Parlamento Europeo si fosse pronunciato per arrivare al 60%.

Ma gli occhi sono puntati soprattutto verso Cina e Russia. Biden – scrive DW – sta facendo del clima e delle sorti del pianeta un terreno comune per riallacciare i dialoghi, piuttosto deteriorati, con i due paesi. 

La Russia, il quarto più grande emettitore di gas serra al mondo, è testimone di uno degli effetti più evidenti del cambiamento climatico: il rapido aumento delle temperature nell'Artico. La regione si sta riscaldando più del doppio del resto del mondo, alterando i modelli meteorologici fino al Texas, riporta Bloomberg. Sede di oltre un quinto delle foreste del pianeta, da due anni consecutivi la nazione è colpita da incendi devastanti che hanno rilasciato emissioni equivalenti a quelle di un paese di medie dimensioni come la Spagna. Il permafrost, il terreno ghiacciato che copre circa la metà della terra russa, si sta sciogliendo rapidamente, danneggiando infrastrutture, case e installazioni industriali a un costo fino a quasi due miliardi di euro l’anno.

Paradossalmente, però, lo scioglimento dei ghiacciai è visto dalle autorità russe come un’opportunità: potrebbe favorire l’esportazione di gas naturale liquefatto (di cui la Russia possiede tra le più grandi riserve al mondo) e la produzione di petrolio. “L'Artico si sta riscaldando più velocemente del Continente, questo ha un potenziale molto negativo, ma anche molto positivo”, ha affermato in un'intervista Aleksey Chekunkov, ministro russo che si occupa dello sviluppo dell'Artico.

All’inizio dell’anno, Biden ha avviato dei negoziati con la Russia. I due Stati hanno individuato proprio negli incendi boschivi e nell’Artico, oltre che nell’energia nucleare, tre ambiti di cooperazione. E Putin ha accettato l’invito del presidente USA al vertice in streaming del 22 e 23 aprile.

Anche il presidente cinese Xi Jinping ha sciolto le riserve e ha deciso di partecipare all'incontro. La cooperazione tra i due paesi è fondamentale per far sì che gli sforzi globali per frenare il cambiamento climatico abbiano successo: la Cina e gli Stati Uniti sono i due più grandi emettitori di carbonio del mondo, insieme sono responsabili di quasi la metà delle emissioni in tutto il mondo. Ma i rapporti commerciali e in materia di diritti umani sempre più logori, le rivendicazioni della Cina a Taiwan e sul Mar Cinese Meridionale hanno rischiato di compromettere ogni forma di dialogo e collaborazione.

La scorsa settimana, gli inviati speciali per il clima cinese, Xie Zhenhua, e statunitense, John Kerry, hanno affermato in una dichiarazione congiunta al termine di un incontro tra le delegazioni dei due paesi che Cina e Stati Uniti intendono collaborare per contenere l’aumento delle temperature globali entro gli 1,5 e i 2 gradi centigradi, come previsto dall’accordo sul clima di Parigi del 2015, e “affrontare la crisi climatica con la serietà e l’urgenza che richiede”.

L’incontro è fortemente significativo da un punto di vista geopolitico. Quella di Kerry è la prima visita ad alto livello in Cina di un funzionario dell'amministrazione Biden da quando il nuovo presidente è entrato in carica. E, come ha evidenziato all’emittente statale CCTV Su Wei, negoziatore sul clima per la Cina di lunga data e membro della rappresentazione cinese che ha incontrato Kerry, i colloqui segnano “il riavvio del dialogo e della cooperazione tra Cina e USA sulle questioni riguardanti il cambiamento climatico”. 

“La dichiarazione congiunta lancia un messaggio inequivocabile a tutti sul clima che, prima di questo incontro, non era così scontato”, ha aggiunto Li Shuo, consulente senior per il clima di Greenpeace.

Resta da vedere se effettivamente la Cina presenterà i suoi impegni nazionali (NDC) da qui alla Conferenza sul Clima di Glasgow di novembre. Mentre Kerry era ancora a Shanghai, il viceministro degli Esteri cinese Le Yucheng in un’intervista ad Associated Press ha detto che è molto improbabile che la Cina intraprenda nuovi impegni prima del vertice: “Per un grande paese con 1,4 miliardi di persone, questi obiettivi non sono facilmente realizzabili. Alcuni paesi chiedono alla Cina di raggiungere gli obiettivi prima. Temo che non sia molto realistico”, ha dichiarato Le Yucheng.

E lo stesso Kerry, incontrando i giornalisti a Seul, in Corea del Sud, ha definito le parole usate nella dichiarazione congiunta “forti”, ma – ha aggiunto –  “in diplomazia ho imparato che le parole vanno messe in atto. Dobbiamo tutti vedere cosa accadrà”.

“Se la Cina resta in silenzio, le cose non andranno bene”, spiega Paul Bledsoe, del Progressive Policy Institute di Washington. Ma, stando a quanto annunciato dal portavoce del ministero degli Esteri cinesi, Hua Chunying, nel corso del vertice del 22 aprile il presidente Xi Jinping pronuncerà un discorso “importante”. Finora la Cina sta facendo poco per rispettare il suo piano per arrivare alla neutralità carbonica entro il 2060, come dichiarato meno di un anno fa proprio da Xi Jinping. Sta costruendo 150 nuove centrali a carbone e nel suo recente piano quinquennale ha ribadito l’intenzione di raggiungere il suo picco di emissioni entro il 2030. Troppo tardi per centrare le emissioni zero nette entro la metà del secolo. Secondo uno studio pubblicato a marzo su Nature Communications, la Cina dovrebbe chiudere immediatamente 186 centrali a carbone per essere in linea con i suoi obiettivi. 

Resta da capire cosa faranno altre grandi economie. Gli occhi sono puntati su Canada (che non ha ancora presentato un suo NDC), Corea del Sud (che questa settimana potrebbe impegnarsi ad abbandonare il carbone), Giappone (che ha promesso una revisione sostanziale del suo NDC dopo essere stato criticato lo scorso anno per averne presentato uno sostanzialmente invariato rispetto a cinque anni fa), India (il cui ricorso alle rinnovabili è in forte espansione, ma che non riesce a diventare indipendente dal carbone), Sudafrica (che aveva presentato un NDC molto ambizioso prima essere alle prese con il nuovo coronavirus).

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Alcuni paesi, infine, sono un osso duro. L'Arabia Saudita ha una storia di azioni dietro le quinte durante i negoziati per ostacolare gli accordi. Il Brasile ha fissato il 2050 come termine ultimo per raggiungere la neutralità carbonica ma gli osservatori ritengono poco credibili le intenzioni del governo di Jair Bolsonaro. L’Australia non presenterà alcun impegno nazionale prima della Conferenza mondiale sul clima.

“I governi devono cambiare il loro approccio”, ha detto il climatologo Niklas Höhne del NewClimate Institute al Guardian. “Non c'è un solo governo che abbia adottato le politiche necessarie. Abbiamo assistito a una crescita esponenziale delle energie rinnovabili, quindi possiamo andare molto più velocemente oggi di quanto abbiamo fatto in passato. Dobbiamo passare alla modalità di emergenza e agire di conseguenza”.

Immagine in anteprima: Jeanne Menjoulet from Paris, France, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

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