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L’uragano a Catania tra cambiamento climatico e consumo di suolo

29 Ottobre 2021 7 min lettura

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L’uragano a Catania tra cambiamento climatico e consumo di suolo

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Il round-up settimanale sul cambiamento climatico e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.

L'uragano a Catania: tra cambiamento climatico e consumo di suolo

Piogge torrenziali, raffiche di vento oltre i 100 chilometri orari, terreni in buona parte ormai impermeabilizzati e, pertanto, incapaci di assorbire l’acqua piovana che poi si riversa nei centri abitati. Dall’inizio della settimana la Sicilia orientale e, in particolare, Catania e la sua provincia, sono letteralmente sotto l’occhio del ciclone.

Tre persone sono morte, ingenti i danni a strade, negozi e abitazioni provocati dal turbine d’acqua e dagli allagamenti. Scuole e attività commerciali non essenziali chiuse fino a oggi. Scordia, in provincia di Catania, il centro più colpito da piogge e alluvioni. La Regione Sicilia ha deliberato lo stato d’emergenza. Anche l’Unione Europea – ha scritto la Commissione Europea in un tweet – “è pronta a fornire assistenza”.

Come spesso accade con catastrofi come queste ci si divide tra chi cerca le cause in anni di incuria del territorio – secondo l’ultimo rapporto del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, la Sicilia ha consumato 400 ettari di suolo tra 2019 e il 2020, di cui 100 nell’hinterland catanese; nella zona di Gravina di Catania il 50% dei terreni è incapace di assorbire l’acqua – e chi sottolinea l’imprevedibilità di fenomeni naturali così estremi, a voler negare l’impronta dell’uomo dietro quanto ormai accade con sempre maggiore frequenza e intensità. Ma le due cose vanno insieme. Il cambiamento climatico è un moltiplicatore degli eventi estremi e mette a nudo le criticità dei territori, impreparati a gestire situazioni che di imprevedibile hanno sempre meno (sotto i riflettori, in questo caso, con rimpalli tra diversi livelli istituzionali, i lavori – iniziati nel 1985 e mai terminati – del cosiddetto “Canale di Gronda”, progettato per intercettare e frenare a monte le acque piovane dei paesi nati nell’hinterland catanese, ed evitare che Catania venisse inondata).

Che è successo, dunque, in Sicilia? L’area orientale dell’isola è stata raggiunta dai cosiddetti medicane, crasi di Mediterranean Hurricane, ha spiegato al Corriere della Sera Enrico Scoccimarro, esperto di eventi estremi e scenari climatici alla Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC). I medicane assomigliano ai cicloni tropicali anche se sono di dimensioni minori e con un diametro di 300 chilometri, «contengono una quantità d’acqua associata molto elevata che possono scaricare in poco tempo», si sviluppano tra la tarda estate e l’inizio dell’autunno, «partono dalla parte bassa del Mediterraneo, presso le coste africane, dove la temperatura del mare arriva fino a 26 gradi, e colpiscono soprattutto Grecia, Sicilia e Calabria. Ma possono investire anche la Sardegna e il Salento in Puglia». I venti possono superare i 33 metri al secondo (119 chilometri l’ora), come gli uragani di categoria 1, prosegue Scoccimarro, ma a differenza di questi ultimi, «si esauriscono in pochi giorni, soprattutto perché quando colpiscono la terraferma non hanno più l’energia del mare caldo a sostenerli. Però possono stazionare alcuni giorni sul mare e scaricare molta pioggia sulle coste, come sembra sia il caso di questo ultimo fenomeno».

C’entra il riscaldamento globale? Se è difficile stabilire ancora se i medicane siano aumentati con il riscaldamento globale perché da troppo poco tempo si fanno rilevamenti con le immagini satellitari, non c’è dubbio che «le zone meridionali dell’Italia andranno soggette a periodi più lunghi di siccità, intervallati da fasi di intense precipitazioni che possono provocare notevoli danni e vittime», osserva Scoccimarro.

Non ha dubbi Antonio Navarra, presidente del CMCC, che in un’intervista sempre al Corriere della Sera commenta: «[nel Mediterraneo, ndr], i cambiamenti climatici sono già visibili e misurabili con effetti moltiplicatori sociali nei territori colpiti. E la Sicilia è al centro di questi mutamenti». E i modelli mostrano che i cambiamenti sono proporzionali alla quantità di gas serra che generiamo. 

Da questo punto di vista, la Sicilia sta mostrando i segni evidenti di questo cambiamento, caratterizzato da un aumento delle temperature e dalla concentrazione delle precipitazioni in un numero inferiore di giorni. 

«Tutta l’area è già un hot spot, una macchia calda della geografia. Ora stiamo cercando di capire se con il cambiamento climatico questi fenomeni diventeranno ancora più intensi, se cambierà il loro carattere diventando più frequenti. Non disponiamo ancora di risultati definitivi ma siamo impegnati a decifrare gli elementi più critici. Certo, la Sicilia per la sua posizione subisce già importanti effetti negativi», spiega Navarra.

«Il Mediterraneo si è riscaldato nella media del riscaldamento globale; anzi un po’ di più. Quindi il cambiamento climatico ha già provocato uno spostamento verso nord delle condizioni prima esistenti più a sud con un vero inglobamento nell’area subtropicale. L’estate e la stagione secca sono sempre più lunghe con effetti sulle coltivazioni agricole dalla Sicilia alle regioni più settentrionali». 

Organizzazione Meteorologica Mondiale: “Lo scorso anno i gas serra nell'atmosfera hanno raggiunto livelli record”

Secondo quanto rilevato nel “Greenhouse Gas Bulletin” dell'Organizzazione meteorologica mondiale (OMM), nel 2020 i gas serra nell’atmosfera hanno raggiunto livelli record nell’atmosfera nonostante un calo temporaneo delle nuove emissioni legato ai lockdown per frenare la pandemia. Le concentrazioni di CO2 nell'atmosfera hanno raggiunto le 413,2 parti per milione nel 2020, con un aumento di 2,5 ppm rispetto all'anno precedente: il 149% in più rispetto ai livelli preindustriali del 1750. Il rapporto ha anche sottolineato che poiché la CO2 persiste nell'atmosfera per lungo tempo, la temperatura globale rimarrà elevata per qualche tempo anche se l'umanità riuscirà a ridurre le emissioni a zero nel prossimo futuro.

«Con l'attuale tasso di aumento delle concentrazioni di gas serra, entro la fine di questo secolo assisteremo a un aumento della temperatura di gran lunga superiore agli obiettivi dell'Accordo di Parigi», ha commentato il presidente dell’OMM, Petteri Taalas. «L'ultima volta che la Terra ha sperimentato una concentrazione comparabile di CO2 è stata da 3 a 5 milioni di anni fa, quando la temperatura era da 2 a 3°C più calda e il livello del mare era da 10 a 20 metri più alto di adesso. Ma allora non c'erano 7,8 miliardi di persone», ha detto Taalas.

In Australia è ancora “lunga vita al carbone”

A ridosso della Conferenza Internazionale sul Clima delle Nazioni Unite che inizierà la prossima settimana a Glasgow, in Scozia, l’Australia ha presentato il suo piano per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. Ma il piano, sprovvisto di dettagli e modelli, ha deluso gli esperti e gli analisti. Il governo si è rifiutato, infatti, di rilasciare i modelli alla base del piano 2050 – che il primo ministro Scott Morrison ha promosso come “la via australiana” – e sta mantenendo segreti i dettagli dell’intero pacchetto.

«Più che un piano è un’azione di marketing del governo federale per annunciare che sta facendo qualcosa quando in realtà non sta facendo nulla di nuovo. È un po’ ridicolo», ha commentato Richie Merzian, direttore dei settori clima ed energia all'Australian Institute, un'organizzazione di ricerca. 

Il piano annunciato da Morrison non prevede alcun inasprimento dell’attuale target di taglio delle emissioni del 26-28% entro il 2030, un obiettivo ritenuto largamente insufficiente per un Continente, come l’Australia, che produce tra le più alte emissioni al mondo su base pro capite. 

Intanto, cinque adolescenti australiani hanno denunciato il governo australiano presso tre enti delle Nazioni Unite per violazione dei diritti umani in seguito alla sua inazione sul clima. I cinque chiedono ai relatori speciali dell'ONU di premere sul governo affinché aumenti la percentuale di emissioni da ridurre entro il 2030. Secondo l'avvocato di Environmental Justice Australia, Hollie Kerwin, l'azione legale è significativa perché i relatori speciali dell'ONU hanno il potere di investigare su eventuali violazioni dei diritti umani e di riferire sia alla rappresentanza australiana presso l'ONU che al Consiglio per i Diritti umani dell'Organizzazione.

Londra, giovani attivisti per il clima occupano il museo della Scienza per protestare contro i suoi accordi di sponsorizzazione con le aziende di combustibili fossili

Giovani attivisti del gruppo UK Student Climate Network (UKSCN London) hanno occupato la scorsa settimana il museo della Scienza di Londra per protestare contro l’accordo di sponsorizzazione stretto con il gruppo Adani, un conglomerato multinazionale coinvolto nell'estrazione del carbone e nelle centrali elettriche a carbone. La scorsa settimana il museo della Scienza aveva annunciato l’apertura di una nuova galleria, chiamata Energy Revolution, sponsorizzata dal gruppo Adani.

Gli attivisti si sono presentati con sacchi a pelo e candele con l’obiettivo di pernottare all’interno del museo. Già in passato il museo era stato criticato per aver collaborato con Shell per finanziare la sua mostra “Our Future Planet” sulla cattura e lo stoccaggio del carbonio e le soluzioni basate sulla natura per la crisi climatica. L’accordo impegnava il museo a non dire nulla che potesse danneggiare la reputazione di Shell.

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ABP, uno dei più grandi fondi pensione del mondo, non investirà più nei combustibili fossili

Uno dei più grandi fondi pensione al mondo, ABP, sta vendendo le sue partecipazioni in società di combustibili fossili, tra cui Royal Dutch Shell, per un valore di 15 miliardi di euro. Secondo quanto affermato da Corien Wortmann-Kool, presidente di ABP, il fondo pensione olandese per dipendenti pubblici e insegnanti non investirà più nei produttori di petrolio, gas e carbone e che rinuncerà agli attuali investimenti in quei settori entro il primo trimestre del 2023. 

ABP ha partecipazioni in circa 80 società nel settore dei combustibili fossili, quasi il 3% dei suoi 528 miliardi di euro di attività totali. A settembre, il gruppo di azione per il clima Fossil Free aveva avviato una causa contro il fondo chiedendo di allineare allineare le sue politiche di investimento alla promessa di aderire all'accordo sul clima di Parigi, dopo una sentenza dello scorso maggio di un tribunale dell'Aia che aveva dato ragione a Friends of The Earth e ordinato alla Royal Dutch Shell di ridurre le sue emissioni globali di carbonio del 45% entro la fine del 2030 rispetto ai livelli del 2019. Secondo McKenzie Ursch, consulente legale di Follow This, le sentenze del tribunale avrebbero potuto essere un fattore significativo nella decisione di ABP.

Immagine in anteprima: frame video Corriere della Sera via YouTube

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