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La sfida epocale del cambiamento climatico: incontro-intervista con il fisico del clima Antonello Pasini

5 Marzo 2021 6 min lettura

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La sfida epocale del cambiamento climatico: incontro-intervista con il fisico del clima Antonello Pasini

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Più di un anno fa come Valigia Blu avevamo dato il via all'iniziativa "Il giornalismo è conversazione": un ciclo di appuntamenti dal vivo per incontrare la nostra community e insieme conoscere da vicino e intervistare giornalisti, attivisti, esperti su temi che come blog collettivo sentiamo particolarmente vicini ai nostri interessi. Dopo due incontri però ci siamo dovuti fermare a causa della pandemia globale da COVID-19.

Dopo un anno e dopo il successo del crowdfunding per l'edizione 2021, abbiamo pensato che potesse essere utile provare a dare continuità a quell'idea online in attesa di riabbracciarci di nuovo. Così abbiamo chiesto al gruppo Facebook di sostenitori di Valigia Blu di proporre temi ed eventuali ospiti per questa nuova iniziativa digitale. Abbiamo raccolto diverse idee e per il primo incontro abbiamo infine deciso di affrontare il tema dei temi, ancora più decisivo a nostro avviso della pandemia stessa: la sfida epocale del cambiamento climatico. Tema che seguiamo da anni e a cui abbiamo dedicato particolare attenzione.

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A che punto siamo anche in vista del prossimo appuntamento COP26 che si terrà a novembre 2021 a Glasgow e che vedrà impegnati i governi globali in decisioni che segneranno il destino di questa sfida?

Dall'inizio della rivoluzione industriale, cioè dalla metà del '700 a oggi, l'uso dei combustibili fossili ha causato l'emissione in atmosfera di più di 1,5 trilioni (10 elevato alla 12) di tonnellate di CO₂. Di tutte queste emissioni, quante si sono verificate durante la nostra vita? Il 30%, per chi oggi ha 15 anni, e circa il 75% per chi ne ha 50. La gran parte del riscaldamento globale si è infatti verificata dagli anni '70.

Come nota Greta Thunberg: «Anche se hai solo 15 anni, il 30% di tutte le emissioni globali di CO₂ da combustibili fossili si è verificata durante la tua vita. Questo davvero mostra la responsabilità storica dei nostri attuali leader».

Per impedire che il riscaldamento globale superi 1,5° C (oggi siamo poco oltre 1° C), le emissioni antropiche globali di CO₂ devono ridursi di circa il 45% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2010, e raggiungere lo zero netto intorno al 2050. Per rimanere sotto i 2° C basterebbe una riduzione del 25% entro il 2030. Ma anche solo quel mezzo grado di temperatura in più farebbe una differenza rilevante, per gli impatti e i rischi che determinerebbe.

La cattiva notizia è che con gli impegni per la riduzione delle emissioni che sono stati presentati finora a livello globale si otterrebbe nel complesso (se venissero mantenuti) una riduzione delle emissioni di meno dell'1%. Una frazione irrisoria di quanto sarebbe necessario. «Stiamo collettivamente camminando ciechi su un campo minato», ha detto Patricia Espinosa, segretaria esecutiva per la convenzione quadro dell'ONU sul cambiamento climatico.

Diversi Stati tuttavia, compresi alcuni tra i maggiori responsabili delle emissioni globali come USA e Cina, devono ancora presentare i loro impegni. La prossima conferenza sul cambiamento climatico, COP26, che si svolgerà quest'anno, servirà quindi a verificare quali altri Stati avranno presentato i loro impegni e se questi saranno abbastanza ambiziosi da consentire il raggiungimento degli obiettivi globali di riduzione delle emissioni.

La buona notizia, quindi, è che per quanto grave sia la situazione il nostro futuro non è ancora scritto e gli scenari peggiori si possono ancora evitare. Se ci riusciremo sarà grazie ai due principali strumenti che abbiamo a disposizione: la politica e la scienza.

In uno dei nostri ultimi lavori, a firma di Antonio Scalari, abbiamo affrontato il tema della transizione ecologica in Italia.

Quella che chiamiamo "transizione ecologica" è una questione che ci pone di fronte alla necessità di ripensare le politiche in settori che vanno ben oltre il perimetro dei temi ambientali: politiche industriali, politiche economiche e fiscali (chi paga la transizione? Come attuare una transizione che sia anche socialmente equa?), l’energia, la salute pubblica, la gestione delle città, l’agricoltura, i trasporti, la gestione e la tutela del territorio, la ricerca scientifica, perfino la politica estera.

Per portare a termine una simile transizione, non basta certo un super-Ministero o un Ministero dell'ambiente "plus". Ciò che davvero è indispensabile è comprendere che la transizione ecologica riguarda ormai praticamente tutto ciò di cui si occupano i governi. Il fatto che il nuovo ministro «presiederà l’istituendo Comitato Interministeriale per il coordinamento delle attività concernenti la transizione ecologica» può essere interpretato come un'acquisizione di consapevolezza che quella transizione, al di là del perimetro delle competenze del nuovo dicastero, riguarda diversi altri ministeri, ambiti di competenze, settori di intervento del Governo. Rimane tuttavia da vedere come tutto questo si trasformerà in decisioni e in politiche.

A parlare di tutto ciò abbiamo invitato il fisico del clima del CNR, Antonello Pasini, autore di molte pubblicazioni specialistiche incentrate soprattutto sui modelli per studiare cause ed effetti dei cambiamenti climatici recenti. Pasini insegna Fisica del clima a Roma Tre e Sostenibilità ambientale - aspetti scientifici all’Università Gregoriana di Roma, ma è anche divulgatore scientifico, trovate qui la sua pagina Facebook. Ha vinto il premio nazionale di divulgazione scientifica con il blog Il Kyoto fisso per la rivista Le Scienze e ha pubblicato diversi libri sul clima tra cui segnaliamo "Effetto serra, effetto guerra: Il clima impazzito, le ondate migratorie, i conflitti" (Chiarelettere - con Grammenos Mastrojeni), "L'equazione dei disastri. Cambiamenti climatici su territori fragili" (Codice Edizioni). Pasini ha lanciato insieme ad altri scienziati un appello alla politica con una lettera aperta sulla necessità di collaborazione tra politici e scienziati del clima e dell’ambiente. In uno dei suoi ultimi post su Facebook ribadisce la necessità di coinvolgimento degli scienziati nelle decisioni politiche a partire proprio dalle prossime sfide imposte dalla transizione ecologica:

Perché è necessario che la politica si basi sulla scienza per raggiungere gli obiettivi del Next generation EU? Per vari motivi.
Per esempio, perché la scienza dei sistemi complessi come il clima è abituata a pensare in maniera interdisciplinare e sistemica, mentre i nostri politici seguono ancora un paradigma meccanicistico e tecnocratico (come lo definirebbe Papa Francesco). Ma anche perché dove la politica rischia di vedere solo numeri a caso (vedi immagine), la scienza scorge soluzioni quantitative e non soltanto qualitative e di facciata. Noi scienziati siamo quantitativi e abituati ai conti: ci sono tante strade che potrebbero essere considerate qualitativamente valide senza puntare veramente alla risoluzione del problema, come nel caso del maquillage o del greenwashing.
Perché non pensare allora a formare un comitato scientifico con esperti dalle competenze complementari tra loro (ad esempio, si parla di transizione "ecologica" ma non ho mai sentito che tra gli esperti interpellati ci sia un ecologo) da affiancare al nuovo ministero di Cingolani? Potrebbe essere una garanzia per raggiungere quantitativamente gli obiettivi (sistemici) che ci pone l'Europa.

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Il nostro primo incontro live sul gruppo Facebook dei sostenitori di Valigia Blu (purtroppo senza buffet e sfide al biliardino 😭) si terrà giovedì 11 marzo alle ore 19.30. Intervisteremo il professor Antonello Pasini cercando insieme di fare il punto sulla crisi climatica e su cosa la politica può e deve fare davanti a questa sfida epocale. Il video sarà successivamente disponibile on demand. Nota tecnica: per la diretta useremo la piattaforma StreamYard, che vi chiederà l'autorizzazione a fare apparire il vostro username nei commenti, per farlo cliccate qui (basterà farlo solo una volta) 👉https://streamyard.com/facebook.

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