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Trasformare la rabbia in speranza: “l’ecopopulismo” di Zack Polanski, leader dei Verdi inglesi

18 Novembre 2025 12 min lettura

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Trasformare la rabbia in speranza: “l’ecopopulismo” di Zack Polanski, leader dei Verdi inglesi

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La politica britannica sta vivendo una fase travagliata. Il Labour Party, vista l’insoddisfazione nei confronti del governo di Starmer, è in emorragia di consensi. Reform, il partito di estrema destra guidato da Nigel Farage, è in testa ai sondaggi grazie alla sua retorica anti-immigrazione. Il Partito Conservatore (i Tory) nonostante la leadership più spostata a destra di Kemi Badenoch sta venendo cannibalizzato da Reform. 

Allo stesso tempo, la disaffezione nei confronti del governo laburista ha creato uno spazio a sinistra. Proprio su questo fronte ci sono stati movimenti nell’ultimo mese e mezzo. Il nuovo leader del Green Party, Zack Polanski, ha dato nuova linfa vitale al partito. Con una retorica definita “ecopopulista” che segna una discontinuità con il passato, è riuscito a ritagliarsi spazio mediatico e a raccogliere l’interesse di sempre più elettori ed elettrici. 

Il vecchio Green Party e Polanski

Per comprendere il cambiamento apportato da Polanski alla linea e alla strategia del partito è necessario riguardare la storia recente del Green Party. Da oltre un decennio, in particolare dopo l’elezione a leader del partito di Caroline Lucas, il partito ha visto una crescita lenta, ma costante. Per via del sistema elettorale britannico, un maggioritario puro che penalizza i partiti minori, il partito è cresciuto soprattutto nelle rappresentanze locali, dove è nata proprio la carriera politica di Polanski. Anche alle elezioni europee, fino a quando il Regno Unito ne faceva parte, si è assistito a una crescita del numero dei parlamentari che sedevano nell’emiciclo di Bruxelles. Nell’ultima tornata elettorale del 2019, il numero di europarlamentari verdi era passato da 3 a 7, con un 11 per cento che aveva permesso di superare i Tory e posizionarsi come quarto partito. 

Questi risultati non si sono però tradotti in una maggiore esposizione mediatica. A dimostrarlo c’è un sondaggio svolto da YouGov a ridosso delle elezioni politiche del 2024. Il partito ha conquistato 4 seggi, raccogliendo il 6 per cento dei voti. Ma, per quanto radicato in certi territori e in certe fasce, soprattutto persone giovani e istruite, il sondaggio rilevò che il 75 per cento degli intervistati non riconoscevano Carla Denyer, leader del partito del tempo e parlamentare. 

Uno dei motivi è che, pur essendosi spostati a sinistra durante la leadership di Natalie Bennett come dimostra il Manifesto per le General Election del 2015, la retorica del partito appariva piuttosto ingessata e incapace di connettersi con un pubblico più ampio. 

Proprio da questa critica si è mossa la candidatura di Zack Polanski. Per una proposta di sinistra come quella già offerta dal partito era necessaria una comunicazione diversa. Polanski fa un uso massiccio dei social media, ha aperto un podcast chiamato Bold Politics, ha partecipato a programmi televisivi più taglienti, come quello di Piers Morgan. Nel corso della puntata, Polanski ha difeso i diritti delle persone transgender, con una domanda provocatoria di Morgan riguardo alla possibilità che una donna avesse un pene. A questa Polanski ha risposto senza esitazione. I tempi per gli interventi relativi alla transizione sono lunghi, ha affermato Polanski, accusando poi Morgan di semplificare una questione ben più profonda. Morgan in seguito ha persino bloccato Polanski su X: una circostanza che, una volta diventata di dominio pubblico, ha fatto sì che il giornalista venisse preso in giro, fino a rivedere la propria decisione. "Insomma, che fine ha fatto il mio paladino della libertà di informazione? 🤣" ha detto Polanski commentando il blocco di Morgan.

Negli ultimi giorni, poi, una delle strategie di Polanski è stata di prendere le critiche di avversari di destra scrivendo “abbiamo perso anche [lui/lei]” salvo poi sottolineare la crescita del partito.  Altre critiche, provenienti da ambienti di destra, sono state rilanciate da Polanski attraverso i social. “Non hanno argomenti” è la linea di Polanski, evidenziando così la debolezza intrinseca degli attacchi personali rivolti contro di lui, o il fatto che ad attaccarlo sono testate di proprietà di miliardari. “The Spectator (di proprietà di Paul Marshall, proprietario di GBNews, con un patrimonio stimato di 800 milioni di sterline) non è favorevole a una tassazione equa della ricchezza. Chissà come sono giunti a questa decisione editoriale”.

Il numero di iscritti al partito ha avuto un aumento vertiginoso da quando Polanski è diventato leader del Green Party: è raddoppiato dai 70 mila di settembre ai 140 mila del 22 di ottobre. Secondo i dati più recenti, questo numero sarebbe salito ancora, fino a raggiungere i 150 mila. I militanti e le militanti hanno segnalato che stanno avendo problemi organizzativi a reggere un tale afflusso di persone. 

Anche le intenzioni di voto mostrano segnali di crescita. Secondo i dati aggregati della rivista Politico, nel corso dell’ultimo mese il partito avrebbe guadagnato 4 punti percentuali. Per YouGov, l’aumento da settembre sarebbe stato di 6 punti percentuali, con un avvicinamento alle percentuali del Labour. 

Dalle tasse all’Europa: qual è la visione di Polanski

Veniamo quindi alla proposta politica messa in campo da Polanski.  

Il tema su cui ha spinto Polanski è l’introduzione di un’imposta sulle grandi ricchezze. Questa era già all’interno del manifesto per le elezioni politiche del 2024 del Green Party, con un’aliquota dell’1 per cento sui patrimoni di oltre 10 milioni di sterline che saliva al 2 per cento per patrimoni di 1 miliardo di sterline. 

Ma Polanski è riuscito a portare la proposta all’attenzione del grande pubblico, cosa che in precedenza il partito non era mai riuscito a fare. Lo ha fatto sfruttando proprio una retorica populista, video a basso costo e una strategia social più accattivante. L’esempio più pregnante di questa nuova strategia è rappresentato da un video pubblicato sulla piattaforma X (ex Twitter) dal profilo ufficiale del partito con lo slogan “Let's make hope normal again” (rendiamo di nuovo normale la speranza)

Ambientato nel Nord dell’Inghilterra dove è cresciuto, Polanski ricorda proprio i tempi in cui era bambino e si avvertiva un senso di speranza tra le persone comuni. Negli ultimi anni, la sensazione è cambiata a detta di Polanski: è emersa una disillusione generale da parte della popolazione, combinata a un senso di impotenza nel cambiare le cose. Quando le persone gli chiedono che cosa farebbe da leader del partito, Polanski ribadisce che c’è un estremo bisogno di un sistema di tassazione più giusto. 

Tuttavia, molte persone della classe media sono scettiche di questa proposta. Su questo punto si basa la narrazione di Polanski: la società non è divisa tra lavoratori che ce l’hanno fatta e persone che invece fanno fatica ad arrivare a fine mese. L’imposta andrebbe a colpire chi vive grazie alla rendita e al capitale: a differenza dei lavoratori, queste persone vedono i loro guadagni crescere anche mentre dormono, afferma Polanski aggirandosi sempre tra le strade del quartiere. Il video conta quasi 12 milioni di visualizzazioni solo sulla piattaforma X, con oltre 10mila condivisioni. 

Nelle scorse settimane Polanski ha sviluppato maggiormente la sua idea di Imposta Patrimoniale. Lo scopo è quello di ridurre le disuguaglianze nel paese. D’altronde, secondo i dati OECD, le disuguaglianze sia sul reddito sia sulla ricchezza sono particolarmente elevate, comparate con paesi simili. Oltre a un’imposta patrimoniale, Polanski ritiene necessario rivedere anche il sistema di tassazione delle rendite finanziarie, che favoriscono ancora una volta gli individui più ricchi del paese. 

Il trasferimento di risorse dalla fascia di popolazione più abbiente ai lavoratori e lavoratrici è funzionale a un miglioramento dei servizi pubblici che restituisca dignità e benessere proprio alle persone normali. In particolare, Polanski dichiara che servono investimenti massicci per il servizio sanitario nazionale (NHS). Serve infatti una nuova visione per il paese, che passa proprio da più investimenti in beni pubblici e dal welfare State, ridimensionato dagli anni dell’austerity di Cameron e Osborne. 

Nel corso di queste settimane da leader, Polanski ha inoltre preso una posizione importante sulla Brexit e sui rapporti con l’Europa. Si tratta di un tema particolarmente scottante per il Labour Party di Starmer. Nel corso degli anni, infatti, il Primo Ministro ha cambiato radicalmente le sue posizioni. In un primo momento si era addirittura dimesso dal Governo Ombra per via della linea del partito guidato da Jeremy Corbyn sul referendum, ritenuta troppo accondiscendente con i sostenitori della Brexit. 

Non bastano le intenzioni e i gesti simbolici portati avanti dal governo: il leader del Green Party ha dichiarato che serve rientrare nell’Unione Doganale al più presto possibile. Esserne usciti, continua Polanski, ha solo fatto aumentare i prezzi. Anche per quel che riguarda la Libera Circolazione degli individui, Polanski pensa che sia stato uno sbaglio. La decisione era stata presa dai governi conservatori, in particolare nel contesto degli accordi sulla Brexit di Boris Johnson, per limitare l’immigrazione. 

Il risultato però non è stato quello sperato: se quella dall’Europa è diminuita, il flusso netto di immigrati è aumentato, per via di quelli extraeuropei. Soprattutto il tema delle “small-boats” (analoghe ai nostri “barconi”) rappresenta uno dei cavalli di battaglia di Reform e di Nigel Farage, che ha fatto proposte radicali per fermare il fenomeno. Su tutte c’è l’uscita dalla Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo. Un fronte su cui però anche Starmer ha cercato di rincorrere la destra, salvo poi pentirsi, almeno a parole. Al contrario, Polanski ritiene che le small boats vadano fermate, ma introducendo vie legali di ingresso. 

Riguardo a un eventuale ritorno del Regno Unito in Europa, poi, Polanski si è detto favorevole nel lungo periodo, con un secondo referendum. D’altronde, sembra esserci più spazio nell’opinione pubblica circa gli effetti disastrosi della Brexit, soprattutto dal punto di vista economico. La Cancelliera dello Scacchiere Rachel Reeves lo ha ribadito in un incontro organizzato dall’IMF nelle settimane scorse.  

Sul fronte internazionale, Polanski, che proviene da una famiglia ebrea e ha ripreso il nome originale per connettersi maggiormente alla sua identità ebraica, è estremamente critico nei confronti di quello che definisce un “genocidio” nei confronti della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza da parte di Israele. Durante la visita nel Regno Unito del presidente di Israele Isaac Herzog, a settembre, Polanski ha accusato quest’ultimo di essere responsabile del genocidio e ha proposto di arrestarlo. 

Per quanto riguarda l’aggressione russa all’Ucraina, prima di diventare leader del partito, ha dichiarato la sua solidarietà e vicinanza al popolo ucraino. Durante un’intervista a Radio 5 Live, Polanski ha sviluppato la sua idea di abbandonare la NATO, posizione per cui era stato criticato da osservatori e dal Labour Party. Vista la Presidenza Trump e il suo atteggiamento inaffidabile nei confronti degli alleati, ha detto Polanski, è necessario che il Regno Unito consideri una maggior cooperazione con i partner europei sul piano della difesa, senza uscire immediatamente dall’alleanza atlantica. 

Il fenomeno Polanski: comunicazione, populismo, proposte

Dalla discussione fatta finora emergono i tratti caratteristici della leadership di Polanski. In primo luogo, c’è una strategia di comunicazione più moderna, che fa un utilizzo massiccio di social media e che si appoggia ad altre personalità. Tra queste, l’influencer economico Gary Stevenson, diventato anche lui una celebrità all’interno del dibattito pubblico, o il comico Nish Kumar, co-conduttore del podcast Pod save the UK

Se forze come i LibDem hanno puntato sull’effetto simpatia, come dimostra il loro leader Ed Davey, la strategia del Green Party è più basata su una connessione emotiva con gli utenti e su una contrapposizione con figure che sono particolarmente intollerabili per l’elettorato progressista, come i miliardari. 

Ed è proprio su questo aspetto che è necessario rimarcare, perché contraddistingue la nuova linea “populista” del partito. Questo infatti parte dall’eterogeneità dei bisogni della popolazione e cerca un nemico comune, l’élite, contro cui scagliarsi. Nel video citato in precedenza questa è proprio la costruzione fatta da Polanski: non si contrappongono più gli interessi del lavoratore più ricco e di chi invece è in difficoltà, né si cercano altri colpevoli come gli immigrati, ma si uniscono bisogni sociali differenti contro un nemico comune: gli individui più ricchi del paese che vivono grazie alla rendita e alla connivenza con il potere politico. 

Questo potere politico, oggi, è il Labour Party. Lo mette bene in chiaro Polanski in un’intervista rilasciata al The New Statesman. Parlando della necessità di un maggior intervento pubblico nell’economia, il giornalista fa notare le analogie con quanto va sostenendo Andy Burnham, sindaco di Manchester per il Labour Party. A quel punto Polanski fa notare la contraddizione nel Labour: oggi è diventato un partito completamente prono agli interessi delle grandi aziende, ma allo stesso tempo c’è la consapevolezza che questo porta a delle ripercussioni negative dal punto di vista elettorale. Quindi che fare: danneggiare coloro che ti hanno finanziato e ti hanno permesso di arrivare al governo oppure perdere sempre di più il contatto con l’elettorato? In questa contraddizione si inserisce la via percorsa da Polanski, il cui fine dichiarato è sostituire il Labour Party come principale partito di sinistra. 

Le proposte politiche di Polanski vanno viste proprio all’interno di questa strategia: utilizzare social media e altri canali per connettersi con le persone usando un linguaggio semplice e diretto, individuando dei nemici come l’élite economica e l’establishment politico, ma portando avanti le proposte politiche di sempre del partito. Ma se in precedenza queste erano oscurate, data l’incapacità delle leadership di raggiungere un pubblico più ampio, la strategia di Polanski sembra invece funzionare. Se la competizione è a sinistra, il modello è però in un certo senso Farage. Non dal punto di vista delle proposte politiche, su cui sono diametralmente opposti, ma nell'utilizzare un linguaggio in grado di attirare e connettersi con l’elettorato, al contrario della freddezza di Starmer e del Labour. Dove Farage semina odio, Polanski incalana rabbia e frustrazione in una narrazione della speranza, arrivando a segmenti elettorali che si sentono dimenticati o traditi dalla politica. 

Il fenomeno Polanski va tenuto d'occhio

È ancora troppo presto per poter dire che Polanski avrà un impatto significativo sulla politica britannica. Il primo banco di prova si avrà con le elezioni locali la primavera prossima, dove il Green Party spera di poter tallonare il Labour. Bisognerà poi comprendere le dinamiche tra il partito di Polanski e la formazione di sinistra di Jeremy Corbyn e Zarah Sultana. Per quanto gli elettori e le elettrici si dicano d’accordo su un ticket in comune per unire la sinistra, Sultana ha attaccato il Green Party sulla questione delle relazioni internazionali con Israele e la NATO. caso di estrema frammentazione a sinistra, gli effetti si sentirebbero prima nella divisione del voto nei collegi e poi nei seggi alla House of Commons. In base alla legge elettorale britannica, infatti, si vota in collegi unonimali dove vince chi prende più voti. 

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Se il responso elettorale sarà il vero banco di prova di Polanski e del suo ecopopulismo, si può tuttavia sottolineare l’importanza di questo fenomeno nel contesto odierno. In un occidente sempre più orientato verso la destra radicale, che non solo riesce ad attirare consensi ma anche a monopolizzare il dibattito pubblico su più piani, dai media tradizionali a quelli digitali, la strategia di Polanski rappresenta un caso emblematico di come i progressisti possono provare a riprendere terreno. 

Sulla possibilità di esportare il modello, però, bisogna procedere con cautela. Il Green Party, come abbiamo visto, era già in una fase di crescita dei consensi, anche se penalizzato dal sistema elettorale. Al contrario, molti partiti progressisti si trovano in una fase di stallo, in cui non solo non riescono a trovare uno spazio dal punto di vista mediatico, ma faticano anche a trovare elettori e una proposta politica di più ampio respiro. 

Non solo: la crescita del Green Party non sarebbe stata possibile senza l’insoddisfazione dell’elettorato progressista nei confronti di Starmer. Questo porta forse all’unica lezione da trarre finora: il caso Starmer, così come la crisi francese della presidenza Macron, segnalano che per contrastare l’ondata dell’estrema destra, un approccio burocratico distaccato dai bisogni della gente non porta da nessuna parte: serve invece una proposta nuova che riesca a parlare a un elettorato che ormai ha perso la fiducia nella politica.

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